PARTE SECONDA
Archeologia di Montaillou: dal gesto al mito
8. Il gesto e il sesso
Anzitutto il gesto. Ma non ci si attenda da me – in un campo in cui difettano sia le informazioni che l’approccio problematico – l’esaustività. Il mio inventario dell’attività gestuale a Montaillou nella più vasta cornice della cultura ariegese sarà breve e incompleto. Mi limiterò a ricordare, nei limiti consentiti dalla documentazione, alcuni gesti: alcuni naturali o apparentemente naturali, altri più manifestamente culturali e prefabbricati dal gruppo. Alcuni di questi gesti sono giunti intatti alla nostra epoca e continuano a essere praticati: la loro persistenza depone a favore della lunga durata dei comportamenti. Altri sono scomparsi o si sono modificati.
Il pianto e la gioia
Al livello delle emozioni più semplici (pianto, gioia…) ho già ricordato a proposito di Pierre Maury il problema del riso e del sorriso. Perciò qui mi soffermerò sulle lacrime. Quando è necessario, la gente di Montaillou piange e probabilmente, in caso di gioie o di dolori, ha anche la lacrima un poco più facile che ai nostri giorni. (Ma su questo punto non si dispone di nessuna statistica, né retrospettiva né contemporanea…) Naturalmente si piange per la prospettiva o per la realtà di una sventura e per la morte di una persona cara, in particolare per quella di un bambino, anche estremamente giovane. Uomini e donne impallidiscono, tremano, piangono quando temono di essere vittima di una delazione all’Inquisizione (ii, n. 7, 279; iii, 357). Singhiozzano anche – secondo la locale scala dei valori osservata dai pastori – in casi di tradimento di un’amicizia o di una solidarietà, soprattutto quando queste due evenienze provocano minacce, che fanno prevedere l’arresto da parte degli inquisitori. È per esempio la reazione di Pierre Maury a Montaillou, quando suo zio Arnaud Fauré e il suo concittadino Guillaume Belot, per paura della repressione, rifiutano di riceverlo (con la scusa di non compromettere i loro amici); e quando essi mancano così ai più sacri doveri dell’ospitalità, della parentela, della comunità, egli piange (ii, 174).
Stessa reazione in Guillaume Bélibaste, più vulnerabile di quanto non si crederebbe, malgrado una vita agitata – assassinio, amante, migrazione – cha ha fatto di lui tutt’altro che un chierichetto. Il sant’uomo piange qundo Jean Maury (il fratello di Pierre) gli nega una genuflessione e lo minaccia – senza che la cosa abbia un seguito – di farlo prendere dall’Inquisizione: «Se chiedi ancora che ti faccia una genuflessione» dice Jean a Guillaume «ti farò catturare» (ii, 483). «A queste parole» continua a raccontare Jean «l’eretico andò via piangendo…».
Invece una donna ariegese piange di gioia ritrovando un pastore del suo paese che le dà notizie di coloro che ama: «Incontrai Blanche Marty a Prades» racconta Pierre Maury «sulla piazza del villaggio. La salutai e le portai i saluti di sua sorella Raymonde e del “signor” Bélibaste. Sentendo queste parole, Blanche si rallegrò molto e pianse di gioia e mi abbracciò».
Gioia di ritrovarsi, dunque; le gioie della vendetta si accompagnano invece a gesti di ringraziamento, con entrambe le braccia alzate al cielo, dando a questo gesto un significato diverso da quello che gli diamo ai giorni nostri, quando effettivamente «alziamo le braccia al cielo». «Passando da Beceite col mio gregge» racconta Guillaume Maurs «incontrai per strada Emersende Befayt che mi chiese notizia di Montaillou. La informai che il parroco Pierre Clergue era stato arrestato per eresia. Sentendo questo, Emersende alzò le mani verso il cielo dicendo “Deo gratias”.» Bernard Clergue adotta una posa analoga quando viene informato dell’arresto dei due denunciatori di suo fratello. «Quando seppe della cattura di quei due uomini, Bernard Clergue tese le mani verso il cielo, cadde in ginocchio e disse: “Sono in estasi: adesso quei due sono sottochiave”.»
Cortesia e saluti
I documenti di Montaillou indicano di passaggio che certi atteggiamenti di cortesia che si praticano ancora oggi sono antichissimi e sono per così dire un retaggio contadino: la gente di Montaillou e simili ha l’abitudine di sollevare il copricapo e di alzarsi, ancora più automaticamente che oggi, per salutare un amico o un semplice conoscente, un inferiore o un superiore. Tutta la famiglia Belot, riunita accanto al fuoco in occasione di un matrimonio, si alza in segno di rispetto per Guillaume Authié che è sceso dal solier per una scala a pioli. Pierre Maury, capo capanna, si alza per salutare degli eretici di passaggio e offre loro pane e latte. Inversamente, Prades Tavernier, perfetto di un certo prestigio, si alza per salutare un semplice pastore come Pierre Maury e poi si risiede. Tra uguali, alzarsi è naturale: ancora Pierre Maury, seduto su una panca, si alza con un buon sorriso per augurare il benvenuto al calzolaio Arnaud Sicre (ii, 28). Ci si alzava per salutare una donna che stava arrivando? È possibile, ma non è affatto certo, soprattutto se si pensa al forte «maschilismo» della società montalionese. In realtà, gli unici testi che parlano di questo genere di alzate si riferiscono a un perfetto che si alza per sfuggire a una donna per paura dell’impurità oppure a due perfetti che si ritraggono precipitosamente per non sfiorare il seno di una contadina del nostro villaggio. Siamo lontani, in queste montagne, dalla buona vecchia galanteria francese ancora da nascere e anche dalla pura e semplice «cortesia». (Almeno nel senso in cui l’intendiamo noi, perché questi villici della contea di Foix hanno le loro brave idee su come dev’essere la cortesia alla moda montalionese.)
Ancora sulla buona creanza: la gente di Montaillou non ha l’abitudine di stringersi o stritolarsi reciprocamente la mano per salutarsi come facciamo noi. Dopo una più o meno lunga separazione, sottolineano semplicemente la ripresa di contatto prendendosi la mano: «Mentre salivo in montagna con le mie pecore per andare all’alpeggio» racconta Pierre Maury «incontrai vicino a La Palma l’eretico Raymond de Toulouse in compagnia di una donna. Stava pregando, secondo l’uso eretico, dietro una pietra all’incrocio di due strade. Mi vide e mi chiamò. Andai subito verso di lui e lo riconobbi secondo l’uso comune prendendolo per mano». Il testo di Pierre Maury è chiaro: indica che il prendere la mano di qualcuno per riconoscerlo costituisce un uso comunemente accettato che, in quanto tale, differisce specificatamente dagli usi eretici, come quelli riguardanti la preghiera o il saluto tra catari.
Ci si prende dunque la mano per «riconoscersi». Nella vita quotidiana ci si tiene famigliarmente a braccetto; tra comari, e si danno delle lievi pressioni sul braccio per avvertire l’amico dei pericoli nascosti nelle frasi di una terza persona.
Spidocchiamento e gesti igienici
Dai gesti della socievolezza e della cortesia passiamo a quelli della pulizia e dell’igiene, anch’essi assolutamente socievoli: a Montaillou ci si rade poco e ci si lava pochissimo; non si sguazza e non si fanno bagni; in compenso ci si spidocchia molto, in quanto lo spidocchiamento fa parte della buona amicizia, sia eretica che mondana. Pierre Clergue si fa spidocchiare dalle sue amanti, come Béatrice de Planissoles e Raymonde Guilhou; l’operazione si svolge a letto oppure accanto al fuoco o alla finestra o sul deschetto di un calzolaio; il parroco approfitta della circostanza per somministrare alle sue belle amiche delle lezioni cattedratiche sulla sua personale maniera di concepire il catarismo o il dongiovannismo. Raymonde Guilhou, spidocchiatrice ufficiale della domus Clergue, esercita la sua abilità sul figlio e sulla madre: spidocchia il parroco Clergue, ma anche la moglie del vecchio Pons Clergue, al cospetto di tutti, sulla porta d’ingresso dell’ostal e mentre se la prende con i parassiti, racconta alla sua paziente gli ultimi pettegolezzi della comunità (ii, 223). I Clergue, notabili del villaggio, non hanno difficoltà a reclutarvi questa o quella donna che sia in grado di liberarli dalla loro fauna con idonea digitazione. Bernard Clergue ricorre invece senza secondi fini ai servigi della vecchia Guillemette «Belote». Alla luce del sole, sull’uscio, Guillemette, buona samaritana, cerca i pidocchi sulla testa di Bernard raccomandandogli di dare del grano ai perfetti. Siccome Bernard è innamorato pazzo di Raymonde, la figlia di Guillemette, si affretta naturalmente a eseguire gli ordini della sua spidocchiatrice (ii, 276). Al limite, lo spidocchiamento montalionese s’insedia nell’estremo salotto di conversazione: al sole, sui tetti piatti delle case basse che sono contigui e si fronteggiano.
Al tempo in cui a Montaillou dominavano gli eretici [raccontava Testanière] Guillemette «Benete» e Alazaïs Rives si facevano rispettivamente spidocchiare al sole dalle loro figlie Alazaïs Benet, Raymonde Rives, tutte e quattro sul tetto delle loro case. Passavo di là e le sentii parlare. Guillemette «Benete» diceva ad Alazaïs: «Come si può sopportare la dolorosa bruciatura del rogo?». Al che Alazaïs rispose: «Che ignorante che sei! Ma è Dio che prende su di sé tutto il dolore!» (i, 462-463).
Si noterà che lo spidocchiamento è sempre eseguito da una donna, senza che questa sia necessariamente una serva di infimo rango (Béatrice de Planissoles, nobildonna, non esita a dedicarsi a questa attività sul cranio di un prete amato).
Lo spidocchiamento consolida o sottolinea i vincoli di famiglia o di affetto e sembra implicare dei rapporti di parentela o di affinità, anche illegittima. L’amante spidocchia il suo uomo, ma anche la madre di questi. La futura suocera spidocchia il promesso genero. La figlia toglie i pidocchi alla madre.
È difficile raffigurarci oggi il ruolo affettivo che aveva nei rapporti umani questa fauna parassita che abbiamo perduto. Diciamo che lo spidocchiamento è intenso, femminile, surdeterminato. In compenso le abluzioni sono meno che sommarie o addirittura inesistenti. Si attraversano con grande pericolo i corsi d’acqua, a guado, in barca o su un asse; ci si annega. Ma non vi si fa il bagno né vi si nuota. Si gironzola attorno ad Ax-les-Thermes, ma per vendere pecore o per ossequiare delle prostitute. Le terme, molto semplicistiche del resto, sono riservate soprattutto ai lebbrosi e ai tignosi.
La toeletta vera e propria, a quanto se ne sa, è attestata soltanto nei perfetti o negli pseudo-perfetti che la considerano come una tecnica per recuperare la loro purezza rituale. «Quando Guillaume Bélibaste ha toccato la carne con le mani, si lava tre volte prima di mangiare o di bere» (ii, 31; i, 325). Il grosso problema, per Bélibaste, non è dunque tanto la pulizia delle mani quanto la pulizia della faccia e sop...