La Chiesa e le sfide della modernitĂ 
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La Chiesa e le sfide della modernitĂ 

Giovanni Filoramo

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La Chiesa e le sfide della modernitĂ 

Giovanni Filoramo

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Viviamo oggi in Italia un rinnovato scontro tra Chiesa cattolica e modernità: un conflitto che sembrava appartenere al passato, impensabile in una società postsecolare. «La radicalizzazione dello scontro, il crescere delle polemiche, l'inevitabile necessità di prendere posizione in un confronto che tutti ci coinvolge, non deve far velo alla necessità di conoscere le posizioni degli avversari in campo: in questo caso, di un magistero che ha alle spalle secoli di riflessione dottrinale».

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Informations

Éditeur
Editori Laterza
Année
2014
ISBN
9788858112854

IV. Chiesa, democrazia, laicitĂ 

1. Il neotemporalismo incoraggiato dal magistero in Italia ha molteplici cause, alcune piĂč lontane, alle quali accenneremo tra poco, altre piĂč contingenti, legate ai mutamenti profondi di questi ultimi anni. Le onde lunghe dei processi di globalizzazione arrivano ormai impietose, insieme alle barche degli immigrati, sulle sponde italiane, destabilizzando ulteriormente lo Stato, favorendo precarietĂ  e frammentazione del lavoro, incrementando un pluralismo religioso che si rivela corrosivo nei confronti dell’identitĂ  tradizionale del cattolicesimo. La crisi in generale della politica, il diffuso relativismo etico di cui si Ăš parlato, il diffondersi di pericolosi localismi, un difficile processo di integrazione europea: queste ed altre cause, mentre favoriscono i processi di secolarizzazione, creano, nel contempo, un terreno in cui le richieste di senso e la ricerca di fondamenti piĂč saldi spingono a vedere nelle religioni storiche come il cattolicesimo una possibile risorsa pubblica per venire incontro a questa situazione di crisi. E ciĂČ, su due piani, che costituiscono in fondo i due volti della stessa medaglia. Sotto forma di «religioni civili» (europee o nazionali, poco ora importa), col loro patrimonio tradizionale di valori condivisi e con la loro memoria storica, tradizioni religiose come il cattolicesimo possono aiutare lo Stato e la nazione nei processi di integrazione e formazione di una nuova cittadinanza, in grado di reggere meglio le sfide attuali. Dal momento, poi, che la religione costituisce un serbatoio di valori, capace di dar voce a tutti gli interrogativi che non possono ricevere immediatamente senso compiuto, agli oggetti inesauribili, abissali dei nostri pensieri, dei nostri terrori, delle nostre speranze relativi ai misteri della vita e soprattutto della morte, l’insegnamento etico-religioso del magistero puĂČ ritornare ad essere visto come un grandioso tentativo di donazione di senso all’esistenza degli uomini proprio nei suoi aspetti cruciali: l’ingresso, le traversie e l’uscita dalla vita, i dolori, le angosce e i desideri individuali e collettivi.
Questi spazi e funzioni nuovi, di integrazione o di supplenza, oggi disponibili per religioni storiche che i processi di laicizzazione e di secolarizzazione sembravano aver relegato nell’angolo del privato, sollevano, perĂČ, questioni piĂč generali, favorendo il sorgere di conflitti insidiosi. Uno di questi, che dobbiamo affrontare in questo capitolo, concerne il rapporto tra Chiesa e democrazia e la connessa e controversissima questione della laicitĂ . Si tratta di un nodo particolarmente ingarbugliato, a cominciare dalla polisemia di termini come laico e laicitĂ , utilizzati e rivendicati spesso e volentieri in modi inconciliabili. Anche in questo caso, prima di qualche notazione critica, cercheremo di fissare i punti principali della dottrina del magistero. Per meglio coglierne continuitĂ  e novitĂ , Ăš perĂČ inevitabile qualche cenno allo sfondo storico in cui l’insegnamento piĂč recente si colloca.
2. I rapporti tra cristianesimo e politica sono di lunga data. Quest’ultima, d’altro canto, Ăš un concetto polisemico, che non puĂČ essere trattato isolatamente, dal momento che Ăš intrinsecamente legato a temi come lo Stato, l’autoritĂ , il potere, le forme di governo, i diritti umani, la legge naturale. Concretamente, questo rapporto ha trovato una forma di realizzazione storica nelle relazioni, prima di tutto giuridiche, tra Chiesa e Stato, o meglio, tra le varie forme di Chiese cristiane e i vari tipi di potere con cui esse sono entrate storicamente in relazione. D’altro canto, «politica» rimanda anche alla riflessione sulle forme concrete dell’agire politico, alla «scienza politica» e, per converso, alle varie forme di riflessione teologica che hanno cercato di adattare la dimensione escatologica e apocalittica del messaggio originario sul regno di Dio al mutare delle condizioni storiche. NĂ© va trascurato il fondamentale nesso, oggi ritornato di impellente attualitĂ  e che deve trattenere ora la nostra attenzione, tra politica ed etica. È, infatti, sul terreno del fine dell’agire politico (il bene comune), oltre che dei suoi fondamenti (la legge naturale) e delle varie forme di legittimazione e di rapporto tra potere religioso e potere politico, che si sono storicamente date le figure piĂč interessanti e significative. E questo, fin dalle origini.
Da un punto di vista storico, Ăš possibile interpretare l’intera storia del cristianesimo (anche) come storia politica. Essa affonda le sue radici nella tradizione veterotestamentaria dell’esodo, il nucleo della «memoria culturale» ebraica destinato a recitare una parte importante come orizzonte mitico, ma anche come modello politico nell’azione di molti movimenti cristiani, come i puritani nella rivoluzione inglese. Anche altri motivi caratteristici della teologia politica veterotestamentaria, come la «conquista», il messianismo regale, l’esilio, la lotta anti-idolatrica, sono entrati a far parte della tradizione cristiana. Ma Ăš stata soprattutto la grande tradizione profetica biblica a fornire, con la sua critica al potere costituito, un modello fondamentale di rapportarsi ai poteri mondani, che si ritrova all’opera fin dalle origini (la morte «politica» del Cristo, profeta di sventura perseguitato).
I testi canonici disegnano un dualismo di fondo, sintetizzato nella celebre affermazione del GesĂč di Matteo «Rendete a Cesare quel che Ăš di Cesare e a Dio quel che Ăš di Dio» (Mt 22,21), che discende dalla peculiare concezione escatologica protocristiana del regno di Dio. Con l’ascesa al cielo di Cristo, il suo regno si Ăš definitivamente affermato, anche se occorrerĂ  attendere il giudizio finale perchĂ© le potenze del male cessino di agire. Nel frattempo, nessun potere terreno puĂČ pretendere all’assolutezza, dal momento che la fonte della sua autoritĂ  rimane Dio e ogni pretesa in senso contrario appare, in questa prospettiva, blasfema e idolatrica. In questo modo, i profeti e il Cristo hanno introdotto nella storia occidentale una dualitĂ  che, secondo l’interpretazione di Marcel Gauchet, rende il cristianesimo la causa principale della desacralizzazione dello Stato, «la religione dell’uscita dalla religione».
A partire da una dissonanza iniziale, presente giĂ  in Paolo ma piĂč in generale disseminata in vari testi del Nuovo Testamento, secondo la quale si invita ora all’obbedienza nei confronti dell’autoritĂ  politica legittima (Rom 13,1-7; Tt 3,1; 1 Pt 2,13-17), ora alla disobbedienza (At 5,41-42; Rom 12,2; Fil 1,9), la posizione cristiana ha teso storicamente ad oscillare tra i due estremi dell’apolitismo radicale e della confusione del messianismo temporale, tra il disimpegno e l’impegno. Le varie confessioni hanno elaborato, in questo senso, risposte diverse e non assimilabili. Mentre l’ortodossia non possiede una concezione dell’autonomia (relativa) del politico, il cattolicesimo, a partire da Agostino e dalla riflessione teologico-politica medievale, ha costruito una vera e propria etica politica, che ha trovato una prima compiuta espressione in Tommaso. Per lui, Dio e popolo sono collocati insieme all’origine dell’autoritĂ  legittima, per cui non c’ù opposizione di principio tra le due fonti del potere politico. CiĂČ implica, perĂČ, un’autoritĂ  limitata dalle consuetudini e dalla spontanea convergenza del popolo, un’autoritĂ  esercitata secondo la legge e l’obbedienza spirituale ai pastori della Chiesa, verso cui la subordinazione indiretta (potestas indirecta) del potere civile Ăš riaffermata. Quanto al caso paradigmatico della disobbedienza alla legge ingiusta o al tiranno, Tommaso osserva che una legge immorale deve essere disobbedita1. Su queste basi, la Seconda Scolastica e in particolare Francisco SuĂĄrez (1548-1617) hanno elaborato la teoria della resistenza al tiranno: sia contro chi usurpa senza titolo il potere politico sia contro chi esercita il potere contro il bene comune del corpo sociale, che costituisce aristotelicamente il fine dell’agire politico. La resistenza attiva armata potrĂ  essere esercitata in casi estremi e mai dal singolo, bensĂŹ dal corpo sociale nel suo complesso, configurandosi come legittima difesa. Si tratta di un capitolo di morale politica che si Ăš conservato sostanzialmente inalterato nel magistero sociale della Chiesa (si veda ad esempio la lettera apostolica di Pio XI Nos es muy conocida del 1937, che riprende la dottrina della resistenza armata, e l’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII del 1963, che si ricollega alla giustificazione tomista del potere ex parte finis) e che Ăš ritornato di tragica attualitĂ  nel corso del Novecento.
L’epoca delle rivoluzioni e l’avvento dello Stato di diritto hanno prodotto, perĂČ, un mutamento profondo. Il potere viene ora visto come dato direttamente da Dio e non tramite il corpo sociale. Questo potrĂ  eventualmente (non necessariamente) designare un titolare del potere, ma mai costituirlo tale. È la «teoria della designazione», che si contrappone alla precedente «teoria del trasferimento». Su queste basi, il magistero cattolico, soprattutto nel corso dell’Ottocento, ha condannato duramente la parabola della politica moderna, che avrebbe avuto nella Riforma il suo inizio diabolico, per culminare nelle varie rivoluzioni, nel liberalismo, nella libertĂ  di religione, nei diritti umani, fino alla libertĂ  di coscienza, considerata una «follia». Contestualmente, si viene elaborando un progetto complessivo di ricristianizzazione della societĂ  in nome della regalitĂ  di Cristo, che ha per modello la cristianitĂ  medievale e per scopo la riunificazione della cristianitĂ  divisa. Di fronte ad una situazione politica incontrollabile, si elabora la formula della «tesi-ipotesi». PoichĂ© la tesi, e cioĂš il fine perseguito dal progetto di ricristianizzazione, non Ăš attualmente realizzabile, la Chiesa «tollera», come ipotesi, situazioni che permettano la realizzazione finale della tesi. Solo lentamente questo schema Ăš entrato in crisi. Occorre, perĂČ, attendere il Concilio Vaticano II perchĂ©, nella dichiarazione sulla libertĂ  religiosa e nella costituzione pastorale sulla Chiesa, vengano definitivamente eliminati i capisaldi della dottrina tradizionale.
Conclusione di questo troppo rapido excursus: sulla base delle fonti neotestamentarie, non esiste una politica cristiana e cioĂš la possibilitĂ  di derivare da queste fonti un programma politico piĂč o meno preciso. Di fronte a questo dato di fatto, mentre la tradizione protestante, in conseguenza della dottrina dei due regni, ha teso a secolarizzare la sfera dell’agire politico, la tradizione cattolica, a difesa della funzione mediatrice del magistero ecclesiastico, ha teso a reagire in modo diverso. A lungo ha prevalso nella Chiesa cattolica la cosiddetta dottrina sociale e cioĂš il modello di una offerta di contenuti da parte del magistero funzionali a un proprio progetto politico-sociale e ricavabili sia dalla Bibbia sia dalla tradizione, oltre che, come nella scolastica e nel neotomismo, fondati su categorie filosofiche generali come «legge naturale» e «bene comune». In questa linea si muovono encicliche sociali come la Rerum novarum (1891) e la Quadragesimo anno (1931). Mediante tale progetto, essa intendeva opporsi, da un lato, al liberalismo e ai suoi mali, rivendicando l’esistenza di un ordine «oggettivo» capace di fondare il bene comune al di lĂ  del consenso delle volontĂ  soggettive, dall’altro, al socialismo e al collettivismo marxista e ateo, in nome del primato della persona sulla struttura sociale. Il crollo di questo modello ha molteplici ragioni, a partire dal dissolvimento dell’orizzonte metafisico che lo sorreggeva, fino alla messa in crisi dell’ideologia soggiacente al progetto di riconquista cristiana di un mondo sempre piĂč diversificato e frantumato. Questo aiuta a comprendere la relativa fortuna che ha conosciuto un secondo modello, rintracciabile in documenti di epoca conciliare (Mater et magistra, Populorum progressio) e caratterizzato dalla rinuncia alla trasmissione-imposizione di un piano in nome di un appoggio spirituale della Chiesa a un progetto esistente, autonomamente creato dall’uomo. In questa prospettiva piĂč storica, che prende atto dell’impossibilitĂ  per la fede di assumere dal vangelo determinati contenuti politici, quest’ultima, riassumendo la sua piĂč squisita dimensione escatologica, diventa il vaglio al quale il fedele deve fare riferimento anche nel campo delle scelte politico-sociali. Venuto meno il collateralismo politico, tipico del primo modello, ora il credente Ăš affidato alla sua coscienza illuminata dalla fede e consigliata dalla saggezza del magistero, per compiere le proprie scelte di campo politiche, nella consapevolezza che «passa la forma di questo mondo».
Ora, Ăš soltanto durante il pontificato di Giovanni Paolo II, sullo sfondo sia della crisi irreversibile del mondo comunista sia delle critiche ai (dis)valori dell’individualismo libertario del capitalismo occidentale, che Ăš emerso un terzo modello, il quale, aggiornando i capisaldi della dottrina sociale, sembra, nell’attuale fase di crisi del politico, guadagnare consensi. Esso rimette al centro dell’attenzione il nesso tra etica e politica che tutto un filone «machiavellico» della Realpolitik moderna aveva teso ad emarginare, considerando le due sfere separate. In questa prospettiva, che corre parallela all’ampia discussione sulla rifondazione etica della politica e sul problema della giustizia inaugurata dal libro di John Rawls, Una teoria della giustizia2, e l’ampia discussione che questo contributo fondamentale ha suscitato, il problema diventa quello di indicare alcuni valori irrinunciabili, che ogni sistema politico-sociale deve acquisire, integrare e difendere, se intende effettivamente perseguire il bene comune. Si tratta di un capitolo recentissimo e in parte nuovo, al quale conviene volgere ora la nostra attenzione. Prima, perĂČ, una precisazione preliminare Ăš d’obbligo, che ci aiuti a mettere meglio a fuoco la complessitĂ  e la natura della posta in gioco.
3. In genere, il moderno Stato di diritto europeo si Ăš costruito su presupposti giuridici che potevano avere un orizzo...

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