VII. Disneyland contro splatter: tre casi italiani
1. La competizione elettorale a Roma (2008)*.
Per comprendere la situazione che, nel secondo decennio del secolo, vede la scena politica italiana divisa non più fra due ma fra tre antagonisti – Renzi, Grillo, Salvini – bisogna risalire alla crisi del modello bipolare. Paradossalmente essa prende corpo proprio nella fase del suo apogeo quando, nel 2008, il neo-segretario del Pd Veltroni elabora l’idea del partito maggioritario (in alternativa alla tradizionale coalizione tra i partiti del centrosinistra modello Ulivo) e con essa lancia la sfida al centrodestra ancora saldamente berlusconiano. Tuttavia, i tempi non sono ancora maturi per quella idea, Veltroni viene sconfitto e il Pd entra in una fase di turbolenza da cui uscirà sei anni dopo sulla base della dura campagna interna per la rottamazione condotta da Renzi. In ogni caso, la realizzazione del partito maggioritario lascerà un notevole spazio elettorale alle istanze politico-morali di opposizione, che verrà occupato dal Movimento 5 Stelle di Grillo e Casaleggio. Analizzeremo il rapporto sicurezza-campagne elettorali partendo da Roma, un caso particolarmente interessante grazie a due fattori, uno generale e uno specifico. Quello generale consiste nella centralità politico-istituzionale della capitale, che conferisce un particolare rilievo alle politiche attuate nel suo territorio. Quello specifico consiste nella dimostrazione di come il binomio stranieri-sicurezza sia stato decisivo nel determinare l’esito di una consultazione elettorale importante, come le comunali a Roma nel 2008.
Da Rutelli a Veltroni, la crisi di Roma-Disneyland
Per ricostruire la campagna elettorale del 2008 è necessario accennare all’evoluzione del governo locale della capitale nel corso delle giunte di centrosinistra guidate rispettivamente da Rutelli e da Veltroni. Durante i due mandati del sindaco Rutelli (1993-2001) la città aveva assistito all’impostazione di alcune grandi opere come l’Auditorium-Città della musica progettato da Renzo Piano (tra le prime opere realizzate nel dopoguerra, se si eccettuano quelle risalenti alle Olimpiadi del 1960), oltre a interventi urbanistici come il completamento dell’anello ferroviario e i trafori della via Olimpica che mettono in comunicazione Monte Sacro con Monte Mario. Analogamente, la prova del Giubileo del 2000 era stata affrontata in modo soddisfacente sul piano organizzativo e passabile su quello urbanistico (realizzazione del «sottopassino» sul Lungotevere) (Czarniawska, Mazza, Pipan 2001). Con il successivo sindaco del centrosinistra Veltroni (2001-2008), la strategia del Campidoglio era mutata. Spostando l’accento dagli aspetti strutturali a quelli sovrastrutturali era un po’ come se l’«accumulazione originaria» in campo urbanistico attuata da Rutelli si potesse ritenere compiuta e consentisse ora al suo successore di dedicarsi agli investimenti culturali: Festival del Cinema di Roma e «Notte bianca». Quest’ultima in particolare, all’indomani della prima edizione, veniva definita da Veltroni «una pagina unica nei rapporti tra cultura e cittadini. Una pagina unica anche nel paese» (Adnkronos, 30 settembre 2003). Dando notizia della seconda edizione dell’iniziativa, accompagnata dallo slogan «voglia di sognare», sempre l’agenzia Adnkronos (9 settembre 2004) commentava: «Una serata per sognare e per dimenticare un presente troppo buio perché sia vero».
Sulle ali del favorevole andamento dell’attività turistica, il 15 aprile 2004 Veltroni poteva esternare una dichiarazione che era un bilancio dei suoi primi due anni di governo della capitale e insieme il suo manifesto: «Roma è la città più vivibile d’Europa. E questo grazie al modello che stiamo portando avanti: il modello Roma». Non meraviglia che in quei giorni una cordata di uomini d’affari, tra cui il sultano di Brunei e l’ex segretario generale dell’Onu, Pérez de Cuéllar, proponessero al sindaco di costruire tra Collatina e Prenestina una Disneyland romana, un gigantesco parco di 50 ettari attorno a un tema «positivo, allegro, solare» («la Repubblica», 3 maggio 2004). Sfortunatamente, nel giro di tre anni la visione della Città eterna come Disneyland era destinata a cambiare drasticamente, virando verso atmosfere da cinema splatter. Nella prima metà del 2007 alcuni segni premonitori iniziano a intaccare la rosea visione proposta dal sindaco. Una tensione impalpabile – fatta di sensazioni banali, atti di inciviltà, gesti di insofferenza che sfociano in scontro fisico – inizia a diffondersi nella città, sulla metropolitana e sugli autobus affollati, nei luoghi di incontro di quartiere quali i mercati e i bar. Ma non basta. All’improvviso dal diverbio si passa alla violenza. Primo episodio di una triade di aggressioni ad opera di stranieri, il 26 aprile 2007 all’uscita della metropolitana alla stazione Termini, per un banale litigio provocato da una spinta, una ragazza di Fidene viene trafitta al volto con un ombrello da una coetanea di nazionalità romena e muore.
Del nervosismo collettivo, in particolare dell’intolleranza che si manifesta sempre più spesso fra la «gente», si fa portavoce un cittadino qualsiasi, un «uomo della strada» che scrive a «la Repubblica» (7 maggio 2007) una lettera intitolata Aiuto, sono di sinistra ma sto diventando razzista. Si tratta di un lungo sfogo che esprime la frustrazione di chi vede deteriorarsi il clima psicologico e sociale che lo circonda e, a partire dalla descrizione di alcuni comportamenti asociali, ne attribuisce la responsabilità a una sempre più numerosa popolazione straniera. Segno dei tempi, ma anche dell’immediatezza nell’intercettarlo da parte dei media e della politica, la testimonianza del cittadino prossimo al razzismo suscita un’ampia attenzione. Il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari pubblica la lettera in prima pagina, l’autore verrà invitato in televisione da Santoro e, soprattutto, le sue affermazioni ispireranno, nel giro di ventiquattr’ore, un’articolata risposta da parte del sindaco Veltroni che spiega: «la legalità non è di destra o di sinistra […] è un diritto fondamentale dei cittadini e chiunque è al governo di una comunità sa che assicurarne il rispetto è un suo compito» («la Repubblica», 8 maggio 2007).
Ma è tardi. Pur tempestive a livello di comunicazione, le considerazioni del sindaco sono tardive sul piano dell’investimento politico. I buoi dell’insicurezza sono già scappati e c’è già chi ha cominciato a frustarli a precipizio verso il baratro del panico. La contemporaneità fra cronaca e intervento politico è significativa. È il 17 agosto 2007 quando in una Roma semi-deserta un uomo che corre in bicicletta sulla pista ciclabile nel quartiere della Magliana viene colpito e ucciso a scopo di rapina.
Tuttavia bisogna aspettare ancora due mesi prima che la percezione della sicurezza a Roma, già seriamente deteriorata, precipiti irreparabilmente. Il 30 ottobre 2007 in una stazione ferroviaria semiabbandonata a ridosso dei quartieri residenziali di Roma Nord, una donna, Giovanna Reggiani, viene barbaramente assassinata. Il colpevole, subito arrestato, è (come nel caso dei due omicidi precedenti) un cittadino romeno di etnia rom. Proviene da un accampamento abusivo nelle vicinanze e ha agito per «scopo di rapina e stupro». Il crimine provoca shock nella città e forte impressione nell’intero paese. Sono di estrema asprezza le polemiche politiche che coinvolgono il già precario governo Prodi, da destra (accuse per aver a suo tempo accelerato l’adesione all’Ue di paesi come Romania e Bulgaria) e da sinistra (contenuti incostituzionali del susseguente «pacchetto Amato» che non salvaguarda il carattere esclusivamente personale della responsabilità penale). Ancora più preoccupanti, in quanto durature, le conseguenze psicologiche e sociali di quella stagione di panico collettivo. Il dato che gli autori dei tre delitti perpetrati in rapida successione a Roma tra l’aprile e l’ottobre del 2007 siano stati stranieri di nazionalità romena e di etnia rom aggrava il «profondo fossato di pregiudizi che separa da secoli, ma forse oggi più che mai, Rom e Gagé in Europa» (Pastore 2007, p. 32). All’improvviso, sul tradizionale stereotipo del «rom fannullone e ladro», la crisi della sicurezza a Roma nell’annus horribilis consente agli imprenditori morali operanti in ambito mediatico e politico di innestare l’altro, sino a quel momento, inedito, del «rom assassino» (ibid.).
Nel lasso di altri due mesi la scena politica nazionale sperimenta una rapida accelerazione. Sfiduciato al Senato nel gennaio del 2008, il governo Prodi rassegna le dimissioni aprendo la strada a elezioni politiche anticipate. Avendo deciso di parteciparvi come candidato premier, a febbraio il neo-segretario del Partito democratico, Walter Veltroni, si dimette da sindaco della capitale. Alle elezioni comunali anticipate, previste il 13 e 14 aprile 2008, il centrosinistra presenta alla carica di sindaco l’ex Francesco Rutelli, mentre il centrodestra designa Gianni Alemanno. Questi, che al primo turno ha accusato ben 84 000 voti di distacco da Rutelli, nelle ultime due settimane di campagna elettorale reagisce con un crescendo di toni imperniati esclusivamente sull’allarme sicurezza. Al ballottaggio (nel quale Rutelli perde circa 80 000 voti rispetto al primo turno) Alemanno si impone con uno scarto di 106 000 voti. Dopo quindici anni ininterrotti di amministrazione del centrosinistra, il centrodestra subentra alla guida del Campidoglio, in perfetta simmetria con la vittoria ottenuta due settimane prima alle elezioni politiche da Berlusconi nei confronti di Veltroni.
Quali sono state le ragioni di questo successo? Reagendo alla sconfitta subìta alle politiche del 2006, il centrodestra era riuscito a saldare a una politica nazionale fondata sul doppio allarme «criminalità» e «immigrati» (pars destruens) l’impegno ad attuare politiche di rassicurazione a livello locale (pars construens). Al contrario, il centrosinistra non era stato in grado di valorizzare le esperienze di policy effettivamente realizzate a livello locale né di prospettarne una credibile estensione a livello nazionale. E dire che, pur senza conseguire i risultati delle città del Centro-nord, anche a Roma i primi passi nella sicurezza urbana erano stati compiuti da un’amministrazione di centrosinistra. Infatti, già nel corso del suo primo mandato, Rutelli aveva aderito al Forum italiano per la sicurezza urbana (Fisu) e durante il secondo aveva istituito un’apposita unità organizzativa denominata Ufficio Roma sicura, dedicata a sviluppare interventi sperimentali di miglioramento della qualità della vita nei quartieri «sensibili» (Farruggia 2008).
Sulla scia dell’esperienza di Rutelli, nel corso della prima e della seconda giunta Veltroni si era andata consolidando la teoria della «sicurezza partecipata» basata, nella versione progressista, sul coinvolgimento della società civile, delle organizzazioni del terzo settore e dei soggetti privati, così come sulla collaborazione con gli altri enti locali e territoriali e sul coordinamento all’interno del comune tra le articolazioni periferiche (municipi) e gli organi centrali (altri assessorati, polizia municipale). Al centro della «sicurezza partecipata» veniva posta la prevenzione sociale attraverso l’inclusione di soggetti in condizioni di marginalità, quali gli immigrati e i giovani a rischio disoccupazione e devianza. Il target dichiarato erano le periferie, caratterizzate da un’elevata concentrazione di popolazione immigrata e da degrado socio-economico. Per queste zone (e per qualcun’altra anche centrale come il multietnico Esquilino) erano stati lanciati alcuni progetti: corsi di educazione alla legalità nelle scuole, bonifica di aree degradate e insediamenti abusivi (in particolare sugli argini del Tevere), istituzione di uno sportello per le vittime di reato ecc.
Passando dalla teoria alla pratica, tuttavia, l’azione di governo si rivelò, soprattutto nella seconda giunta Veltroni, deludente: i progetti di mediazione sociale, di natura sperimentale, furono avviati solo in alcuni municipi e i corsi di educazione alla legalità riguardarono soltanto poche scuole. Soprattutto, la definizione e la gestione dei problemi rimasero confinate all’Ufficio Roma sicura e all’assessorato competente, non coinvolgendo gli altri uffici e assessorati e, a livello politico, non suscitando la condivisione nella maggioranza di centrosinistra. La sicurezza urbana rimaneva fuori dalla programmazione, prevista nel 2004 dal Piano regolatore sociale (Prs), così come l’anno prima era rimasta fuori dal nuovo Piano regolatore generale (urbanistico, Prg). Il primo dei due piani, sebbene auspicasse un’integrazione fra le politiche sociali e le altre politiche del Comune (comprese quelle della sicurezza), non definiva obiettivi in quest’ultimo ambito, cavandosela con la constatazione che tra tutti la sicurezza è forse il bisogno più difficile da affrontare. In primo luogo, perché le politiche sociali non sono attrezzate in modo da coprire bisogni di questo tipo. Ma soprattutto perché il compito non può in ogni caso essere affrontato solo attraverso misure di politica sociale in senso stretto»1. Quanto al Prg, una dimensione che, come l’urbanistica, è cruciale nella progettazione della città sicura2, non ispirava al testo-base in materia alcun riferimento concreto.
La mancata condivisione nel centrosinistra di una visione della sicurezza urbana fondata sulla prevenzione strutturale emergeva macroscopicamente a proposito della «questione rom». Sporadicamente verso la fine del primo mandato e più costantemente nel corso del secondo, il sindaco Veltroni non aveva esitato a disporre lo sgombero di alcuni campi nomadi, così come di edifici abbandonati abusivamente occupati da extracomunitari. Tuttavia, le operazioni di sgombero, attuate dalla polizia municipale con l’ausilio dalle forze dell’ordine, non erano state accompagnate da soluzioni di natura strutturale (residenzialità, osservanza dell’obbligo scolastico per i minori ecc.), suscitando critiche da parte dell’associazionismo e dell’ala sinistra della coalizione. La situazione non era migliorata con la firma del primo Patto per Roma sicura (18 maggio 2007), sottoscritto dal sindaco, insieme ai presidenti della Regione Lazio e della Provincia di Roma, con il prefetto e controfirmato dal ministro dell’Interno. Dall’altro lato, l’ipotesi avanzata nel Patto per Roma sicura di risolvere la «questione rom» mediante la costruzione di quattro «villaggi della solidarietà» veniva affossata – oltre che dalla contrarietà della sinistra in Consiglio comunale (Verdi e Rifondazione comunista) a edificare «contenitori» abitativi destinati a divenire altrettanti ghetti – dalla difficoltà di individuare i siti dove collocare i campi e di gestire il malcontento dei cittadini che abitavano nella zona. Né l’intensificazione degli interventi di sgombero da parte del Comune di Roma, resi possibili nel 2007 dal via libera da parte del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, aumentò in alcun modo la popolarità dell’amministrazione Veltroni.
Roma-splatter: dall’emergenza sicurezza di Alemanno all’emergenza criminalità organizzata
Completamente diversa la strategia dello sfidante del centrodestra, Gianni Alemanno. Nella tradizione conservatrice che ha il suo caposaldo nella reassurance policing agenda del decisore (Crawford 2006), in campagna elettorale Alemanno aveva individuato come proprio obiettivo strategico la rassicurazione dei cittadini, sintetizzandola nello slogan della «tolleranza zero». Non essendo, a differenza di quanto accade nelle città americane, nei poteri del sindaco collegare la riparazione dei «vetri rotti» con l’azione delle forze di polizia, una volta al governo di Roma il centrodestra lasciò cadere questo slogan «radicale», sostituendolo nei documenti ufficiali del Comune con i più modesti obiettivi della tutela del «decoro urbano» e «della lotta al degrado». Al di là dell’evoluzione nominale, peraltro, non cambiava il significato della strategia del centrodestra. La priorità della rassicurazione e la centralità dei cittadini elettori come destinatari dell’azione dell’amministrazione comunale venivano così ribadite dal prefetto Mario Mori, responsabile del neo-costituito ufficio politiche di sicurezza del Comune:
Roma è complessivamente una città sicura […]. Chiaramente la sicurezza è un dato reale, però ha una sua componente molto importante che è quella psicologica. Quale deve essere lo sforzo che sovrintenda all’attività di sicurezza? Fornire non solo dati e attività che migliorino il contrasto ai fatti negativi che ci sono sulla sicurezza, ma anche evidenziare quali sono le forme di contrasto alla criminalità, al degrado, in modo che il cittadino si renda conto che c’è uno sforzo, e che può partecipare a questo sforzo […] affinché si senta più sicuro e più garantito. È un fenomeno psicologico molto importante. La sicurezza ha anche questa componente che è difficilmente quantificabile ma che è sicuramente da tener presente3.
Nella gestione di tale strategia, peraltro, vanno distinte due fasi. La prima è quella della campagna elettorale, che Alemanno inaugura fin dall’autunno del 2007, in largo anticipo su elezioni ufficialmente previste non prima del 2010. La seconda è quella del governo della città, una volta vinte le medesime elezioni. La più visibile ribalta, nonché l’autentico banco di prova, delle politiche di sicurezza urbana del centrosinistra e del centrodestra nella capitale sono rinvenibili nei Patti per Roma sicura che, nella cornice del complessivo Patto per la sicurezza stipulato il 20 marzo 2007 dal ministro dell’Interno, Giuliano Amato, e l’Anci in rappresentanza dei dieci comuni metropolitani d’Italia, sono stati tre: sottoscritti da Veltroni il primo (18 maggio 2007) e da Alemanno sia il secondo (29 luglio 2008) che il terzo (21 dicembre 2011). Il confronto fra i tre testi conferma la debole differenza tra l’impostazione e le proposte formulate da entrambi gli schieramenti politici4, per non parlare del sostanziale fallimento di entrambi.
In effetti, il I Patto firmato da Veltroni prevedeva già i criteri che sarebbero stati ripresi nei Patti successivi, quali il coordinamento e le sinergie tra i vari livelli di governo del territorio e tra le rispettive istituzioni. Lo stesso per i principali problemi da affrontare che, a parte il riferimento di rito alla criminalità organizzata, erano essenzialmente di natura situazionale, come il contrasto allo sfruttamento della prostituzione su strada, alla commercializzazione delle merci contraffatte, alla «mendicità organizzata». Particolare enfasi veniva posta su quella che era presentata come l’«esigenza» emergente del 2007: il «contenimento delle popolazioni senza territorio», cioè i rom. Tale ritrovato linguistico è l’unica innovazione del Patto per la sicurezza a Roma che, invece, come soluzione della questione abitativa dei diretti interessati, riproponeva la costruzione di quattro «villaggi della solidarietà», cioè di altrettanti nuovi campi. Primo di una lunga serie di dichiarazioni d’intenti, viene poi annunciato il riesame dei presidî delle forze di polizia a Roma in vista della loro redistribuzione sul territorio comunale. Sul piano finanziario il Comune di Roma si impegnava a stanziare per le attività di sua spettanza quattro milioni di euro e la Regione Lazio undici, mentre la Provincia si riservava di quantificare il proprio contributo.
La stipula, a distanza di poco più di un anno, di un nuovo e molto simile Patto da parte di Alemanno sembra in tutto e per tutto una reiterazione personalistica del medesimo atto, se non per due novità dotate di un certo rilievo politico. La prima è rappresentata dall’impiego di 688 militari dell’esercito nel Cie di Ponte Galeria (più 200 soldati per altre destinazioni), allo scopo di ampliare l’orario di vigilanza sul perimetro esterno del Centro, rilasciando così 300 unità tra carabinieri, guardia di finanza e corpo forestale dello Stato. La seconda, che ha per oggetto nomadi e stranieri, prevede l’«effettiva identificazione delle persone senza fissa dimora presenti nei campi», con l’individuazione degli «extracomunitari clandestini» e dei «cittadini comunitari» (riferimento ai romeni, in particolare di etnia rom) che, qualora delinquano o siano pericolosi, saranno destinati all’allontanamento e all’espulsione.
Quanto al III Patto, sottoscritto alla fine del 2011 da Alemanno come sindaco di Roma Capitale (innovazione linguistica che, in virtù dell’omonima legge, sostituisce l’antica denominazione di «Comune»), esso non arreca novità degne di nota (se si prescinde dalla ridenominazione della polizia municipale in «Corpo di...