Dialogo della salute e altri scritti sul senso dell'esistenza
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Dialogo della salute e altri scritti sul senso dell'esistenza

Carlo Michelstaedter

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Dialogo della salute e altri scritti sul senso dell'esistenza

Carlo Michelstaedter

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Carlo Michelstaedter scrisse il Dialogo della salute nel 1910, mentre lavorava alla stesura della tesi di laurea, e lo concluse il 7 ottobre. Dieci giorni dopo si sarebbe tolta la vita. Cosa può significare riflettere, dialogando socraticamente, sulla salute trovandosi nel contempo in prossimità di una morte volontaria? Non si creda che Michelstaedter, nelle sue pagine, irrida il nostro «stato mortale», come sembra fare il custode del cimitero nella pagina che apre il Dialogo. Piuttosto egli c'invita a essere pienamente noi stessi ritrovando la verità profonda della nostra esistenza: chi ha la «salute» può guardare in faccia persino la morte, la quale «di fronte a lui è senz'armi». Perché l'oscurità, per lui, «si fende in una scia luminosa», ed egli «sa godere la luce del sole».

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788857549408

GIORGIO BRIANESE

MICHELSTAEDTER, O LA VERITÀ DELLA SALUTE

1
CARLO, IL GRECO

«Ecco qua; sembra che tra loro
ci sia come una gigantomachia,
per via della disputa sull’essere
degli uni contro gli altri»
(PLATONE, Sofista, 246 a)
La prima parola de La persuasione e la rettorica viene pronunciata dalla voce di Sofocle. Ecco, infatti, come parla Elettra nell’epigrafe dell’opera:
μανθάνω δ! όθούν
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κα
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ξωρα пράσσω κούκ
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μοì пροσ
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ικότα1,
dichiarando la consapevolezza (che Carlo Michelstaedter fa propria) di agire in un modo che, agli occhi di un mondo condannato alla Rettorica, non può apparire se non come inopportuno e sconveniente.
Inopportuna e sconveniente – un modo come un altro per affermarne la radicale, intransigente inattualità – ha dunque la consapevolezza (e l’ambizione) di essere la scrittura di Michelstaedter: «Io lo so che parlo perché parlo ma che non persuaderò nessuno; e questa è disonestà» (PR, p. 3). Nel suo contenuto come nella sua forma: raccolta di fonti innumerevoli che, attratte nella pagina michelstaedteriana, vivono fuse mirabilmente insieme, divengono parte organica di quell’«unico pensiero»2 che Michelstaedter sente di dover consegnare alla pagina scritta (e, per ciò, ad un possibile lettore che l’interpreti), poiché «è pur necessario che se uno ha addentato una perfida sorba la risputi» (PR, p. 3). Una unicità di pensiero che dice l’ autenticità radicale di una riflessione filosofica3 che è insieme cammino esistenziale, unità inscindibile di pensiero ed essere, in un senso insieme prossimo e lontano dalla celebre sentenza parmenidea: «τò γὰρ αὐτò νo
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îν
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στìν τ
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καì
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ναι», pensare ed essere sono il medesimo4.
L’ampiezza e la varietà del materiale utilizzato e armonicamente inserito dal Goriziano nei propri scritti suggerisce che il cammino solitario5 di Michelstaedter ha – almeno all’apparenza paradossalmente – non pochi compagni di strada: i Persuasi e, tra loro, anzitutto coloro i quali vengono nominati dallo stesso Michelstaedter nella breve «Prefazione» alla Persuasione: Parmenide, Eraclito, Empedocle, Socrate, l’Ecclesiaste, Cristo, Eschilo, Sofocle, Simonide, Petrarca, Leopardi, Ibsen, Beethoven(cfr. PR, pp. 3-4). Ricompare, greco tra i Greci, il nome di Sofocle, ma colpisce, accanto a lui, la presenza numerosa dei pensatori della grecità classica, accanto a quella, più rara, dei moderni.
Piero Pieri, in uno studio magistrale dedicato Michelstaedter6, ha osservato che
il rapporto intrattenuto da Michelstaedter col pensiero degli antichi sembra riflettere la stessa ragione filosofica che aveva animato Schopenhauer lettore delle Upanishads e Nietzsche presocratico. Modelli antichi e classici sono assunti come fonti esemplari per confutare le false idee che dominano la cultura contemporanea […]. Gli autori ricordati sono dei classici e insieme dei contemporanei perché la loro domanda di assoluto può ancora offrire all’uomo moderno la via della salvezza. Essi hanno cercato l’oggetto finale della natura umana sottraendosi ai fantasmi e al carattere illusivo dei fatti che organizzano la materialità del reale. Ricorrendo alla loro autorità, Michelstaedter può così esercitare la sua critica nei confronti di ogni forma antica e moderna di servitù. Autori ed esperienze appartenuti ai secoli passati possono ancora aggredire e nuovamente stimolare la coscienza dei contemporanei7.
Gli antichi si ergono a maestri dei contemporanei, emergono dal magma8 della scrittura michelstaedteriana, facendosi portavoce dell’istanza radicale (e ineludibile) della Persuasione.
Un’operazione spontanea, seguendo lo svolgersi della quale il lettore rimane colpito dalla presenza reiterata della scrittura greca (nelle pagine della Persuasione e, più ancora, in quelle delle Appendici critiche). Né basta a spiegarla l’occasione dello scritto principale di Michelstaedter – il suo essere, cioè, nato come dissertazione di laurea, bisognoso perciò di attestare una almeno adeguata conoscenza della cultura classica da parte del candidato. Non basta, perché il lettore della Persuasione sa bene quanto lontana sia questa tesi di laurea da qualsiasi forma di più o meno artefatta deferenza nei confronti del potere accademico e delle sue convenienze9. È, quella di Carlo Michelstaedter, una tesi di laurea che non concede alcuno spazio all’accademia e getta il lettore in un vortice nel quale ne va della vita stessa e della propria salute.
Una tesi nella quale, inoltre, quella fusione delle fonti alla quale ho fatto poc’anzi riferimento, risulta particolarmente efficace e significativa anzitutto in riferimento alle parole dei Greci. Tanto che si ha spesso l’impressione che a Michelstaedter il linguaggio dei Greci sia come connaturato, quasi la forma più adatta di espressione di un pensiero sempre sul punto di travolgere ogni barriera linguistica e metalinguistica. Si ha la sensazione, insomma, che il Goriziano parli greco anche quando parla nella propria lingua10, e che anche per questo riesca a dare armonica collocazione alle parole dei Padri del pensiero occidentale, perché «parla il loro linguaggio, sì che perfino il greco è quasi più dell’italiano sulla sua bocca»11. Non per caso, come è stato notato, «nel corso dell’ultimo anno, impegnato dalla tesi di laurea», Michelstaedter «leggeva continuamente il suo Platone e la lingua greca era diventata il suo metalinguaggio. Nell’esasperata solitudine in cui viveva, le voci di Socrate, di Fedro, di Fedone, di Gorgia, degli altri personaggi platonici popolavano i suoi silenzi così da creare una familiarità»12.
Anche per questo quello di Michelstaedter e i Greci è un binomio che segna in modo determinante e inconfondibile l’ itinerario di pensiero e lo stile della scrittura del Goriziano. Nei confronti di un pensatore come Michelstaedter vale certamente l’esigenza di «ricercare quali siano gli elementi costitutivi» della sua filosofia, quali siano «le fonti filosofiche dalle quali egli trae ispirazione, quale il modo in cui vengono filtrate attraverso la particolare sensibilità dell’autore»13. Ma – si ribadisca – conta soprattutto collocare tali fonti nel contesto in cui Michelstaedter le utilizza “liberamente”14, quasi riforgiandole e assegnando loro un significato il più delle volte interamente asservito all’esigenza di comunicare l’autentica Persuasione. Michelstaedter non affronta i pensatori, con i quali volta per volta ha a che fare, con l’intento di ricostruire in modo “obiettivo” (qualsiasi cosa ciò possa voler dire) il loro pensiero; egli tenta, piuttosto, di lasciare che in essi parli spontanea la voce della Persuasione, prova ad evocare e a sviluppare, per mezzo delle loro parole (che però, a questo punto, non sono già più “loro”, bensì espressione della Persuasione stessa) un pensiero che non sia più quello delle «cornacchie nel loro volo pesante», bensì quello del «falco» che, «nello slancio del suo volo, stabile il corpo, batte equamente le ali, e si leva sicuro verso l’alto» (PR, p. 47). Non più, in altri termini, il pensiero della rettorica ripetitiva e incerta, bensì quello della persuasione, nella quale l’uomo, così come il falco nel suo volo, «mantiene in ogni punto l’equilibrio della sua persona»e rende attuale la parmenidea «vicinanza delle cose più lontane» (PR, p. 48)15.
Detto questo, tuttavia, viene da chiedersi se sia possibile cogliere in modo più determinato la prossimità (o, eventualmente, la distanza) tra Carlo Michelstaedter e i Greci. È possibile dare una forma definita al dialogo che il Goriziano ha costantemente intessuto con il pensiero delle origini e allo «statuto presocratico della Persuasione»?16 A me pare non solo lecito, ma doveroso, porre questi interrogativi, anche in considerazione della relativa facilità con la quale, spesso, i critici hanno liquidato la questione. Si potrà non riuscire a ricostruire analiticamente le forme del dialogo intessuto da Michelstaedter con i Greci, ma almeno se ne potranno delineare i tratti di fondo, evidenziando in modo particolare l’intenzione del pensiero michelstaedteriano di collocarsi in una prossimità essenziale con il pensiero delle origini.
Qui come altrove Michelstaedter risulta vicino a molte delle esperienze filosofiche della modernità. Si pensi – a puro titolo d’esempio – alla massiccia presenza del pensiero dei Greci – segnatamente dei Presocratici – in filosofi come Hegel e Nietzsche, come Heidegger e Jaspers, o, qui da noi, come Emanuele Severino.
La persuasione e la rettorica conferma, nell’intenzione esplicita, la prossimità di Michelstaedter alla Grecità classica. Anzitutto perché l’opera nasce, è noto, come un’indagine intorno ai concetti di “persuasione” e di “rettorica” nel pensiero di Platone e di Aristotele. Ma, ad un tempo, essa, presa nella sua integralità, ci riconduce anche al limite di quella vicinanza: l’indagine specifica è in qualche modo relegata altrove, consegnata com’è a quelle Appendici critiche che, spesso sottovalutate, quando non affatto ignorate dagli interpreti17 sono pur sempre, ad onta della loro rilevanza specifica, delle «Appendici» all’opera vera e propria.
L’attenzione del lettore è dunque richiamata, dallo stesso Michelstaedter, altrove. Si badi: non intendo sostenere che la disamina del pensiero platonico e aristotelico sia irrilevante nell’economia complessiva del pensiero del Goriziano, o ininfluente rispetto all’impianto di fondo dell’opera. Mi interessa piuttosto proporre all’attenzione del lettore la possibilità che il significato più autentico del pensiero di Michelstaedter vada rintracciato altrove: nell’uso che Michelstaedter fa della parola dei Greci e, in particolare, di quella dei Presocratici18. In quella fusione – alla quale si faceva cenno più sopra – per la quale la parola dei Greci diventa la parola stessa di Michelstaedter, e il pensiero di quest’ultimo trova espressione adeguata nella lingua di quei pensatori.
Già ne L’orazione «Pro Q. Ligario» tradotta da Brunetto Latini – uno scritto del giugno 1908 (cfr. SCOL, pp. 171-200) – l’attenzione filologica era deviata dall’Autore nella direzione di una assimilazione filosofi...

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