La cultura della sorveglianza
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La cultura della sorveglianza

Perché la società del controllo ci ha reso tutti controllori

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La cultura della sorveglianza

Perché la società del controllo ci ha reso tutti controllori

Informazioni su questo libro

David Lyon è un importante testimone delle conseguenze nefaste della sorveglianza contemporanea.
Questo suo nuovo lavoro ci mette in guardia: i moderni regimi di sorveglianza si stanno insinuando nelle nostre vite dando forma anche alle nostre esperienze più intime.
Lyon esplora il rischio che tutto questo diventi normale, ci invita a resistere e agire e ci suggerisce le alternative possibili. Ancora una volta gli siamo debitori."
Shoshana Zuboff, autrice de Il capitalismo della sorveglianza Per secoli il concetto di sorveglianza è stato legato a idee come la tutela dell’ordine, la garanzia del corretto funzionamento sociale, l’intelligence e la difesa dello Stato o, nelle sue versioni distorte, l’uso coercitivo del potere. In anni recenti abbiamo scoperto invece come, nell’era dell’iperconnessione, la sorveglianza sia diventata l’elemento chiave del nuovo ordine economico imposto dalle grandi multinazionali del web che, osservando i nostri comportamenti e indirizzandoli a nostra insaputa, hanno accumulato enormi quantità di ricchezza e potere. Secondo David Lyon quello che sta accadendo all’interno della nostra società è persino più inquietante: non c’è più bisogno di un “Grande Fratello” che ci sorvegli e punisca all’occorrenza, visto che siamo noi stessi ad alimentare il sistema in cui viviamo, forse perché riteniamo di non aver niente da nascondere, o semplicemente perché, accettando la logica della sorveglianza, ne traiamo beneficio: ciò accade ogni volta che ci osserviamo a vicenda sui social network, o quando proteggiamo la nostra proprietà, o quando semplicemente teniamo sotto controllo i nostri figli o monitoriamo il traffico. La cultura della sorveglianza è quella in cui tutti siamo immersi e alla quale tutti contribuiamo: un luogo da incubo, se lasceremo prevalere chi ne fa un uso senza scrupoli, o quello in cui costruire, grazie a politiche e comportamenti etici e condivisi, un futuro più equo e trasparente.

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Parte II
Correnti culturali
La seconda parte del libro esplora la cultura della sorveglianza come fenomeno emergente all’interno dei mondi familiari della sorveglianza. Nel capitolo 2, “Dalla convenienza all’accettazione”, mostriamo che le tipologie di sorveglianza messe in atto da organizzazioni governative, polizia e corporation sono il terreno su cui oggi stanno crescendo i nuovi immaginari e le nuove pratiche della sorveglianza. Il viaggiatore in aeroporto o l’utente di internet davanti allo schermo non sono necessariamente consapevoli della sorveglianza sin dall’inizio. Quando se ne accorgono, tuttavia, quella presa di coscienza si condensa in una sezione dell’immaginario della sorveglianza.
Una volta formatosi, l’immaginario permea le azioni future, che potrebbero produrre qualsiasi esito, dall’accettazione alla contestazione. La maggior parte delle persone si rende conto che gli strumenti del controllo e dell’influenza sono caratteristiche fondamentali della sorveglianza dello Stato e delle aziende, anche se non conoscono i meccanismi precisi con cui operano. Reagiscono all’esperienza della sorveglianza più che a una conoscenza ravvicinata dell’influsso che potrebbe esercitare. Lo sviluppo della cultura della sorveglianza – soprattutto attraverso la performance – produce possibilità di reazioni più sfumate e riflessive agli schemi di potere predominanti.
Il capitolo 3, “Dalla novità alla normalizzazione”, propone un’analisi simile, concentrandosi in questo caso sui modi in cui la comparsa di una nuova cultura della sorveglianza è in parte stimolata dall’onnipresente infrastruttura di informazione e dalla diffusione delle piattaforme digitali nel mondo di oggi. È impossibile comprendere la cultura della sorveglianza contemporanea senza prendere in considerazione la familiarità degli oggetti digitali – dati per scontati, normali, consueti, addomesticati – e dei meccanismi di sorveglianza che essi sostengono e animano. Man mano che entrano a far parte della vita quotidiana, contribuiscono alla cultura della sorveglianza.
Questo schema prosegue nel capitolo 4, “Dall’online all’onlife”, in cui gli aspetti normalizzati della cultura della sorveglianza potrebbero essere considerati non soltanto un male necessario, come la security in aeroporto, ma anche fenomeni gradevoli, desiderabili, persino divertenti. Il selfie è forse l’illustrazione archetipica di questo processo, in cui non solo i partecipanti accolgono l’occhio altrui che osserva, ma forniscono le proprie immagini e i propri video al consumo altrui. Questi rappresentano gli strumenti che contribuiscono al divertimento di essere osservati, riconosciuti e persino celebrati, o quanto meno di ottenere dei “like”. Il contesto si rivela cruciale: alcuni occhi che osservano sono sgraditi e ci sembrano invadenti o malevoli, altri invece li accogliamo e li consideriamo attributi della nostra identità e dell’immagine positiva che abbiamo di noi stessi.

capitolo 2

Dalla convenienza all’accettazione
“Ha osservato attentamente tutte le regole, ha mantenuto almeno un altro lavoro nella security e ha frequentato la scuola serale. Quando non stava lavorando o studiando, guardava serie poliziesche, preparandosi così ad affrontare le minacce più recenti. In altri termini, era un grande sostenitore della sicurezza e nutriva grandi aspirazioni”. Questo è Lance, un addetto alla sicurezza dei trasporti dell’Albany International Airport nello stato di New York. È stato assegnato alla formazione di un nuovo addetto, che non aveva ancora perfezionato le sue performance soprattutto nelle perquisizioni, quella forma stranamente intima di sorveglianza tattile obbligatoria dopo l’11 settembre.1
Lance ha un ruolo da interpretare, e guardare serie poliziesche fa parte della sua preparazione. Per quanto i passeggeri possano lamentarsi dei ritardi o persino della disumanizzazione durante i controlli della security, vale la pena ricordare che anche gli addetti alla sicurezza rivestono un ruolo obbligato. In linea con il tema della crescita della cultura della sorveglianza, tuttavia, questo capitolo esplora i ruoli interpretati da chi fa esperienza della sorveglianza. In tal modo otteniamo molti indizi sugli immaginari e le pratiche della sorveglianza dal basso.
Qui ci concentriamo sulle persone che fanno esperienza di forme di sorveglianza piuttosto convenzionali, prima nel campo della security e poi in quello del marketing. Gli immaginari e le pratiche di chi deve passare la security negli aeroporti o decidere se usare o meno alcuni termini di ricerca che potrebbero risultare incriminanti variano in base a numerosi fattori. La nazione di origine, il genere e ovviamente le esperienze negative pregresse fanno la differenza. Anche la scelta di usare o meno una carta fedeltà o addirittura di dove fare la spesa differisce in base alla conoscenza e all’esperienza, oltre che al genere, alla classe ecc. Questo capitolo presenta alcuni esempi pertinenti senza pretendere di fornire una rassegna completa o sistematica.
Tornando all’aeroporto, dunque, sentiamo un commento a caso di un passeggero al Pearson International Airport di Toronto su come ci si sente a passare la security e su come le reazioni personali possono essere indebolite: “Sento che sono loro ad avere tutto il controllo. Se non vogliono farmi passare non passo, e se vogliono essere sgarbati lo sono e io non posso dire niente, perché voglio partire per il mio viaggio”.2
Questo aspetto dell’immaginario della sorveglianza è ben noto a molti passeggeri che viaggiano in aereo, soprattutto dopo l’11 settembre. E la pratica della sorveglianza in questo caso consiste nel non dire e non fare niente che potrebbe essere considerato sospetto. Si arriva persino, ha scoperto un ricercatore,3 a costringersi al silenzio, nel caso di una giovane famiglia, non di lingua inglese e non “bianca”, che viene presa da parte non solo per essere interrogata, ma per ricevere un trattamento completamente diverso da quello accordato agli anglofoni dalla pelle chiara. Qui vediamo un esempio chiarissimo di cautela e accettazione. La consapevolezza della sorveglianza induce a tipologie particolari di atteggiamenti e di azioni.
Poiché viaggiare in aereo per lavoro o per piacere è un aspetto della sorveglianza che riguarda molti e che spesso finisce sulle prime pagine dei giornali con storie sui nuovi sistemi, come i controlli biometrici automatizzati alle frontiere o l’uso dei body scanner, vale la pena partire da qui, dall’aeroporto. Ci tornerò di nuovo nella sezione successiva. Sembra che ci sia una diffusa accettazione. I passeggeri sono governati semplicemente dallo sguardo? Cos’è esattamente questo sguardo e cosa significa essere governati? Ricordiamo che lo sguardo può generare ansia.4 E i passeggeri sanno, grazie alla loro esperienza negli aeroporti, che questa ansia potrebbe riemergere facilmente quando poggiano il laptop, la giacca e talvolta le scarpe sul nastro trasportatore perché lo scanner a raggi X li esaminino, sotto lo sguardo degli addetti alla sicurezza.
Tuttavia possono anche prodursi effetti paralleli, o no, con uno sguardo che non è letteralmente visivo e che riduce al silenzio in modi completamente diversi. I passeggeri magari trovano minaccioso o potenzialmente invadente nei confronti della privacy il body scanner dell’aeroporto ma, se allarghiamo il contesto, che dire dei giornalisti, dei blogger o di chi manda messaggi e scopre di essere tracciato a causa di qualche parola che ha usato? Questi “effetti dissuasivi” possono essere devastanti. Influiscono non solo sul singolo individuo ma riguardano anche le prospettive della professione giornalistica e persino la stessa democrazia.
In ogni caso, nella sorveglianza sui passeggeri o sugli utenti di internet, vengono suscitate delle emozioni. La paura è uno strumento potente per indurre all’accettazione o per silenziare delle voci. E poiché ansia, paura e incertezza sono facilmente e di frequente collegate al termine “sorveglianza”, dobbiamo esaminarle. Gli accademici in particolare sono spesso inclini ad analisi spassionate e distanti, ma rischiano di non riuscire a riconoscere la realtà della vita che va oltre ciò che è freddo e razionale. Un collega, dopo aver letto una prima stesura del mio libro Surveillance after Snowden, ha esclamato, “e dov’è lo scandalo?”. Una reazione utile a ricordarci che talvolta i tentativi di raccontare i fatti potrebbero farci dimenticare che i fatti li abbiamo davanti agli occhi e sono intollerabili. Inutile a dirsi, ho revisionato il testo.
Naturalmente, non tutta la sorveglianza genera automaticamente performance piene di paura o effetti dissuasivi devastanti. Non è così. Possono esserci anche degli “effetti persuasivi”. La sorveglianza non è necessariamente sinistra. I suoi obiettivi possono essere positivi. Non molto tempo fa ho trascorso un periodo ricoverato in ospedale e dopo l’intervento bisognava monitorare le mie funzioni vitali. Un giorno l’infermiera è entrata nella mia stanza e, anziché chiedermi come mi sentivo, ha detto semplicemente che era contenta di vedere il mio battito cardiaco normale. “Ma ancora non l’ha controllato”, le ho risposto. “Oh, sì”, ha fatto lei, “c’è un feed remoto sullo schermo dell’infermeria. La monitoriamo per tutto il tempo”.
La sorveglianza non è soltanto un fatto della vita costante e familiare, ma è anche inserita in un flusso. I volti della sorveglianza si alterano nel corso del tempo e in contesti diversi, e con l’espandersi della sorveglianza anche i nostri immaginari e le nostre pratiche mutano. All’aeroporto, per tornare lì un momento, le performance variano considerevolmente tra i diversi passeggeri. Una parte del copione prevede che i viaggiatori siano già suddivisi e catalogati in base a quanto hanno pagato il volo, e che si dispongano in file diverse e in posti diversi una volta saliti sull’aereo. Ma la posizione percepita del passeggero all’interno di questa gerarchia porta anche all’improvvisazione e persino a provare i ruoli prima della security. Sempre al Pearson Airport, le famiglie che ritengono di avere un aspetto “mediorientale” o “musulmano” si sforzano di avere una barba curata, di non parlare arabo e di ridurre la quantità di abiti sospetti.5
In altri termini, le persone sanno di essere osservate e modificano le proprie mosse in sintonia con i propri immaginari. Allo stesso tempo, ci sono anche contesti in cui la gente tenta di rispondere allo sguardo, o quantomeno di guardare a sua volta. Di nuovo, queste pratiche dipendono dalle tipologie di immaginari all’interno delle quali si collocano le esperienze in costante mutamento. Ormai all’uso degli smartphone per registrare le attività della polizia quando fa accostare i guidatori o durante le manifestazioni, si risponde con l’uso in rapido aumento di videocamere indossabili da parte degli ag...

Indice dei contenuti

  1. La cultura della sorveglianza
  2. Indice
  3. INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA. La sorveglianza: Un tema “classico” per capire il contemporaneo di Gabriele Balbi e Philip Di Salvo
  4. Ringraziamenti
  5. Introduzione: La cultura della sorveglianza prende forma
  6. PARTE I. IL CONTESTO DELLA CULTURA
  7. PARTE II. CORRENTI CULTURALI
  8. PARTE III. CO-CREAZIONE: CULTURA, ETICA, POLITICA
  9. Bibliografia selezionata