Manuale di copywriting e scrittura per i social
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Manuale di copywriting e scrittura per i social

Alfonso Cannavacciuolo

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  1. 272 pagine
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Manuale di copywriting e scrittura per i social

Alfonso Cannavacciuolo

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Manuale di copywriting e scrittura per i social offre una risposta teorico-pratica alle domande quotidiane di migliaia di persone che ogni giorno lavorano con Facebook, Instagram, LinkedIn e gli altri social, andando a colmare una lacuna nella manualistica italiana dedicata alla scrittura. Chi sono gli utenti e come ottenere la loro attenzione? Quali sono gli obiettivi giusti e quali contenuti pubblicare per raggiungerli? Come si scrive un post o un'inserzione pubblicitaria? Come si progetta e realizza un meme o una sceneggiatura per un video? Come si deve scrivere una didascalia o una biografia per Instagram? Rispondendo a tutti questi interrogativi, il manuale è di fatto una guida indispensabile, ricca di consigli, esempi e tecniche sperimentate, per chiunque lavori con i social, per le aziende e le agenzie di comunicazione o come freelance.

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Informazioni

Editore
Hoepli
Anno
2020
ISBN
9788820398552

Parte 1

Impostare il lavoro di scrittura

Capitolo 1

Destinatari, target, personas

Chi legge le cose che scriviamo sui social?

Non c’è scrittura senza lettore, quindi prima di chiederci cosa pubblicare dobbiamo capire chi leggerà ciò che scriviamo. In questo capitolo analizziamo i diversi tipi di lettori, le segmentazioni di mercato e le modalità di consumo dei contenuti dei diversi social. Partiamo dalle classiche definizioni di target e personas per arrivare a un modello più evoluto che tiene conto anche di altri fattori: la generazione di appartenenza, i tipi psico-sociali, la capacità di lettura. Cercheremo di rispondere alla domanda che si fa chiunque scriva per i social: chi c’è oltre lo schermo? Iniziamo, però, con alcune precisazioni doverose e utili.

Il marketing prima di tutto

La definizione precisa del destinatario è un obiettivo di marketing prima ancora di essere un obiettivo di comunicazione social. Se si decide di creare un prodotto o servizio bisogna aver compreso bene chi sono i consumatori a cui venderlo, quante e quali sono le loro caratteristiche. I social sono solo uno dei tanti strumenti per raggiungere questo target.

La segmentazione per gruppi

Quello che la pubblicità ha sempre provato a fare è ridurre la totalità della popolazione in gruppi omogenei da raggiungere. Un pubblico indefinito è la prima sciagura che colpisce chi deve fare comunicazione d’impresa. Avere un pubblico definito e omogeneo, invece, permette azioni più specifiche ed efficaci. Nel corso degli anni, quindi, sono stati elaborati modelli che hanno diviso le persone per età, sesso, reddito, stili di vita, caratteristiche psicologiche e così via. Anche l’omogeneità, però, ha i suoi limiti. L’idea secondo cui se due persone condividono età, sesso e città di residenza avranno comportamenti di consumo simili è sbagliata, o vera solo in parte. Queste classificazioni, seppure imprecise, erano comunque molto utili e hanno funzionato bene quando la società era molto più uniforme e i prodotti di massa erano la norma. Oggi siamo nell’“era del cliente” che si sente e vuole essere unico, avere esperienze personalizzate, sfuggire alla classificazione di massa. Quello che non è riuscito alle società di ricerca per quasi un secolo è oggi possibile grazie alla tecnologia. Nel momento in cui stai leggendo questo libro, infatti, gli algoritmi di Facebook, LinkedIn, Google e altri sono al lavoro sui dati di qualche miliardo di persone per fornire loro contenuti e inserzioni pubblicitarie personalizzate. Di questo parleremo nei prossimi paragrafi.

Dal modello AIDA alle inserzioni personalizzate

Nel mondo perduto di solo un decennio fa, le cose per le aziende erano molto più semplici. Le imprese producevano prodotti in serie che venivano venduti a masse di persone raggiunte attraverso la pubblicità su stampa, radio e TV. Per quasi un secolo il marketing ha girato intorno a un modello ideato nel 1898 dal pubblicitario americano Elias St. Elmo Lewis. Il modello era AIDA (Awareness, Interest, Desire, Action), acronimo che in italiano possiamo tradurre con le parole attenzione, interesse, desiderio e azione. Per vendere un prodotto si passavano dei livelli necessari che partivano dalla conoscenza del prodotto per arrivare alla considerazione, al desiderio di comprarlo e all’acquisto vero e proprio. Questo modello funzionava per tutti, perché per il marketing eravamo tutti uguali. Questo percorso assumeva la forma di un imbuto, da cui la tanto abusata espressione “funnel di vendita” (Figura 1.1). Nella prima fase si facevano entrare nell’imbuto 100.000 persone con una campagna pubblicitaria, se ne perdevano 50.000 nella seconda, solo 10.000 passavano alla fase del desiderio, 500 compravano. Il cliente era un soggetto sostanzialmente passivo che poteva incidere sui destini di un prodotto poco o niente e con un passaparola dagli effetti limitati. Prima dei social, un cliente felice o deluso poteva riportare la sua esperienza nella sua cerchia di conoscenti e amici, ma non aveva nessun mezzo per incidere profondamente sull’acquisto effettuato da altri soggetti. Tutte le informazioni in circolazione su di un’azienda erano controllate dal marketing e dall’ufficio stampa. Poi il passaparola è diventato elettronico e aperto a tutti: il consumatore ha iniziato a generare contenuti sulla marca inserendo la propria opinione in tutte le fasi del processo. Banalmente, questo è quello che facciamo quando lasciamo un commento su un post che presenta un prodotto, una recensione su Tripadvisor o una foto su Instagram in cui tagghiamo il ristorante in cui abbiamo cenato.
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Figura 1.1 – Percorso di vendita del modello AIDA.

Il consumatore dirige l’azienda

Una delle regole della comunicazione d’impresa è “metti la pubblicità dove la gente guarda”. Ed è innegabile che in questi anni gli occhi dei consumatori siano tutti rivolti verso le bacheche dei social. Per le aziende queste piattaforme sono straordinarie occasioni di visibilità, ma sono anche piene di rischi. Perché con i social i consumatori non sono solo soggetti passivi, possono anche dire la loro. In pratica, anche se solo virtualmente, sono entrati nelle riunioni aziendali senza chiedere permesso. Si sono seduti accanto al direttore generale o al capo del marketing e si sono messi a dire cosa pensano dei prodotti, della loro utilità o qualità, del prezzo o del loro essere morali ed ecologici. È un bel grattacapo per le imprese, non credi?

Le personas

Quando si parla di destinatari dei contenuti social si pensa immediatamente al modello delle personas che si è affermato negli ultimi anni. In realtà, il modello nasce nel campo informatico nel 1974, per volontà di Alan Cooper, ma ben presto viene rapito dagli uffici marketing tradizionali per poi arrivare nel digitale. In pratica, il destinatario della comunicazione social viene definito sulla base di alcuni elementi:
Elementi socio-demografici. Età, sesso, città di residenza, lavoro.
Elementi economici. Lavoro, reddito, capacità di consumo, beni di interesse.
Interessi. Cosa ama fare, quali sono i suoi hobby, come impiega il suo tempo libero.
Tecnologia. Quali strumenti usa, come si collega alla Rete, in quale ora e da quale luogo. Possiede PC, smartphone, tablet, smart TV o altri dispositivi?
Impatto sul mercato. Quale impatto ha sul mercato di riferimento? Rappresenta una piccola percentuale o la maggioranza? Ha molto da spendere o è sotto la media?
Con il modello personas si ottiene l’identikit di un cliente ideale definito come se fosse una persona reale. Ecco un elenco delle caratteristiche che contiene:
[Nome persona] e professione;
la carta d’identità di [Nome persona];
un giorno nella vita di [Nome persona];
[Nome persona] e il suo lavoro;
lavori di casa e tempo libero;
cosa fa [Nome persona] quando non è al lavoro;
obiettivi, paure e aspirazioni di [Nome persona];
conoscenze informatiche e abilità;
quale tecnologia usa [Nome persona];
influenza sul mercato di riferimento;
come entra in contatto con le persone;
una citazione che rappresenti [Nome persona].
Quello che esce fuori è una descrizione di questo tipo.
Anna ha 33 anni e vive a Orvieto, una delle più belle città dell’Umbria. Vive insieme a suo marito e suo figlio Andrea di 3 anni, nella loro casa di proprietà. Il reddito è medio-alto e la famiglia vive tranquillamente. Ancora 8 anni e il mutuo finalmente finirà! Suo marito, Carlo, ha un negozio di telefonia nel centro di Orvieto. Anna lavora in un’azienda che produce sedie da ufficio, a 5 km da casa, nella zona industriale. Il suo lavoro le piace, anche se come tutti a volte sogna di vincere la lotteria e fuggire su un’isola caraibica.
Dopo il lavoro Anna fa un po’ di compere nel centro commerciale vicino all’azienda e poi va a prendere suo figlio dalla nonna Maria, sua mamma. Due volte a settimana si incontra con le amiche in centro a Orvieto per un aperitivo prima di andare a casa. Le piacerebbe tanto andare in palestra ma dovrebbe rinunciare a questi due appuntamenti settimanali con le amiche.
Anna sa usare bene il computer perché è il suo strumento di lavoro, ma preferisce il telefonino per chattare. Usa Facebook e WhatsApp per tenere i contatti, Instagram per fare un po’ di gossip ma non pubblica tante foto. Va su YouTube per mettere la musica sulla TV di casa, soprattutto sabato e domenica. Anna segue molti blog di moda ed estetica, ma non tralascia pagine e siti di fotografia, la sua antica passione che non è diventata un lavoro.
La frase che ripete sempre Anna è: “Chi va piano va sano e va lontano. Ma ogni tanto bisogna correre!”.

I vantaggi del modello personas e l’anti-personas

Il modello personas ha molti vantaggi: permette di lavorare su un’ipotesi più o meno credibile di destinatario. Anche se non è perfettamente aderente alla realtà, è sempre meglio che andare a caso senza un utente di riferimento. Un ...

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