L'architettura della città
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L'architettura della città

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L'architettura della città

Informazioni su questo libro

Dalla sua prima edizione nel 1966, L'architettura della città è stato il testo che più ha influenzato la riflessione urbanistica, restituendo centralità alla grande questione rimossa della forma. Ogni città è forma, e qualsiasi tentativo di comprenderla unicamente attraverso le sue funzioni è destinato a fallire. Nella forma, la tradizione mostra la sua capacità di mutare e durare nel tempo, e l'idea che una comunità ha di sé entra in risonanza con i bisogni pratici a cui deve far fronte. L'architettura diventa così un atto collettivo, in cui si uniscono due urgenze umane come l'intenzionalità estetica e la necessità di costruire un ambiente propizio alla vita. Non si tratta di un incontro teorico, ma di un'alchimia che genera spazi concreti: strade da percorrere, edifici da abitare, monumenti in cui depositare identità.Questa città, così animata e così umana, emerge dal tempo, cresce su se stessa, acquista coscienza e memoria allestendo il palcoscenico in cui istanze opposte si scontrano e sintetizzano: particolare e universale, individuale e collettivo, progettazione razionale e locus. Solo abbracciando la complessità di questo campo di forze eterogenee è possibile un approccio architettonico che sia nel contempo estetico e politico.Attraverso una rassegna di città ideali e di luoghi reali – da Berlino a Stoccolma, dal foro di Roma all'antico teatro di Arles divenuto un quartiere abitato –, Aldo Rossi costruisce un testo spartiacque della letteratura urbanistica. L'architettura della città è un saggio scritto con rigore rinascimentale e insieme la dichiarazione di poetica di uno dei più importanti architetti e intellettuali italiani; un libro che si dischiude a interpretazioni sempre fertili e nuove perché, come una sinfonia o un grande romanzo contemporaneo, ha la profondità e il fascino di un'opera aperta.

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Informazioni

1. Struttura dei fatti urbani

Individualità dei fatti urbani

Nel descrivere una città noi ci occupiamo prevalentemente della sua forma; questa forma è un dato concreto che si riferisce a una esperienza concreta: Atene, Roma, Parigi. Essa si riassume nell’architettura della città ed è da questa architettura che io mi occuperò dei problemi della città. Ora per architettura della città si possono intendere due aspetti diversi; nel primo caso è possibile assimilare la città a un grande manufatto, un’opera di ingegneria e di architettura, più o meno grande, più o meno complessa, che cresce nel tempo; nel secondo caso possiamo riferirci a degli intorni più limitati dell’intera città, a dei fatti urbani caratterizzati da una loro architettura e quindi da una loro forma. Nell’uno e nell’altro caso ci rendiamo conto che l’architettura non rappresenta che un aspetto di una realtà più complessa, di una particolare struttura, ma nel contempo, essendo il dato ultimo verificabile di questa realtà, essa costituisce il punto di vista più concreto con cui affrontare il problema.
Se pensiamo a un fatto urbano determinato ci rendiamo conto più facilmente di questo e subito si dispongono di fronte a noi una serie di problemi che nascono dall’osservazione di quel fatto; oltre ancora intravediamo delle questioni meno chiare: esse si riferiscono alla qualità, alla natura singolare di ogni fatto urbano.
In tutte le città d’Europa esistono dei grandi palazzi, o dei complessi edilizi, o degli aggregati che costituiscono dei veri pezzi di città e la cui funzione è difficilmente quella originaria. Io ho presente ora il Palazzo della Ragione di Padova. Quando si visita un monumento di questo tipo si resta sorpresi da una serie di questioni che ad esso sono intimamente legate; e soprattutto si resta colpiti dalla pluralità di funzioni che un palazzo di questo tipo può contenere e come queste funzioni siano per così dire del tutto indipendenti dalla sua forma e che però è proprio questa forma che ci resta impressa, che viviamo e percorriamo e che a sua volta struttura la città.
Dove comincia l’individualità di questo palazzo e da dove dipende? L’individualità dipende senz’altro dalla sua forma più che dalla sua materia, anche se questa vi ha grande parte; ma dipende anche dall’essere la sua forma complicata e organizzata nello spazio e nel tempo. Ci rendiamo conto che se il fatto architettonico che noi esaminiamo fosse, per esempio, costruito recentemente non avrebbe lo stesso valore; in quest’ultimo caso la sua architettura sarebbe forse giudicabile in sé, potremmo parlare del suo stile e quindi della sua forma, ma esso non presenterebbe ancora quella ricchezza di motivi con cui riconosciamo un fatto urbano.
Alcuni valori e alcune funzioni originali sono rimaste, altre sono cambiate completamente, di alcuni aspetti della forma abbiamo una certezza stilistica mentre altri suggeriscono apporti lontani, tutti pensiamo ai valori che sono rimasti e dobbiamo constatare che benché questi valori abbiano una loro connessione nella materia, e sia questo l’unico dato empirico del problema, pure noi ci riferiamo a dei valori spirituali.
A questo punto dovremmo parlare dell’idea che noi abbiamo di questo edificio, della memoria più generale di questo edificio in quanto prodotto dalla collettività; e del rapporto che noi abbiamo con la collettività tramite esso.
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Palazzo della Ragione,
Padova, 1219-1309.
Avviene altresì che mentre noi visitiamo questo palazzo, e percorriamo una città abbiamo esperienze diverse, impressioni diverse. Vi sono persone che detestano un luogo perché è legato a momenti nefasti della loro vita, altri riconoscono a un luogo un carattere fausto; anche queste esperienze e la somma di queste esperienze costituiscono la città. In questo senso, sebbene sia estremamente difficile per la nostra educazione moderna, noi dobbiamo riconoscere una qualità allo spazio. Questo era il senso con cui gli antichi consacravano un luogo ed esso presuppone un tipo di analisi molto più approfondita di quella semplificatoria che ci viene offerta da alcuni test psicologici che sono relativi solo alla leggibilità delle forme.
Ci è bastato soffermarci a considerare un solo fatto urbano perché una fila di questioni siano sorte davanti a noi; principalmente esse sono rapportabili ad alcuni grandi temi che sono l’individualità, il locus, il disegno, la memoria; e con esse si delinea un tipo di conoscenza dei fatti urbani più completo e diverso da quello che siamo soliti considerare; si tratta ora di vedere quanto è concreto di questa conoscenza.
Ripeto che voglio qui occuparmi di questo concreto attraverso l’architettura della città, attraverso la forma poiché questa sembra riassumere il carattere totale dei fatti urbani; compresa la loro origine. D’altra parte la descrizione della forma costituisce l’insieme dei dati empirici del nostro studio e può essere compiuta mediante termini osservativi; in parte questo è quanto intendiamo con morfologia urbana, la descrizione delle forme di un fatto urbano, ma essa non è che un momento, uno strumento. Essa ci avvicina alla conoscenza della struttura ma non si identifica con essa. Tutti gli studiosi della città si sono arrestati davanti alla struttura dei fatti urbani dichiarando però che oltre gli elementi elencati stava «l’âme de la cité», in altri termini stava la qualità dei fatti urbani. I geografi francesi hanno così messo a punto un importante sistema descrittivo ma non si sono addentrati a cercare di conquistare l’ultima trincea del loro studio: dopo aver indicato che la città costruisce se stessa nella sua totalità, e che questa costituisce «la raison d’être» della città stessa, hanno lasciato inesplorato il significato della struttura intravista. Né potevano fare altrimenti con le premesse con cui erano partiti; tutti questi studi hanno rimandato una analisi del concreto che vi è nei singoli fatti urbani.

I fatti urbani come opera d’arte

Cercherò più avanti di esaminare questi studi nelle loro linee principali; è necessario ora introdurre una considerazione fondamentale e accennare ad alcuni autori che guidano questa ricerca.
Nel porci degli interrogativi sulla individualità e la struttura di un singolo fatto urbano si sono poste una serie di domande il cui insieme sembra costituire un sistema capace di analizzare un’opera d’arte. Ora, sebbene tutta la presente ricerca sia condotta in modo da stabilire la natura dei fatti urbani e la loro identificazione, si può subito dichiarare che ammettiamo che nella natura dei fatti urbani vi è qualcosa che li rende molto simili, e non solo metaforicamente, all’opera d’arte; essi sono una costruzione nella materia, e nonostante la materia, di qualcosa di diverso: sono condizionati ma condizionanti.1
Questa artisticità dei fatti urbani è molto legata alla loro qualità, al loro unicum; quindi alla loro analisi e alla loro definizione. Questa questione è estremamente complessa. Ora, trascurando gli aspetti psicologici della questione, io credo che i fatti urbani siano complessi in sé e che a noi sia possibile analizzarli ma difficilmente definirli. La natura di questo problema mi ha sempre interessato particolarmente e sono convinto che essa riguardi puntualmente l’architettura della città.
Prendete un fatto urbano qualsiasi, un palazzo, una strada, un quartiere e descrivetelo; sorgeranno tutte quelle difficoltà che abbiamo visto nelle pagine precedenti parlando del Palazzo della Ragione di Padova. Parte di queste difficoltà dipenderanno anche dall’ambiguità del nostro linguaggio e parte di queste difficoltà potranno essere superate, ma resterà sempre un tipo di esperienza possibile solo a chi abbia percorso quel palazzo, quella strada, quel quartiere.
Il concetto che voi vi fate di un fatto urbano sarà sempre alquanto diverso dal tipo di conoscenza di chi vive quello stesso fatto. Queste considerazioni possono comunque limitare il nostro compito; è possibile che esso consista principalmente nel definire quel fatto urbano dal punto di vista del manufatto. In altri termini definire e classificare una strada, una città, una strada nella città; e il luogo di questa strada, la sua funzione, la sua architettura e successivamente i sistemi di strade possibili nella città e parecchie altre cose.
Dovremo quindi occuparci della geografia urbana, della topografia urbana, dell’architettura e di altre discipline. Già qui la questione non è facile ma sembra possibile e nei paragrafi seguenti cercheremo di compiere un’analisi in questo senso. Ciò significa che, in maniera più generale, potremo stabilire una geografia logica della città; questa geografia logica dovrà applicarsi essenzialmente ai problemi del linguaggio, della descrizione, della classificazione. Questioni fondamentali, come quelle tipologiche, non sono ancora state oggetto di un serio lavoro sistematico nel campo delle scienze urbane. Alla base delle classificazioni esistenti vi sono troppe ipotesi non verificate, e quindi necessariamente delle generalizzazioni prive di senso.
Ma all’interno stesso delle scienze che ho richiamato stiamo assistendo a un tipo di analisi più vasta, più concreta e più completa dei fatti urbani; essa riguarda la città come «la cosa umana per eccellenza», essa riguarda forse anche quelle cose che si possono apprendere solo vivendo concretamente un determinato fatto urbano. Questa concezione della città o meglio dei fatti urbani come opera d’arte ha percorso lo studio della città stessa; e sotto forma di intuizioni e descrizioni diverse la possiamo ritrovare negli artisti di tutte le epoche e in molte manifestazioni della vita sociale e religiosa: e in questo senso essa è sempre legata a un luogo preciso, un luogo, un evento e una forma nella città.
La questione della città come opera d’arte è stata però posta esplicitamente e in modo scientifico soprattutto attraverso la concezione della natura dei fatti collettivi e io ritengo che ogni ricerca urbana non possa ignorare questo aspetto del problema. Come sono rapportabili i fatti urbani con le opere d’arte? Tutte le grandi manifestazioni della vita sociale hanno in comune con l’opera d’arte il fatto di nascere dalla vita incosciente; questo livello è collettivo nel primo caso, individuale nel secondo; ma la differenza è secondaria perché le une sono prodotte dal pubblico, le altre per il pubblico: ma è appunto il pubblico che fornisce loro un denominatore comune.
Con questa impostazione Lévi-Strauss ha riportato la città nell’ambito di una tematica ricca di sviluppi imprevisti. Egli ancora ha notato come in più delle altre opere d’arte la città sta tra l’elemento naturale e l’artificiale, oggetto di natura e soggetto di cultura.2 Questa analisi era stata avanzata anche da Maurice Halbwachs quando aveva visto nelle caratteristiche dell’immaginazione e della memoria collettiva il carattere tipico dei fatti urbani.
Questi studi sulla città colta nella sua complessità strutturale hanno un precedente, anche se inaspettato e poco conosciuto, in Carlo Cattaneo. Cattaneo non ha mai posto in modo esplicito la questione dell’artisticità dei fatti urbani, ma la stretta connessione che hanno nel suo pensiero le scienze e le arti, come aspetti dello sviluppo della mente umana nel concreto, rendono possibile questo avvicinamento. Mi occuperò poi della sua concezione della città come principio ideale della storia, del vincolo tra la campagna e la città e di altre questioni del suo pensiero relative ai fatti urbani. Qui interessa vedere come egli si ponga di fronte alla città; anzi Cattaneo non farà mai distinzione tra città e campagna in quanto tutto l’insieme dei luoghi abitati è opera dell’uomo. «Ogni regione si distingue dalle selvagge in questo, ch’ella è un immenso deposito di fatiche. […] Quella terra adunque per nove decimi non è opera della natura; è opera delle nostre mani; è una patria artificiale.»3
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Due incisioni di Johann Rudolf Dikenmann (1793-1884).
In alto: Zurigo, il lago e le alpi visti dalla Torre di San Pietro.
In basso: il Ponte del Diavolo sulla strada del San Gottardo.
La città e la regione, la terra agricola e i boschi diventano la cosa umana perché sono un immenso deposito di fatiche, sono opera delle nostre mani; ma in quanto patria artificiale e cosa costruita esse sono anche testimonianza di valori, sono permanenza e memoria. La città è nella sua storia.
Quindi il rapporto tra il luogo e gli uomini, e l’opera d’arte che è il fatto ultimo, essenzialmente decisivo, che conferma e indirizza l’evoluzione secondo una finalità estetica, ci impone un modo complesso di studiare la città.
E naturalmente dovremo anche tenere conto di come gli uomini si orientano nella città, l’evoluzione e la formazione del loro senso dello spazio; questa parte costituisce, a mio avviso, il settore più importante di alcuni recenti studi americani e in particolare della ricerca di Kevin Lynch; cioè la parte relativa alla concezione dello spazio basata in gran parte sugli studi di antropologia e sulle caratteristiche urbane.
Osservazioni di questo tipo erano state avanzate anche da Max Sorre sopra materiale analogo: e particolarmente sulle osservazioni di Mauss della rispondenza tra i nomi dei gruppi e i nomi dei luoghi presso gli eschimesi. Sarà forse utile tornare su questi argomenti; per ora tutto questo ci serve solo come introduzione alla ricerca e dovrà essere ripreso solo quando avremo preso in considerazione un numero maggiore di aspetti del fatto urbano fino a cercare di comprendere la città come una grande rappresentazione della condizione umana.
Io cerco qui di leggere questa rappresentazione attraverso la sua scena fissa e profonda: l’architettura. A volte mi chiedo come mai non si sia analizzata l’architettura per questo suo valore più profondo; di cosa umana che forma la realtà e conforma la materia secondo una concezione estetica. Ed è così essa stessa non solo il luogo della condizione umana, ma una parte stessa di questa condizione; che si rappresenta nella città e nei suoi monumenti, nei quartieri, nelle residenze, in tutti i fatti urbani che emergono dallo spazio abitato. Da questa scena i teorici sono penetrati nella struttura urbana cercando sempre di avvertire quali erano i punti fissi, i veri nodi strutturali della città, quei punti dove procedeva l’azione della ragione.
Riprendo ora l’ipotesi della città come manufatto, come opera di architettura o di ingegneria che cresce nel tempo; è una delle ipotesi più sicure su cui possiamo lavorare.4
Forse contro molte mistificazioni può valere ancora il senso dato alla ricerca da Camillo Sitte quando egli cercava delle leggi nella costruzione della città che prescindessero dai soli fatti tecnici e si rendessero pienamente conto della «bellezza» dello schema urbano, della forma così come essa viene letta: «Noi oggi abbiamo tre sistemi principali di costruire le città: il sistema ortogonale, il sistema radiale e il sistema triangolare. Le varianti risultano generalmente dalle combinazioni dei tre metodi. Tutti questi sistemi hanno un valore artistico nullo; il loro scopo esclusivo è quello della regolazione della rete stradale; è dunque uno scopo puramente tecnico. Una rete viaria serve unicamente alla circolazione, non è un’opera d’arte, p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Introduzione all’edizione 1995
  4. Introduzione
  5. 1. Struttura dei fatti urbani
  6. 2. Gli elementi primari e l’area
  7. 3. L’individualità dei fatti urbani
  8. 4. Evoluzione dei fatti urbani
  9. Note