XII.1
Disturbo bipolare e suicidio
Sandra Campi, Fabiana Rovedi, S. Diletta Del Bono, Maurizio Pompili
DIPARTIMENTO DI NEUROSCIENZE, SALUTE MENTALE E ORGANI DI SENSO, SERVIZIO PER LA PREVENZIONE DEL SUICIDIO, OSPEDALE SANT’ANDREA, SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
1. Introduzione
Il disturbo bipolare comprende un insieme di segni e sintomi la cui caratteristica predominante è rappresentata da cambiamenti del tono dell’umore in senso patologico; tali variazioni sono scarsamente prevedibili, incontrollabili, prolungate, estreme, eccessive, accompagnate da cambiamenti del pensiero, del modo di comportarsi e anche dei sistemi biologici tali da sconvolgere o rendere estremamente difficile il modo di vivere di chi ne soffre (Scotte et al., 2001).
I pazienti con disturbo bipolare presentano un rischio di mortalità aumentato a seguito delle complicanze generate dalla frequente comorbilità con disturbi legati all’abuso di sostanze e problematiche di carattere internistico (Angst et al., 2011); inoltre, rispetto alla popolazione generale hanno un tasso di mortalità più alto a causa del suicidio (Tondo et al., 2003; Angst et al., 2005; Ilgen et al., 2010; Pompili, 2010).
Il disturbo bipolare è infatti associato con un alto rischio sia di tentato suicidio che di suicidio portato a termine, specialmente nei primi stadi della malattia quando la diagnosi non è ancora ben chiara e manca un idoneo intervento terapeutico (Baldessarini et al., 2006).
Il seguente capitolo ha lo scopo di riassumere rischi, fattori predittivi e trattamenti connessi ai comportamenti suicidari nei pazienti con disturbo bipolare.
2. Il rischio di suicidio nel disturbo bipolare
2.1. Confronto con altri disturbi
Nella popolazione generale il tasso di suicidio e di tentato suicidio variano in relazione alle differenze nei metodi di valutazione, risultando spesso sottostimati. I tassi internazionali di suicidio risultano essere 0,014% ± 0,007% per anno (Tondo et al., 2003; Baldessarini et al., 2007).
Tra le persone con diagnosi di disturbo affettivo, il rischio di suicidio è 20 volte maggiore rispetto alla popolazione generale (Harris et al., 1997).
Il rischio di suicidio espresso come rapporto standardizzato di mortalità (SMR) nel disturbo bipolare (per lo più di tipo I) è in media 22 volte superiore rispetto alla popolazione generale mentre nei pazienti con diagnosi di depressione grave è 20 (Harris et al., 1997; Tondo et al., 2003) (Tab. I).
2.2. Le differenze di sesso nel rischio di suicidio
Nella popolazione generale il rischio di suicidio è molto più elevato tra gli uomini rispetto alle donne.
Nella depressione maggiore unipolare, il rischio di suicidio varia tra i due sessi in modo maggiore rispetto ai pazienti con diagnosi di disturbo bipolare. Prendendo in considerazione il tentativo di suicidio, le donne risultano più inclini rispetto agli uomini (Tondo et al., 2003; Goodwin et al., 2007; Pompili et al., 2009). Da una rassegna completa di 60 studi che coinvolgono 31,814 pazienti con disturbo bipolare emerge che il rischio medio ± SD “long time” di tentativi di suicidio è di 26,1 ± 19,1%, il tasso medio annuo del 2,13 ± 2,00%, e un rapporto maschi/femmine di 2,37 ± 1,94% (Pompili et al., 2005).
Tabella I. Rischio di suicidio nei disturbi specifici
Disturbo | Rischio lifetime (SMR) | Rischio relativo (%/anno) | Tasso di suicidio (%) |
Disturbo bipolare | 28 | 0,39 | 23,4 |
Depressione maggiore | 21 | 0,29 | 17,4 |
Sostanze da abuso | 20 | 0,28 | 16,8 |
Severi disturbi d’ansia | 11 | 0,15 | 9,0 |
Depressione minore | 9 | 0,13 | 7,8 |
Schizofrenia | 9 | 0,12 | 7,2 |
Disturbi di personalità | 7 | 0,10 | 6,0 |
Cancro | 2 | 0,03 | 1,8 |
Popolazione generale | 1 | 0,014 | 0,8 |
* SMR: rapporto standardizzato di mortalità del rischio di suicidio nella popolazione generale, in relazione all’età e al sesso. Da Harris & Barraclough, 1997, e Tondo et al., 2003. |
Questi studi dimostrano che la maggioranza dei pazienti con disturbo bipolare sono a rischio di commettere almeno un tentativo di suicidio per diverse decadi.
2.3. Letalità dei tentativi
Un’importante caratteristica del comportamento suicidario nei pazienti con disturbi affettivi, è l’elevata letalità del tentativo di suicidio che presumibilmente riflette sia l’intenzionalità suicida che i mezzi utilizzati. Tale concetto può essere meglio espresso tramite il rapporto T:S dove T rappresenta il tentato suicidio e S il suicidio completato. Questo rapporto è significativamente più basso nel disturbo bipolare rispetto alla popolazione generale (Tondo et al., 2003).
I tassi di tentativi di suicidio nella popolazione generale sono stimati essere 0,14%-0,28% l’anno, mentre il tasso medio di suicidio è 0,014%. Confrontando questi dati si ottiene un rapporto che varia da 10:1 fino a 30:1 (Tondo et al., 2003; Kessler et al., 2005). Il rapporto T:S che può essere considerato, con buona approssimazione, un indice di letalità, è significativamente più basso nei pazienti con diagnosi di disturbo dell’umore, in particolare con disturbo bipolare di tipo II, indicando una maggiore volontà di morire rispetto alla popolazione generale.
In uno studio condotto da Tondo è stato considerato il rischio di suicidio tra più di 2800 pazienti. L’obiettivo era quello di valutare la letalità dei comportamenti suicidari nei pazienti con disturbo bipolare di tipo I, II e con depressione unipolare. Il tasso annuale di suicidio (%/anno) per i pazienti bipolari di tipo II è risultato maggiore (0,16) rispetto ai pazienti bipolari I (0,14) e unipolari (0,05). Il rapporto T:S era 2,68 volte più basso nel campione studiato rispetto alla popolazione generale (Tondo et al., 2007).
3. Fattori di rischio per il suicidio
3.1. Età d’insorgenza, diagnosi e caratteristiche cliniche
Nelle fasi iniziali del disturbo bipolare il rischio di suicidio è particolarmente alto (Dilsaver et al., 1997; Tondo et al., 1998; Ösby et al., 2001; Goodwin et al., 2007).
Valutando alcuni campioni di pazienti, circa un quarto degli atti sucidari si verificano durante il primo anno di malattia e la metà nel corso dei primi cinque anni.
La latenza media che intercorre dall’esordio del disturbo bipolare, alla diagnosi e al trattamento è tipicamente di cinque-dieci anni e talvolta la malattia viene erroneamente valutata come una depressione unipolare (Faedda et al., 1995; Tondo et al., 1998; Tondo et al., 2003).
Dato il considerevole tempo che, mediamente, separa l’esordio dal riconoscimento della condizione patologica è assodato, tramite studi precedentemente citati, che il rischio di comportamenti suicidari è alto nella prima fase di malattia. È quindi necessario impostare tempestivamente un trattamento adeguato.
Dunner e Fieve nel 1974 precisarono il concetto di malattia bipolare di tipo II con predominanti fasi depressive e notarono un aumento del rischio di suicidio associato proprio a tale condizione patologica (Dunner et al., 1974).
Più di recente, Rihmer e Pestality (1999) trovarono un alto tasso di tentativi di suicidio tra i pazienti con DB II (61/253, or 24,1%) che superava significativamente quello riscontrato tra i bipolari I (103/606, or 17,0%), e ancor di più il valore ottenuto dall’analisi dei tentativi di suicidio tra i pazienti affetti da depressione unipolare (143/1,214, or 11,8%) (Rihmer et al., 1999).
Lo stato depressivo e quello disforico-irritabile, nel DB, sembrano essere particolarmente associati al suicidio. All’interno di un importante campione di pazienti ambulatoriali con DB I e II il 73% dei tentativi di suicidio portati a termine si verificarono in associazione con la fase depressiva; il 16% vennero riscontrati durante lo stato disforico-misto; 11% in corso di una fase ipomaniacale e infine nessun decesso veniva descritto durante lo stato maniacale. Sommando semplicemente le percentuali dei comportamenti suicidari registrati durante la fase depressiva e mista emerge che, proprio in associazione a tali stati di malattia, è concentrato l’89% degli atti suicidari (Tondo et al., 1998). Inoltre, una storia di malattia psichiatrica arricchita da un passato episodio di severa depressione è altamente predittiva di un successivo comportamento suicidario (Dislaver et al., 1997; Tondo et al., 1998).
Nel 2004 Marneros, dopo un solo anno Valtonen e più recentemente Baldessarini (2012) contribuirono a dimostrare che lo stato depressivo misto bipolare si associa a un rischio di suicidio particolarmente alto (Marneros et al., 2004; Valtonen et al., 2005; Baldessarini et al., 2012).
Fattori di rischio generali
Nei disturbi psichiatrici e specificatamente nel disturbo bipolare, il più forte predittore clinico di futuro comportamento suicidario è proprio un precedente tentativo di suicidio.
Etnia caucasica e stato civile (celibe o nubile) possono incrementare il rischio insieme ai diversi fattori clinici particolarmente importanti nel disturbo bipolare ovvero: depressione ricorrente, stato disforico misto, una precedente depressione e la mancanza di speranza (in inglese definita hopelessnes)
Ulteriori fattori di rischio includono la comorbilità con i disturbi d’ansia o con i disordini legati all’abuso di sostanze.
Il temperamento risulta essere particolarmente importante. Profili irritabili e introversi sono elementi significativi da tenere in considerazione nella valutazione globale del rischio di suicidio (Isometsa et al., 1994; Dislaver et al., 1997; Tondo et al., 1998; Jacobs, 2003; Leverich et al., 2003; Goodwin et al., 2007).
Akiskal et al. confrontarono due gruppi di pazienti bipolari di tipo II. Uno di questi campioni era costituito da soggetti con temperamento ciclotimico che risultarono a maggior rischio di comportamenti suicidari riportando una percentuale di tentativi di suicidio pari al 49% (38% per il gruppo dei pazienti non ciclotimici) e un maggior numero di ospedalizzazioni per il rischio di suicidio (Akiskal et al., 2003).
Pompili et al. valutarono 150 pazienti ricoverati affetti da DB I e II, MDD e disturbi psicotici analizzando il temperamento e il rischio di suicidio. Il temperamento ipertimico risultava essere protettivo per il rischio di suicidio e per l’hopelessness (Pompili et al., 2008).
L’impulsività sembrerebbe aumentare il comportamento sucidario, in particolare incrementando i tentativi di suicidio di bassa letalità (Garcia et al., 2001; Tondo et al., 2003).
Non è chiaro quanto il tasso di ricorrenza di malattia o il verificarsi di cicli rapidi (> 4 ricorrenze l’anno) contribuisca a incrementare il rischio di suicidio nei disturbi dell’umore mentre il verificarsi di multipli episodi depressivi o misti risulta essere un probabile fattore di rischio (Tondo et al., 1998). Le predisposizioni genetiche potrebbero contribuire a determinare comportamenti sucidari anche se tale ruolo non è stato provato come fattore di rischio indipendente dal disturbo bipolare o dalla malattia depressiva (Baldessarini et al., 2004).
Fattori di rischio predisponenti probabilmente interagiscono con altri elementi stressanti spingendo il paziente a scegliere il suicidio anche in assenza di malattia psichiatrica.
Ulteriori elementi che perturbano la vita di un individuo e identificati come fattori di rischio per suicidio sono: la morte di un compagno, il divorzio, difficoltà occupazionali o interpersonali, perdite economiche, pensionamento, reclutamento o isolamento sociale e limitato accesso alle cure (Jacobs, 2003; Tondo et al., 2006).
3.2. Neuroimaging
Precedenti ricerche hanno fatto luce sull’ipotesi che i pazienti con iperintensità della sostanza bianca possano essere ad alto rischio di suicidio a causa di probabili alterazioni del pattern neuro anatomico (Taylor et al., 2001).
Variazioni in senso patologico dei sistemi neuroanatomici per la regolazione dell’umore potrebbero conferire una vulnerabilità biologica la quale, in combinazione con i fattori ambientali, aumenterebbe il rischio sucidario.
Pompili et al. esaminarono 99 pazienti (42 uomini e 57 donne) con la diagnosi di disturbi affettivi maggiori, sottoponendoli a un esame di risonanza magnetica (MRI). Approssimativamente il 44% dei pazienti inclusi nello studio avevano una storia positiva per tentato suicidio. I tentatori differivano dai non tentatori solo per la presenza di iperintensità della sostanza bianca significativamente associata a comportamenti suicidiari (Pompili et al., 2008).
3.3. Gestione del rischio di suicidio
Un’efficace gestione del potenziale individuo suicida richiede un’accurata valutazione del pensiero suicidario, dell’intenzionalità associata a tale ideazione e della letalità dei mezzi a disposizione (Jacobs, 2003).
Talvolta psichiatri e altri professionisti della salute mentale, evitano di parlare con i loro pazienti in maniera diretta per paura di “provocare” comportamenti suicidari o più comunemente per evitare un disagio personale.
Raramente l’ideazione suicidaria nasce come un pensiero nuovo e improvviso. Spesso il suicidio è il risultato di un dialogo interiore, lu...