Capitolo 1
Definizione e origini del visual storytelling
Sto intervistando un guru delle relazioni pubbliche dâimpresa â uno dei grandi protagonisti di questa disciplina. Ă concentrato nel flusso argomentativo, ma a un certo punto si interrompe, giusto un attimo, prende la carica per dire qualcosa di estremamente importante, lo percepisco: âAttenzione, qui non si parla piĂš della comunicazione di marketing ma del marketing della comunicazioneâ. La distinzione mi è parsa subito abbastanza chiara: un conto è parlare di azioni di comunicazione che perseguono obiettivi di vendita, un conto invece è speculare su casi di comunicazione a fine promozionale per la comunicazione stessa. In altre parole: una cosa è fare una campagna di storytelling, unâaltra è comunicare la propria campagna dicendo che è storytelling sebbene non lo sia. La comunitĂ dei professionisti della comunicazione e del marketing fa invece spesso fatica a distinguere il caso dalla sua speculazione, o, se vogliamo, il caso di vendita dalla vendita del caso.
Questa distinzione è importante. Chi volesse cercare online casi di studio sul visual storytelling dovrebbe farsi largo tra isole di rifiuti non biodegradabili. Nei contesti della comunicazione e del marketing, infatti, la locuzione viene spesso usata per indicare campagne di comunicazione con un forte, ma generico, appeal grafico o fotografico. Visual che di narrativo hanno solo la parola storytelling appiccicataci a posteriori per salire sul carrozzone dellâultimo trend. Câè poi, allâopposto, chi pensa che unâidentitĂ visiva debba oggi essere progettata secondo i precetti del visual storytelling, dimenticandosi che il visual design non è affrontabile come una branca del visual storytelling, ma che piuttosto è vero lâinverso. Non è tutto storytelling ciò che è visual, ci siamo detti nellâIntroduzione, mentre il visual design è ovunque: sullo schermo del nostro device, nellâabito che indossiamo, nel flyer della pizzeria allâangolo, nel cartoccio di latte che ogni mattina prendiamo dal frigo.
Ecco perchĂŠ ritengo si imponga la necessitĂ 1) di dare una definizione il piĂš possibile chiara e completa di visual storytelling, e 2) di individuare lâorigine di forme ascrivibili a questa disciplina.
Le condizioni per il visual storytelling
Per ciò che riguarda il punto 1), ci sono arrivato partendo dal concetto di visual design e restringendo pian piano il campo secondo ciò che mi dettavano i casi narrativi studiati e quelli da me direttamente risolti. La definizione, abbastanza semplice, si compone di una serie di condizioni in presenza delle quali, per quanto mi riguarda, è lecito parlare di visual storytelling.
Parliamo di visual storytelling se:
1. Sono previste una progettazione e una produzione orientate alla replicabilitĂ .
2. Si programma una diffusione su uno o piĂš mezzi.
3. Si costruisce una comunicazione per immagini.
4. Si narra una storia o rappresenta un mondo narrativo.
5. La narrazione costruita è di marca (anche personale), quindi con una specifica proposizione di valore e con una specifica intenzione.
Se queste sono le condizioni, il campo si restringe: rimangono infatti escluse classiche forme di arte e artigianato (progettate per essere pezzi unici), cosĂŹ come resta fuori il design nelle sue accezioni unicamente funzionali. E non câè posto neanche per il fine a se stesso e il fatto per me, cioè tutto ciò che nasce senza uno specifico obiettivo.
Per vedere se regge, portiamo al negativo questa definizione per condizioni. Non è visual storytellingâŚ
1. ciò che non è pensato per essere replicabile;
2. ciò che non è prodotto per essere diffuso;
3. ciò che non è una rappresentazione visiva;
4. ciò che non esprime elementi narrativi;
5. ciò che non risponde a specifici obiettivi.
Se queste sono le condizioni, o se vogliamo i requisiti, il campo si restringe anche in termini temporali. Prendiamo per esempio unâopera grandiosa e a suo modo iconica come la Colonna Traiana, eretta nel II secolo d.C. a Roma per celebrare una grande vittoria dellâImpero. Sicuramente risponde a specifici obiettivi comunicazionali (condizione 5); difficilmente si potrebbe sostenere che non è narrativa (condizione 4); è una rappresentazione visiva (condizione 3); meno pacifico il fatto che sia comunicata e comunicabile tramite uno o piĂš mezzi (condizione 2); molto difficile, infine, sostenere che sia sta stata progettata cosĂŹ per essere replicabile, se non, al limite, tramite altri pezzi unici (condizione 1).
Lo stesso vale per molte altre grandiose opere dellâarte imperiale classica, nĂŠ ci aiuta il Medioevo, mentre nel Rinascimento, e piĂš precisamente nel 1455, accade qualcosa, dal nostro punto di vista una vera rivoluzione: nasce la stampa a caratteri mobili. Il suo prodotto, il libro, richiede progettazione editoriale e un processo industriale (condizione 1); è forse il mezzo piĂš conosciuto e longevo, atto a una diffusione potenzialmente illimitata (condizione 2); è primariamente composto da segni o âalfabeti tipograficiâ, ma può comunicare anche attraverso immagini (condizione 3); sicuramente è rivolto alla narrazione (condizione 4); è proposizione di valore di una marca editoriale, ed è prodotto per un obiettivo specifico: la vendita (condizione 5).
Tra queste condizioni, quella meno scontata risulta essere la 3: la stampa, infatti, nasce innanzitutto per diffondere parole, anche a scapito delle splendide miniature dei manoscritti, che erano invece copiabili dagli amanuensi ma non riproducibili sistematicamente su un piano tecnico. Le immagini nelle prime opere a stampa vengono utilizzate, anche a un certo grado di evoluzione, ma soprattutto a scopo docetico nella trattatistica scientifica, quindi non a scopo narrativo. Oppure narrativamente, ma a un basso grado di evoluzione, per esempio come rafforzativo, a fine capitolo, della morale della narrazione stessa.
Il piĂš bel libro mai stampato
Per trovare un eclatante caso narrativo di coordinamento testo/immagine dobbiamo superare di qualche decennio la nascita della stampa. E piĂš precisamente dobbiamo arrivare alla fine del Quattrocento. In quegli anni è attivo a Venezia quello che verrĂ ricordato come lâeditore principe del Rinascimento europeo e padre dellâeditoria moderna. Il suo nome è Aldo Manuzio. Nato verso il 1450 a Bassiano, piccolo borgo della campagna laziale, studia a Roma e a Ferrara, educa prĂŹncipi a Carpi, infine si trasferisce a Venezia, patria dei commerci ma anche della stampa tipografica. Nel 1495 inizia la pubblicazione delle sue edizioni, note come âaldineâ. Da lĂŹ è un susseguirsi di invenzioni che avrebbero rivoluzionato per sempre lâimpiego, la leggibilitĂ , la diffusione di quel parallelepipedo di carta stampata che chiamiamo libro. Escono i grandi classici latini nel formato in-ottavo con il carattere corsivo: libelli portatiles in formam enchiridii (enrichirĂŹdion significa âche si tiene in manoâ), quelli che noi chiamiamo tascabili, paperback, oggi fra gli oggetti piĂš diffusi al mondo. Da quel momento il libro può essere afferrato con una sola mano, lo si può portare con sĂŠ e lo si può leggere senza bisogno di sedia, tavolo, lume e leggio. Manuzio sistematizza poi, una volta per tutte, lâuso della punteggiatura, inventando anche il punto e virgola. Sceglie la sua marca editoriale, lâĂ ncora con delfino accompagnata dal motto Festina Lente (affrettati con calma): il brand diventa subito famoso, compaiono le contraffazioni. Aldo stampa anche i primi cataloghi editoriali. A una produzione industriale â al contempo di pregio â affianca innovazione, animazione culturale, comunicazione del marchio. Inventa caratteri, usa per primo il Bembo, ancora oggi uno standard. Scrive lettere prefatorie per i suoi libri che anticipano la quarta di copertina (o il risvolto) dove lâeditore deve in poche righe avvicinare il lettore allâopera â e lâopera al lettore.
Insomma, nasce la stampa, e con Manuzio si esprime subito ai suoi massimi livelli, tuttâora per molti versi insuperati. Tra le sue centotrenta e piĂš edizioni câè un libro che da molti è considerato il piĂš bel libro mai stampato in assoluto. Ha un nome stranissimo: Hypnerotomachia Poliphili, unione di parole greche per esprimere La battaglia dâamore in sogno di Polifilo (amante di Polia). E il suo contenuto non è da meno, scritto in un volgare non corrispondente a quello effettivamente parlato che funge da ipotetico anello di congiunzione con il latino, contaminato da parole greche, arabe, ebraiche, e ricchissimo di neologismi. Una storia intricata, un viaggio iniziatico con sogno allâinterno di sogni in un mondo allegorico, simbolico e anche esoterico. Per complicare il quadro, lâautore del testo e delle illustrazioni è ignoto. La sua identificazione è ancora oggi causa di aspre contese accademiche. Ma uno degli aspetti per cui è considerato il piĂš bel libro mai stampato risiede proprio nellâarticolazione testo/immagine: bellissime xilografie â stampate con grande perizia â incastonate lungo il testo, in simbiosi, accompagnamento, estensione del testo stesso. Unâarticolazione di griglie che farebbe sudare freddo anche un impaginatore contemporaneo, in barba ai suoi modernissimi strumenti informatici.
LâHypnerotomachia Poliphili, detto anche Polifilo, è forse la prima grande opera di visual sto...