Storia della filosofia moderna
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Massimo Mori

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L'impianto spiccatamente didattico di questa Storia consente di: conciliare l'esposizione piana dei concetti con il rigore del linguaggio filosofico; favorire la percezione delle strutture concettuali, con il duplice scopo di illustrare adeguatamente sia l'impianto filosofico dei singoli autori sia lo sviluppo storico dei diversi problemi; presentare la storia del pensiero moderno in una chiave di categorie filosofiche, oltre che storico-evolutiva; delineare i contesti storici in cui nascono le diverse espressioni del pensiero moderno; rimarcare la diversitĂ  dei generi letterari utilizzati dagli autori, mostrandone la connessione con il loro modo di filosofare.

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Informations

Éditeur
Editori Laterza
Année
2015
ISBN
9788858118450

1. La filosofia del Quattrocento

1.1. Una nuova cultura

In conseguenza della crisi della Scolastica si sviluppa nel Quattrocento un movimento culturale che presenta un rinnovato interesse per il mondo classico greco-romano, considerato come fonte e modello di civiltĂ , in contrapposizione alla cultura medievale, sentita ora come un periodo di decadenza e di imbarbarimento. Si assiste pertanto al programmatico tentativo di fare, per cosĂŹ dire, «rinascere» il mondo classico, inteso come un ideale di vita e di cultura che puĂČ tornare a vivere incarnandosi in nuove forme. Per questo si suole designare tale epoca storica come Rinascimento.
Questo fenomeno ù particolarmente evidente nelle città italiane, le quali, acquisita la propria autonomia, per un verso si arricchiscono economicamente con le attività manifatturiere e commerciali, per l’altro sviluppano un crescente patrimonio culturale da cui traggono alimento per le loro aspirazioni e i loro ideali. Nella civiltà comunale confluiscono molti aspetti dell’eredità classica: il libero comune tende a riprodurre la città-stato della Grecia antica e nello stesso tempo assume come modello le istituzioni della Roma repubblicana. Un tipico esempio di questo rinnovamento ù fornito dalla città di Firenze, destinata a rivestire, almeno per tutto il secolo, un ruolo egemone sia in campo politico sia in campo culturale. Il particolare rilievo che la nuova fioritura economica e culturale assume in Italia non deve tuttavia far dimenticare che fenomeni analoghi si sviluppano anche in altre aree europee, come ad esempio nelle Fiandre e nei Paesi Bassi.
Ma per realizzare la rinascita occorre recuperare il patrimonio letterario che la classicitĂ  aveva accumulato e, di conseguenza, operare un radicale rinnovamento degli studi. Innanzi tutto, essi non sono piĂč prerogativa quasi esclusiva della gerarchia ecclesiastica, ma vengono ampiamente coltivati dai ceti laici. Parallelamente si assiste alla moltiplicazione e alla differenziazione dei centri culturali: in precedenza questi si erano identificati prima con i monasteri e con le scuole cattedrali, poi con le universitĂ ; ora invece, anche se le universitĂ  continuano a svolgere la loro funzione, accanto a esse si sviluppano scuole di grammatica e di retorica, scuole di latino e di greco, cenacoli privati in cui si conducono dibattiti filosofici (primo nucleo delle future accademie).
La perdita del monopolio culturale da parte degli ecclesiastici segna anche la fine dell’egemonia della cultura teologica tipica dell’etĂ  medievale. Il termine umanesimo, con il quale si indica uno degli aspetti salienti dell’epoca rinascimentale, serve appunto a designare un orientamento di studi che si fonda sulle humanae litterae – in implicita opposizione a quelle divinae – e quindi sull’esame dei monumenti di quella classicitĂ  che piĂč di ogni altra epoca ha realizzato i valori e le potenzialitĂ  dell’humanitas: espressione che, oltre a riferirsi alla specificitĂ  dell’essere umano e alla necessitĂ  di una cultura antropocentrica, intende proporsi come traduzione latina della paidĂšia, dell’«educazione» greca.
La rinascita della cultura classica trova ovviamente il suo presupposto fondamentale in un’alacre attività di ricerca, di recupero e di riesame della maggiore quantità possibile di manoscritti risalenti all’antichità: testi letterari e poetici, così come documenti storici, filosofici e scientifici. Inoltre, l’atteggiamento dell’umanista rinascimentale di fronte al testo classico ù completamente diverso da quello dello studioso medievale. Nel Medioevo i pochi testi antichi di cui si poteva avere conoscenza venivano sì tramandati in varie traduzioni, ma senza alcuna preoccupazione per la ricostruzione del testo nella sua autenticità formale e concettuale. Al clerico medievale infatti non interessava il recupero storico del documento, ma soltanto l’utilizzabilità dei suoi contenuti ai fini della dimostrazione di quelle verità che gli stavano a cuore: per questo egli spesso non si peritava di accogliere testi alterati, o di alterarli egli stesso, per adattarli alle esigenze proprie e del proprio tempo. Viceversa, la cultura umanistica ù permeata dalla preoccupazione di ripristinare l’originalità del testo servendosi di un metodo filologico attento e sofisticato: per questo la ricerca dei documenti del passato si accompagna sempre a un rigoroso studio della lingua greca e latina.

1.2. Nuovi intellettuali

L’umanesimo non si risolve tuttavia nei soli aspetti letterari e filologici. Il pensiero del Quattrocento si presenta come una nuova concezione della realtĂ , la quale trova nell’antropocentrismo il suo carattere fondamentale. Il declino degli studi teologici, come si Ăš detto, si accompagna a un nuovo interesse per l’uomo, posto al centro del mondo e analizzato in termini di libertĂ , volontĂ , attivitĂ . L’uomo non Ăš soltanto una parte integrante del reale, ma ne Ăš soprattutto l’artefice. Questo convincimento si traduce per molti intellettuali nella reciproca integrazione tra la dedizione agli studi letterari e l’impegno politico, sia in sede teorica sia in sede pratica. Ne consegue ciĂČ che Ăš stato recentemente definito l’«umanesimo civile»: letterati che sono al tempo stesso politici, giuristi, trattatisti morali trovano nella celebrazione letteraria dell’antichitĂ  greco-romana lo strumento per difendere il valore dell’impegno civile nella concreta realtĂ  in cui vivono.
Tra i maggiori rappresentanti dell’umanesimo civile ricordiamo Coluccio Salutati (1331-1406) e Leonardo Bruni (1374-1444). È significativo il fatto che entrambi ricoprirono la carica di cancelliere della Signoria di Firenze e furono esponenti di primo piano della vita politica del tempo. Salutati, in un epistolario di grande valore letterario, celebra la superiorità della vita attiva rispetto a quella contemplativa e, analogamente, nel trattato De nobilitate legum et medicinae (1400) sostiene il primato della volontà sull’intelletto. Parimenti Bruni affianca a una intensissima attività di traduzione dal greco in latino di testi platonici e aristotelici una celebrazione della filosofia morale, vista come elemento fondamentale della cultura dell’epoca nuova: anche in questo caso l’uomo e le sue relazioni costituiscono il centro di principale interesse.
Ma nella cultura rinascimentale la connessione tra studi letterari e impegno politico non Ăš l’unico ambito di «interdisciplinarità». Infatti, i molteplici aspetti dell’umanesimo non rappresentano correnti di pensiero giustapposte, ma sono espressione di esigenze culturali condivise indifferentemente da tutti gli studiosi. Non Ăš pertanto possibile collocare i singoli esponenti della cultura rinascimentale all’interno di attivitĂ  specifiche, che si differenzino da quelle svolte da altri intellettuali. La stessa ricerca filologica, che costituisce la componente essenziale del Rinascimento, non si esaurisce, come si Ăš visto, nello studio dei codici e nella ricostruzione dei testi antichi, ma coinvolge l’interesse per altre dimensioni della cultura umanistica. Ne Ăš buon esempio l’opera di Poggio Bracciolini (1380-1459). Dalle biblioteche monastiche italiane e tedesche, attraverso una lunga serie di viaggi, egli riporta alla luce le opere di autori quali Quintiliano, Vitruvio, Lucrezio, Stazio, Ammiano Marcellino, nonchĂ© molti testi ciceroniani. Inoltre, con il costante confronto tra differenti redazioni, attraverso tecniche filologiche raffinate, i testi vengono ricostruiti e restituiti alla loro forma originaria. Bracciolini, tuttavia, rivela anche buone doti di letterato. I suoi viaggi e le sue scoperte sono infatti vivacemente descritti nelle lettere, nelle quali l’esaltazione dei classici si congiunge all’esaltazione delle virtĂč umane dell’impegno civile. Il suo epistolario costituisce una delle migliori produzioni della letteratura latina del Quattrocento: del resto l’«epistola», sempre richiamandosi a un modello classico, acquisisce nuovamente la dignitĂ  di genere letterario, venendo spesso concepita e composta in vista della pubblicazione. Pur dedicando buona parte della propria vita alle ricerche nelle biblioteche, Bracciolini non ha come ideale la figura dell’erudito che si isola in mezzo ai libri. Al contrario, egli celebra le virtĂč umane che si rafforzano nel rapporto costante tra uomo e uomo e sottolinea con forza la dimensione sociale dell’individuo. Modernissimo Ăš inoltre, nel suo dialogo De avaritia (1429), l’apprezzamento del denaro come fondamento della societĂ : se ciascuno si rinchiudesse in un’economia rivolta esclusivamente al soddisfacimento dei bisogni individuali, la societĂ  si disgregherebbe; viceversa, l’accumulazione di denaro fornisce linfa vitale allo Stato, cosicchĂ© l’«avarizia» puĂČ essere considerata il fondamento delle istituzioni politiche.
In relazione agli sviluppi degli studi filologici dev’essere ricordata anche la personalitĂ  di Lorenzo Valla (1407-1457). Nelle Elegantiae linguae latinae (1444) egli celebra il latino come fattore di coesione nello stesso tempo culturale e politica, come segno di una sovranitĂ  spirituale detenuta dall’Impero romano anche quando la sovranitĂ  politica venne alienata a vantaggio della Chiesa. E le tecniche filologiche sostengono Valla nella dimostrazione del carattere apocrifo e quindi dell’invaliditĂ  dei documenti che dovrebbero provare la cosiddetta «donazione costantiniana», cioĂš l’atto con cui l’imperatore Costantino avrebbe alienato al papa Silvestro la giurisdizione sulla cittĂ  di Roma. Ma anche in Valla, come in Bracciolini, occorre notare la coesistenza di interessi letterari e di istanze filosofiche. Nel De vero bono (1432), il piacere, inteso perĂČ non soltanto come piacere materiale, viene posto a fondamento dell’agire dell’uomo: le stesse leggi che reggono lo Stato hanno come fine l’utile, il conseguimento del quale genera piacere.
Ancora un esempio di interdisciplinaritĂ  rinascimentale Ăš fornito da Leon Battista Alberti (1404-1472), la cui principale attivitĂ  fu l’architettura (S. Maria Novella e palazzo Rucellai a Firenze, Tempio Malatestiano a Rimini). L’opera teorica di Alberti riguarda in parte lo studio delle arti figurative, in parte la discussione filosofica. A quest’ultima sono dedicate opere come Della tranquillitĂ  dell’animo e Della famiglia. Il tema fondamentale della filosofia di Alberti Ăš la virtĂč, intesa come capacitĂ  di dominare la fortuna e insieme come operositĂ  all’interno della famiglia: in questo modo egli recupera nell’ambito dell’umanesimo italiano la tradizione della filosofia stoica, cosĂŹ come Valla, attraverso la rivalutazione del piacere, aveva ridato vita a quella epicurea. La celebrazione della virtĂč si colora comunque in Alberti di accenti tipicamente umanistici, traducendosi nell’esaltazione della dignitĂ  ed eccellenza dell’uomo: per mezzo della virtĂč l’uomo – l’unico animale eretto e quindi capace di guardare sopra di sĂ© e davanti a sĂ© – puĂČ infatti progettare autonomamente il proprio futuro e realizzare il proprio destino di homo faber.

1.3. Italiani e bizantini

Verso la fine della prima metĂ  del Quattrocento la rinascita e il rinnovamento degli studi in Italia erano ormai consolidati. In questa situazione intervenne nel 1453, come fatto nuovo, la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi, la quale determinĂČ l’emigrazione verso l’Italia di un consistente numero di personalitĂ  della cultura bizantina. Con la loro attivitĂ  e con il nuovo patrimonio di testi che portarono con sĂ©, gli studiosi bizantini contribuirono notevolmente all’ulteriore sviluppo della conoscenza del mondo greco classico. Ma per quanto riguarda la nascita degli studi connessi al recupero della cultura greca, questo episodio non fece che rafforzare una tendenza giĂ  fortemente radicata.
Nuclei di lingua greca, infatti, erano sopravvissuti nell’Italia meridionale e l’uso di questa lingua veniva implicitamente promosso dai rapporti commerciali tra l’Oriente e centri importanti come Venezia e Firenze. Ancora una volta Firenze si era già posta in primo piano, fin dal 1397, quando Salutati aveva promosso l’istituzione della prima cattedra di greco in Italia, affidata a Manuele Crisolora. Inoltre, la pressione turca, minacciosa già prima della conquista di Costantinopoli, aveva provocato un flusso migratorio verso l’Italia di gente comune e di esponenti della cultura, tutti di lingua greca, anteriormente al 1453. Per quanto riguarda specificamente i dotti greci, poi, occorre ricordare che molti di essi si erano già volti verso l’Italia in occasione del Concilio di Firenze (1443), convocato per promuovere l’unificazione tra le Chiese greca e latina.
I rapporti culturali tra il mondo greco-bizantino e l’Italia non furono tuttavia significativi soltanto dal punto di vista della diffusione della lingua greca. Essi favorirono anche lo sviluppo di un rinnovato interesse per la tradizione platonica e, di riflesso, per quella aristotelica. Tra i partecipanti al Concilio di Firenze vi fu infatti Giorgio Gemisto Pletone (1355-1452), il quale, in uno scritto dedicato al Confronto delle filosofie di Platone e di Aristotele (1440), proponeva il platonismo come punto di riferimento per una possibile unificazione, su base filosofica, delle differenti fedi religiose. Si aprì così una sorta di contenzioso relativo alla migliore conciliabilità del platonismo o dell’aristotelismo con il cristianesimo. Sul fronte platonico si trovarono Pletone e Basilio Bessarione (1403-1472), mentre sul fronte opposto si schierarono autori che, pur essendo di provenienza bizantina, divennero sostenitori della tradizione scolastica aristotelizzante latina, come Giorgio Scholario detto Gennadio (?-1464) e Giorgio Trapeziunzio (1396-1484).

1.4. Cusano: filosofia, religione e politica ecclesiastica

In Italia si assiste dunque a una contrapposizione tra platonismo e aristotelismo. L’occasione per il dibattito non Ăš tuttavia offerta dalla discussione di temi specificamente filosofici, bensĂŹ dalla considerazione di problemi di ordine religioso. Analogamente, spostando l’attenzione dall’area italiana a quella germanica, possiamo rilevare che la ricerca di un punto di incontro tra le differenti fedi religiose costituisce un notevole centro di interesse per Nicola Cusano (Nikolaus Krebs, 1401-1464): questi elaborĂČ uno dei piĂč complessi e articolati sistemi di pensiero del Quattrocento, in cui confluiscono, in sintesi originale, disparati elementi delle precedenti tradizioni.
Nato a Kues – onde il nome di Cusanus – nel 1401, studiĂČ diritto a Heidelberg e Padova, nonchĂ© filosofia e teologia a Colonia. Temperamento speculativo di prim’ordine, egli non fu tuttavia un puro teorico: percorse la carriera ecclesiastica fino a diventare cardinale e si trovĂČ impegnato in alcune delle piĂč significative vicende che caratterizzarono la Chiesa del suo tempo. PartecipĂČ al Concilio di Basilea, convocato nel 1432 per fare chiarezza sui fermenti che agitavano la vita della Chiesa dopo la risoluzione dello scisma d’Occidente; difese vigorosamente i diritti temporali dei vescovadi, prendendo come pretesto la controversia che, in qualitĂ  di arcivescovo di Bressanone, lo contrapponeva al duca Sigismondo d’Austria. Ma soprattutto, a proposito della controversia sui rapporti tra pontefice e Conci...

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