Il diritto di avere diritti
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Il diritto di avere diritti

Stefano RodotĂ 

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In questo volume convergono, in un affresco di rara suggestione, le grandi questioni che RodotĂ  ha sollevato in questi anni con coerenza e passione. CiĂČ che conferisce all'analisi forza e respiro Ăš la consapevolezza che passato e presente si illuminano a vicenda e che nell'era della globalizzazione solo l'elaborazione di un diritto rinnovato puĂČ riempire le faglie aperte dalle scosse in corso. Roberto Esposito, "la Repubblica"Una summa del pensiero di RodotĂ , in cui si fondono i temi di un'intera vita di studi. Un'intelligenza profonda sorretta dalla passione civile e dalla tensione a incidere sulla realtĂ . Una riflessione fresca e avvincente. Remo Caponi, "L'Indice"Un bellissimo excursus di uno dei padri fondatori della riflessione sul rapporto tra libertĂ  e nuove tecnologie. Mirella Serri, "Tuttolibri"Uno dei piĂč importanti intellettuali italiani offre gli strumenti per affrontare la realtĂ  di questo inizio di secolo, complessa e densa di sfide inedite. Lo fa rifiutando di rincantucciarsi nel passato, animato dal desiderio di esplorare il confine in costante evoluzione della dignitĂ  umana. Juan Carlos De Martin, "La Stampa"

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Informations

Éditeur
Editori Laterza
Année
2015
ISBN
9788858120125

Capitolo III. Il mondo nuovo dei diritti

L’età dei diritti

È proprio la questione della democrazia a intrecciarsi continuamente con quella dei diritti. I diritti contro la democrazia, quando il loro carattere «fondamentale» li vuole sottratti alla logica del principio di maggioranza, e cosĂŹ colpisce al cuore la stessa sovranitĂ  popolare? I diritti contro la democrazia, quando la loro effettivitĂ , e le modalitĂ  stesse del loro riconoscimento, vengono sempre piĂč ampiamente affidate ai giudici e sottratte al legislatore, alterando l’equilibrio tra i poteri?
La diffidenza per i diritti, per l’incapacitĂ  della loro grammatica di comprendere il mondo, per la loro insaziabilitĂ  che erode spazi politici e sociali, non Ăš nuova. Ma libertĂ  e diritti accompagnano la nascita del cittadino moderno, definiscono un ordine politico e simbolico interamente nuovo. Tra resistenze ed esitazioni, certamente: i nostalgici e i teorizzatori d’ogni ordine comunitario o gerarchico li respingono; e una ripulsa, sia pure ben diversamente connotata, viene da chi professa un realismo politico senza scorie, e perciĂČ aborre la signoria degli «pseudoconcetti» giuridici e mette in guardia contro le seduzioni delle dichiarazioni dei diritti. Malgrado ciĂČ, essi sono divenuti il connotato d’una etĂ , appunto «l’etĂ  dei diritti»56; le definizioni non ci parlano soltanto di uno «Stato di diritto», bensĂŹ di uno «Stato dei diritti»; l’istituzione di uno «spazio dei diritti» individua un connotato essenziale dello Stato costituzionale57; e la fondazione stessa della democrazia, dopo il discredito caduto sulla sovranitĂ  popolare per l’esperienza delle democrazie «popolari», dovrebbe ormai essere cercata soltanto nella categoria dei diritti fondamentali dell’uomo58. La dimensione dei diritti, perĂČ, ci appare al tempo stesso fondativa e fragilissima, perennemente insidiata da restaurazioni e repressioni, tese a cancellare o limitare proprio l’insieme degli strumenti che dovrebbero garantire al cittadino le massime possibilitĂ  di sviluppo autonomo.
Torna cosĂŹ l’interrogativo radicale. L’etĂ  dei diritti Ăš al tramonto? Questo sarebbe l’esito di un processo in cui si congiungono pretese ideologiche e inflazione delle situazioni garantite, estrema individualizzazione delle tutele e erosione della sfera pubblica. Che cosa, perĂČ, al posto dei diritti? Qui le risposte si diversificano, si fanno ingenue o prepotenti, nostalgiche o culturalmente regressive. È ingenua, e per molti versi sorprendente, la tesi che vede i diritti inservibili in un mondo ormai prigioniero della logica economica. E se fosse vero il contrario, che proprio la pretesa di ridurre tutto all’economico puĂČ trovare solo in una reinventata dimensione dei diritti l’unico possibile contrappeso, anzi la via per contestare la legittimitĂ  stessa di quel riduzionismo? Ma parlare di «reinvenzione» non Ăš giĂ  un ammettere che quella tradizione dei diritti Ăš divenuta inadeguata, per non dire inservibile, nel tempo che stiamo vivendo e nel futuro che si annuncia?
Una osservazione della realtĂ  ci porta in una direzione diversa. Quella reinvenzione Ăš giĂ  in corso, e a essa si oppone una coalizione singolare tra chi vuol cogliere l’occasione per liberarsi finalmente dal peso dei diritti e chi pensa di poterli ancora difendere chiudendosi nella loro antica cittadella. Vale, allora, la riflessione storica, che induce a concludere che non di un’unica etĂ  dei diritti dobbiamo parlare, ma di etĂ  dei diritti al plurale, e non solo in senso diacronico, ma pure sincronico. Sappiamo che l’invenzione dei diritti appartiene alla modernitĂ  occidentale, che stretta Ăš la sua connessione con le rivendicazioni individualiste e proprietarie della borghesia vittoriosa, che l’evoluzione successiva, sul continente europeo soprattutto, invece Ăš tutta legata all’irruzione di un altro soggetto, la classe operaia, che impone la modifica del quadro costituzionale, conduce addirittura verso una nuova forma di Stato che, per il ruolo assunto dai diritti sociali, si conviene di definire «Welfare State», «Stato sociale», «Sozialstaat», «État-providence». Nella modernitĂ , dunque, insediamento e forza dei diritti sono parte integrante della vicenda dei «soggetti storici» della trasformazione politica, economica, sociale, che proprio ai diritti affidano l’innovazione e il suo consolidamento.
Ma che cosa accade quando quei soggetti si trasformano, mutano ruolo e funzione, non sono piĂč quelli che danno il tono al tempo vissuto? Quando Ăš il volto anonimo dell’economia a identificare i tratti del mondo globale, quando si insiste sul fatto che i mercati «votano» e le istituzioni finanziarie «giudicano», e quindi si appropriano di funzioni che appartengono alla democrazia e sembrano ridurre all’unica loro misura tutti i diritti? Quando la tecnologia spinge verso le frontiere del post-umano, e quindi immediatamente ci si domanda se davvero possano sopravvivere diritti non a caso definiti, anche nel linguaggio giuridico, «umani»?
Una risposta complessiva potrebbe essere affidata alla constatazione che i diritti si sono in qualche modo separati dalla vicenda storica della modernitĂ , l’hanno attraversata trovando una legittimazione senza precedenti, manifestano una loro piena autonomia, quasi una imbarazzante autofondazione. Oggi sarebbero in condizione di proseguire il loro cammino senza riferimenti al loro stesso passato, che esprimeva in qualche modo una loro parzialitĂ  sociale, raggiungendo cosĂŹ quella universalitĂ  che prima poteva essere considerata piuttosto come l’effetto di una imposizione, di una prepotenza anche ideologica. I diritti come «patrimonio comune dell’umanità»?
Compare cosĂŹ un nuovo soggetto, con l’ambizione di tutto unire, e tuttavia portatore di nuovi dubbi e di latenti ambiguitĂ . La prima questione, ovvia, riguarda chi Ăš legittimato a parlare ed agire in nome dell’umanitĂ . Se essa Ăš presentata come il nuovo soggetto storico, questa impostazione non sfugge al rischio di farsi piuttosto espressione d’una partita di potere, dove la forza diviene l’unica via per selezionare chi puĂČ stabilire (imporre?) le regole necessarie perchĂ© sia soddisfatta la condizione dell’universale, come ci insegna in primo luogo la vicenda, anche semantica, della «guerra umanitaria». Se, invece, in nome dell’umanitĂ  sono legittimati a parlare ed agire tutti e nessuno, il problema diviene quello della frammentazione, e la narrazione dei diritti corre il rischio di perdersi nella babele dei linguaggi.

Un patrimonio comune

Tutte queste difficoltĂ  hanno pure la loro origine nella vicenda storica dei diritti, nel loro ceppo che troppo spesso continua a rivelare caratteri monoculturali, custoditi al di lĂ  della fase fondativa, che mantengono in vita la tentazione secondo la quale ciascuna cultura produce la propria carta dei diritti, come segno forte di identitĂ : e cosĂŹ viene anche sottolineata una distanza, o si introduce un esplicito elemento di divisione. Questa pluralitĂ , tuttavia, si Ăš progressivamente presentata pure come una piattaforma allargata dove confluiscono contributi diversi, dunque come terreno comune, punto d’avvio di un confronto tra culture. Un confronto ormai in atto soprattutto in quella che viene definita come la «global community of courts», che vede appunto le corti di molti Stati impegnate in un dialogo sempre piĂč intenso, con una circolazione di modelli culturali che approda a soluzioni sempre piĂč vicine pure in ambienti politici e istituzionali che rimangono assai diversi e che, proprio per questo, generano talvolta reazioni di rigetto, come quando si vuol vietare che le sentenze delle corti nazionali possano citare sentenze di corti straniere (lo si Ăš proposto negli Stati Uniti). Ma una costruzione comune Ăš in atto, e l’esistenza di carte dei diritti «regionali» in Europa, Africa, Asia, America Latina favorisce questo avvicinamento.
Si Ăš cosĂŹ venuto sedimentando, attraverso variegati riferimenti a diritti fondamentali, un patrimonio di cui si disvelano progressivamente tratti comuni, e che perciĂČ ha effetti unificanti grazie al numero crescente di persone che in esso si identificano e dal quale traggono garanzie sempre piĂč intense, o comunque le sole talora utilizzabili nelle situazioni piĂč marcatamente incise dalle dinamiche globali. Categorie storiche della politica e del diritto vengono trasformate. Si puĂČ ben dire che proprio la nuova dimensione dei diritti fondamentali ha sfondato l’antica barriera della cittadinanza, e oggi il parlare di diritti di cittadinanza vuol dire riferirsi all’opposto dell’esclusione dell’altro, che Ăš sempre stata la funzione attribuita a quella categoria. E, se rimane drammaticamente vero che la cittadinanza Ăš ancora impugnata come un’arma identitaria per imporre distanze e ribadire l’esclusione, la legittimitĂ  di questa pretesa puĂČ essere continuamente sfidata proprio attraverso la costruzione della persona intorno a un nucleo di diritti dal quale non puĂČ essere separata. Questa Ăš la via per il radicamento di ciascuno nel comune del mondo.
La costruzione di quel nucleo di diritti Ăš vicenda che dev’essere storicamente indagata, imboccando ad esempio, tra i molti sentieri possibili, quello che porta alla condizione del rifugiato. Nell’art. 10 della nostra Costituzione Ăš scritto che «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertĂ  democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non Ăš ammessa l’estradizione dello straniero per motivi politici». Il calco della norma, dichiarato, Ăš quello dell’asilo politico, un diritto radicato nella storia e nelle culture, che porta fino a considerare la protezione del rifugiato come appartenente alla sfera del sacro. Asilo, per i romani, era un dio. Ma il riferimento lato, e persino generico alle ragioni della politica, in quella norma viene ulteriormente precisato attraverso il riferimento alle «libertĂ  democratiche», che in questo modo costituiscono un nucleo inscalfibile dei diritti della persona, sia pure definito e misurato con il metro costituzionale italiano.
Siamo progressivamente usciti da un tempo in cui il diritto d’asilo era quasi tutto politico, riconosciuto soprattutto a una Ă©lite intellettuale. Ora sappiamo che non Ăš piĂč cosĂŹ, che siamo di fronte a un fenomeno di massa, che dilata le ragioni del rifugio al di lĂ  dello stesso elenco contenuto nella Convenzione dell’Onu sullo statuto del rifugiato del 1951, che parla di «giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche». Sono gli stessi riferimenti che si ritrovano in costituzioni e dichiarazioni dei diritti a proposito dell’eguaglianza, e che cosĂŹ coinvolgono il rifugiato nell’universale, e non ancora adempiuta, promessa egualitaria. Ma quell’elenco, nei fatti, si Ăš allungato: lo mostra l’art. 21 della Carta europea dei diritti; lo confermano le decisioni con le quali Ăš stato riconosciuto l’asilo politico a donne che, ritornate in patria, avrebbero corso il rischio di mutilazioni sessuali; lo dice un documento come la Dichiarazione di Cartagena, dove la condizione di rifugiato Ăš riferita a chi fugge dal proprio paese perchĂ© violenze generalizzate minacciano vita, sicurezza, libertĂ , e in generale perchĂ© si puĂČ essere vittime di aggressioni straniere, conflitti interni, massicce violazioni dei diritti umani, gravi turbative dell’ordine pubblico. Nuove figure di rifugiati si stagliano sull’orizzonte planetario, come gli «ecoprofughi»59, spinti a fuggire dai cambiamenti climatici, dalla progressiva invivibilitĂ  dei territori dove erano storicamente insediati.
Il rifugiato politico, che dev’essere garantito nell’esercizio delle sue libertĂ  democratiche, si trasforma quasi emblematicamente nella persona alla quale deve essere assicurato l’accesso ai diritti fondamentali. «Non solo asilo», si afferma, per sottolineare come esista un dovere degli Stati di non fermarsi al riconoscimento formale dello statuto di rifugiato, disinteressandosi poi della sua situazione materiale. L’accesso, allora, riguarda essenziali beni della vita, come l’istruzione, il lavoro, la salute, che, al tempo stesso, identificano le precondizioni necessarie per «l’effettivo esercizio delle libertĂ  democratiche», sĂŹ che l’indicazione costituzionale si presenta come la base giuridica per una riformulazione di ciĂČ che deve essere riconosciuto al rifugiato. Non ci si puĂČ arrestare, peraltro, ai diritti tradizionalmente consolidati, ma bisogna integrarli con una ulteriore serie di diritti, riconosciuti per la loro autonoma qualitĂ  e per la funzione strumentale che assolvono nel garantire il contesto delle libertĂ  democratiche. E non Ăš soltanto la barriera dei diritti sociali a dover essere varcata, ma pure quella dei diritti cosiddetti di ultima generazione. Proprio per garantire l’esercizio effettivo delle libertĂ  democratiche, al rifugiato deve essere pienamente riconosciuto, ad esempio, il diritto all’anonimato su Internet, condizione necessaria perchĂ© possa continuare a manifestare liberamente le sue opinioni, senza esporre a rappresaglie sĂ© o altri. Compare, d...

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