Visual storytelling
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Visual storytelling

Quando il racconto si fa immagine

Daniele Orzati

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  1. 160 pagine
  2. Italian
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Visual storytelling

Quando il racconto si fa immagine

Daniele Orzati

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Ormai tutto si comunica tramite immagini: organizzazioni, brand, prodotti, persone. E sempre di più l'immagine è la forma usata per raccontare storie distintive, in grado di cambiare la percezione dei pubblici. A fronte di questo fenomeno mancano strumenti ad uso di professionisti – o semplicemente curiosi – in grado di fornire precise definizioni, metodi di valutazione e tecniche di progettazione del racconto visivo.Visual Storytelling nasce per rispondere a questa mancanza, ed è frutto dell'esperienza di anni di attività di consulenza e progettazione del racconto visivo per aziende e multinazionali.Cosa vuol dire, dunque, narrare per immagini? A chi serve? A cosa serve? Chi lo fa? Come si fa? Qual è la differenza tra una composizione perfetta e una narrazione esatta, tra un'immagine genericamente emozionale e una narrativamente efficace?Questo libro fornisce le chiavi per scoprire che cosa ci nascondono le immagini che quotidianamente si riversano – volenti o nolenti – nei nostri occhi. E ci mostra come si costruiscono gli immaginari visivi che poi ci portano a scegliere e comprare.

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Informazioni

Editore
Hoepli
Anno
2019
ISBN
9788820392147
Capitolo 1
Definizione e origini del visual storytelling
Sto intervistando un guru delle relazioni pubbliche d’impresa – uno dei grandi protagonisti di questa disciplina. È concentrato nel flusso argomentativo, ma a un certo punto si interrompe, giusto un attimo, prende la carica per dire qualcosa di estremamente importante, lo percepisco: “Attenzione, qui non si parla più della comunicazione di marketing ma del marketing della comunicazione”. La distinzione mi è parsa subito abbastanza chiara: un conto è parlare di azioni di comunicazione che perseguono obiettivi di vendita, un conto invece è speculare su casi di comunicazione a fine promozionale per la comunicazione stessa. In altre parole: una cosa è fare una campagna di storytelling, un’altra è comunicare la propria campagna dicendo che è storytelling sebbene non lo sia. La comunità dei professionisti della comunicazione e del marketing fa invece spesso fatica a distinguere il caso dalla sua speculazione, o, se vogliamo, il caso di vendita dalla vendita del caso.
Questa distinzione è importante. Chi volesse cercare online casi di studio sul visual storytelling dovrebbe farsi largo tra isole di rifiuti non biodegradabili. Nei contesti della comunicazione e del marketing, infatti, la locuzione viene spesso usata per indicare campagne di comunicazione con un forte, ma generico, appeal grafico o fotografico. Visual che di narrativo hanno solo la parola storytelling appiccicataci a posteriori per salire sul carrozzone dell’ultimo trend. C’è poi, all’opposto, chi pensa che un’identità visiva debba oggi essere progettata secondo i precetti del visual storytelling, dimenticandosi che il visual design non è affrontabile come una branca del visual storytelling, ma che piuttosto è vero l’inverso. Non è tutto storytelling ciò che è visual, ci siamo detti nell’Introduzione, mentre il visual design è ovunque: sullo schermo del nostro device, nell’abito che indossiamo, nel flyer della pizzeria all’angolo, nel cartoccio di latte che ogni mattina prendiamo dal frigo.
Ecco perché ritengo si imponga la necessità 1) di dare una definizione il più possibile chiara e completa di visual storytelling, e 2) di individuare l’origine di forme ascrivibili a questa disciplina.
Le condizioni per il visual storytelling
Per ciò che riguarda il punto 1), ci sono arrivato partendo dal concetto di visual design e restringendo pian piano il campo secondo ciò che mi dettavano i casi narrativi studiati e quelli da me direttamente risolti. La definizione, abbastanza semplice, si compone di una serie di condizioni in presenza delle quali, per quanto mi riguarda, è lecito parlare di visual storytelling.
Parliamo di visual storytelling se:
1. Sono previste una progettazione e una produzione orientate alla replicabilità.
2. Si programma una diffusione su uno o più mezzi.
3. Si costruisce una comunicazione per immagini.
4. Si narra una storia o rappresenta un mondo narrativo.
5. La narrazione costruita è di marca (anche personale), quindi con una specifica proposizione di valore e con una specifica intenzione.
Se queste sono le condizioni, il campo si restringe: rimangono infatti escluse classiche forme di arte e artigianato (progettate per essere pezzi unici), così come resta fuori il design nelle sue accezioni unicamente funzionali. E non c’è posto neanche per il fine a se stesso e il fatto per me, cioè tutto ciò che nasce senza uno specifico obiettivo.
Per vedere se regge, portiamo al negativo questa definizione per condizioni. Non è visual storytelling…
1. ciò che non è pensato per essere replicabile;
2. ciò che non è prodotto per essere diffuso;
3. ciò che non è una rappresentazione visiva;
4. ciò che non esprime elementi narrativi;
5. ciò che non risponde a specifici obiettivi.
Se queste sono le condizioni, o se vogliamo i requisiti, il campo si restringe anche in termini temporali. Prendiamo per esempio un’opera grandiosa e a suo modo iconica come la Colonna Traiana, eretta nel II secolo d.C. a Roma per celebrare una grande vittoria dell’Impero. Sicuramente risponde a specifici obiettivi comunicazionali (condizione 5); difficilmente si potrebbe sostenere che non è narrativa (condizione 4); è una rappresentazione visiva (condizione 3); meno pacifico il fatto che sia comunicata e comunicabile tramite uno o più mezzi (condizione 2); molto difficile, infine, sostenere che sia sta stata progettata così per essere replicabile, se non, al limite, tramite altri pezzi unici (condizione 1).
Lo stesso vale per molte altre grandiose opere dell’arte imperiale classica, né ci aiuta il Medioevo, mentre nel Rinascimento, e più precisamente nel 1455, accade qualcosa, dal nostro punto di vista una vera rivoluzione: nasce la stampa a caratteri mobili. Il suo prodotto, il libro, richiede progettazione editoriale e un processo industriale (condizione 1); è forse il mezzo più conosciuto e longevo, atto a una diffusione potenzialmente illimitata (condizione 2); è primariamente composto da segni o “alfabeti tipografici”, ma può comunicare anche attraverso immagini (condizione 3); sicuramente è rivolto alla narrazione (condizione 4); è proposizione di valore di una marca editoriale, ed è prodotto per un obiettivo specifico: la vendita (condizione 5).
Tra queste condizioni, quella meno scontata risulta essere la 3: la stampa, infatti, nasce innanzitutto per diffondere parole, anche a scapito delle splendide miniature dei manoscritti, che erano invece copiabili dagli amanuensi ma non riproducibili sistematicamente su un piano tecnico. Le immagini nelle prime opere a stampa vengono utilizzate, anche a un certo grado di evoluzione, ma soprattutto a scopo docetico nella trattatistica scientifica, quindi non a scopo narrativo. Oppure narrativamente, ma a un basso grado di evoluzione, per esempio come rafforzativo, a fine capitolo, della morale della narrazione stessa.
Il più bel libro mai stampato
Per trovare un eclatante caso narrativo di coordinamento testo/immagine dobbiamo superare di qualche decennio la nascita della stampa. E più precisamente dobbiamo arrivare alla fine del Quattrocento. In quegli anni è attivo a Venezia quello che verrà ricordato come l’editore principe del Rinascimento europeo e padre dell’editoria moderna. Il suo nome è Aldo Manuzio. Nato verso il 1450 a Bassiano, piccolo borgo della campagna laziale, studia a Roma e a Ferrara, educa prìncipi a Carpi, infine si trasferisce a Venezia, patria dei commerci ma anche della stampa tipografica. Nel 1495 inizia la pubblicazione delle sue edizioni, note come “aldine”. Da lì è un susseguirsi di invenzioni che avrebbero rivoluzionato per sempre l’impiego, la leggibilità, la diffusione di quel parallelepipedo di carta stampata che chiamiamo libro. Escono i grandi classici latini nel formato in-ottavo con il carattere corsivo: libelli portatiles in formam enchiridii (enrichirìdion significa “che si tiene in mano”), quelli che noi chiamiamo tascabili, paperback, oggi fra gli oggetti più diffusi al mondo. Da quel momento il libro può essere afferrato con una sola mano, lo si può portare con sé e lo si può leggere senza bisogno di sedia, tavolo, lume e leggio. Manuzio sistematizza poi, una volta per tutte, l’uso della punteggiatura, inventando anche il punto e virgola. Sceglie la sua marca editoriale, l’àncora con delfino accompagnata dal motto Festina Lente (affrettati con calma): il brand diventa subito famoso, compaiono le contraffazioni. Aldo stampa anche i primi cataloghi editoriali. A una produzione industriale – al contempo di pregio – affianca innovazione, animazione culturale, comunicazione del marchio. Inventa caratteri, usa per primo il Bembo, ancora oggi uno standard. Scrive lettere prefatorie per i suoi libri che anticipano la quarta di copertina (o il risvolto) dove l’editore deve in poche righe avvicinare il lettore all’opera – e l’opera al lettore.
Insomma, nasce la stampa, e con Manuzio si esprime subito ai suoi massimi livelli, tutt’ora per molti versi insuperati. Tra le sue centotrenta e più edizioni c’è un libro che da molti è considerato il più bel libro mai stampato in assoluto. Ha un nome stranissimo: Hypnerotomachia Poliphili, unione di parole greche per esprimere La battaglia d’amore in sogno di Polifilo (amante di Polia). E il suo contenuto non è da meno, scritto in un volgare non corrispondente a quello effettivamente parlato che funge da ipotetico anello di congiunzione con il latino, contaminato da parole greche, arabe, ebraiche, e ricchissimo di neologismi. Una storia intricata, un viaggio iniziatico con sogno all’interno di sogni in un mondo allegorico, simbolico e anche esoterico. Per complicare il quadro, l’autore del testo e delle illustrazioni è ignoto. La sua identificazione è ancora oggi causa di aspre contese accademiche. Ma uno degli aspetti per cui è considerato il più bel libro mai stampato risiede proprio nell’articolazione testo/immagine: bellissime xilografie – stampate con grande perizia – incastonate lungo il testo, in simbiosi, accompagnamento, estensione del testo stesso. Un’articolazione di griglie che farebbe sudare freddo anche un impaginatore contemporaneo, in barba ai suoi modernissimi strumenti informatici.
L’Hypnerotomachia Poliphili, detto anche Polifilo, è forse la prima grande opera di visual sto...

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