Teoria e tecnica del colloquio in psicologia clinica e psichiatria
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Teoria e tecnica del colloquio in psicologia clinica e psichiatria

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Teoria e tecnica del colloquio in psicologia clinica e psichiatria

Informazioni su questo libro

Uno dei pochi testi sul colloquio che mette in luce come il colloquio clinico sia il punto di partenza – non di arrivo – di un percorso di assessment che deve essere pensato in maniera accurata e condiviso col cliente.
Il testo presenta al lettore la necessità di inserire il colloquio clinico e l’ assessment psicodiagnostico nel quadro di un “modello della mente” e a una teoria del funzionamento mentale utili per la presa di decisioni terapeutiche.
Il volume indica chiaramente come il colloquio clinico di assessment rappresenti il primo punto di un continuum di conoscenza e cambiamento che si dipana nel percorso motivazionale verso l’intervento terapeutico (percorso a volte lineare, a volte più tortuoso e accidentato, come gli autori mostrano nel loro lavoro). Stefano Ferracuti, è professore di psicologia clinica presso la Facoltà di Medicina e Odontoiatria dell'Università "Sapienza" di Roma. Autore di numerosi lavori scientifici a livello internazionale svolge attività in ambito psicologico forense ed è stato responsabile per la gestione dei flussi dei pazienti dimessi dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari per la Regione Lazio. Lavora come dirigente presso l'Azienda Ospedaliera Sant'Andrea nell'ambito della psicologia clinica del Risk Management e della Medicina del Lavoro.
Mario Biagiarelli è specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapia, si occupa di assessment psicodiagnostico e psicoterapia con adolescenti ed adulti, in ambito sanitario e forense. Svolge il dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, Sapienza Università di Roma

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Informazioni

1. Una prospettiva teorica integrata del colloquio clinico

1.1. Le ragioni di una prospettiva diagnostica e terapeutica integrata e di un approccio multimethod alla clinica

Una definizione integrata di colloquio clinico, dalla quale partire per delinearne la teoria, potrebbe essere la seguente:
“Il colloquio clinico è un atto relazionale e uno strumento tecnico conoscitivo e trasformativo, caratterizzato da modalità verbali e non-verbali interagenti. Durante la fase preliminare diagnostica, rappresenta uno dei principali strumenti dell’assessment unitamente ai test mentali, insieme ai quali permette di formulare il caso secondo una prospettiva integrata e multimethod.
Il colloquio clinico è finalizzato a esplorare gli obiettivi e le strategie emotive-cognitive-comportamentali di adattamento, e quindi di cambiamento, della persona rispetto all’ambiente sociale.
La domanda di consultazione presuppone un preliminare processo di conoscenza, finalizzato a raccogliere informazioni e formulare ipotesi, insieme al cliente, sulle variabili biologiche, psicologiche e sociali che possono favorire o impedire il raggiungimento di un adattamento o di un cambiamento desiderati. Questo processo esplorativo implica un sufficiente livello di alleanza di lavoro tra clinico e cliente, intesa come un accordo implicito ed esplicito sugli obiettivi, sui processi di cambiamento più idonei da attivare rispetto allo stadio del cambiamento, una messa in discussione delle strategie emotive/ cognitive/comportamentali di adattamento e un rapporto di fiducia tra clinico e cliente”.
Le parole chiave della nostra definizione di colloquio sono: atto relazionale, strumento tecnico, assessment, multimethod, adattamento, cambiamento, obiettivi, strategie emotivo-cognitive-comportamentali, variabili bio-psico-sociali e alleanza di lavoro. Questi concetti si ritroveranno molte volte all’interno del manuale e sono legati insieme da una teoria integrata che deriva dall’esperienza clinica, dalle esigenze del cliente e dalla ricerca delle aree di convergenza dei principali orientamenti psicologici. La ricerca di convergenza tra diversi aspetti teorici non rappresenta un mero espediente diplomatico finalizzato a non scontentare le diverse ortodossie, ma è un tentativo scientifico di individuare quegli elementi diagnostici fondamentali individuati dalla ricerca in psicologia clinica che permettano di strutturare una base comune per la formulazione del caso e la conduzione del colloquio anche sul piano tecnico. La ricerca di aree di convergenza teoriche e tecniche rappresenta un “processo di laicizzazione” del pensiero teorico psicologico proteso a individuare i processi relazionali e i contenuti diagnostici che non è possibile eludere e sui quali è assai difficile non concordare tra professionisti come anche tra clinico e cliente, al di là del retaggio storico delle tradizioni teoriche. Funzione indispensabile di una teoria è collegare insieme i dati in modo da fornire un senso clinico, la riproducibilità delle osservazioni e dei processi e prevedere le traiettorie evolutive di un fenomeno. In tal senso, non vi è nulla di più pratico di una buona teoria. Gli elementi che esaltano le qualità ermeneutiche di una teoria riguardano il grado in cui i criteri di osservazione e di intervento sono chiari, condivisi, semplici, maneggevoli, falsificabili e fondati su evidenze scientifiche. Sulla base di presupposti teorici chiari, che trovino un equilibrio tra la valorizzazione delle specificità del caso (approccio idiografico) e il riferimento a classi generali (approccio nomotetico), il clinico è in grado di comprendere cosa “fare” durante un colloquio, quando attuarlo e quali obiettivi raggiungere momento per momento. I concetti/parole chiave che abbiamo evidenziato poc’anzi sono le pietre angolari sulle quali i principali orientamenti psicologici convergono. Perciò, procedendo in ordine e rimandando l’approfondimento dei singoli aspetti al manuale, una teoria del colloquio non può prescindere da una prospettiva relazionale nella quale ogni processo si declina e trova significato. Inoltre, la fase diagnostica, meglio denominabile con il termine assessment, è ormai comunemente considerata una fase preliminare indispensabile per formulare il caso in modo condiviso e da più prospettive: quella del clinico, quella del cliente, quella dei test mentali. Appare inoltre chiara l’utilità di affondare il ragionamento diagnostico nel terreno comune della teoria evoluzionistica dell’apparato mentale, inteso come uno degli strumenti mediante i quali gli esseri viventi, ivi compreso l’uomo, si adattano alla realtà, massimizzando le proprie possibilità di sopravvivenza. Tuttavia, l’adattamento è un processo continuo, che presuppone continuo cambiamento. L’intera vita è cambiamento, accadimento, avvicendamento di eventi più o meno salienti dei quali spesso non ci accorgiamo. D’altra parte, tendiamo a notare i cambiamenti mediante un sistema speciale di segnaletica basato sulle emozioni, le quali generano, in modo complementare e automatico, delle motivazioni a ripristinare o raggiungere la migliore forma di adattamento. Le emozioni-motivazioni sono il motore della vita mentale, forniscono significato e orientano l’essere umano nella realtà, rendono salienti determinati obiettivi. Le emozioni implicano un’elaborazione continua, spesso inconsapevole, di strategie finalizzate a raggiungere le proprie mete desiderate, le quali, una volta raggiunte, disinnescano provvisoriamente il bisogno motivazionale originario. Queste sintetiche considerazioni rappresentano un nucleo teorico dal quale partire alla ricerca di un metodo integrato per raccogliere gli elementi diagnostici, ordinarli per priorità, fornire loro senso clinico e derivarne una serie di tecniche ragionate coerenti con la teoria. In estrema sintesi, un buon clinico è anche un buon ricercatore, poiché fonda il suo operato tecnico su elementi evidence-based solidi e condivisi, ma non cessa mai di falsificare la sua teoria, che è sempre provvisoria e che non potrà mai esaurire la comprensione della molteplice varietà delle specifiche situazioni cliniche.
Un approccio integrato e multimethod si basa su un bagaglio tecnico flessibile e interdisciplinare tale da consentire l’impiego dei migliori metodi (ivi compresi i test), in un certo momento, per un obiettivo condiviso nel tentativo di attivare il processo di cambiamento più opportuno per il cliente.
Più specificatamente vi sono due domande su cui è necessario interrogarsi (Roth, Fonagy, 2004; Beutler, Clarkin, 2014; Norcross, Wampold, 2011):
  1. quali sono i contenuti diagnostici rilevanti da indagare e tenere in considerazione in relazione alle finalità del colloquio?
  2. quali sono i metodi migliori per acquisire tali contenuti diagnostici, in termini di interventi tecnici e di modalità relazionali?
Sebbene le due domande vadano tenute astrattamente e didatticamente disgiunte, vi è anche una certa sovrapposizione, dal momento che è difficile scorporare il contenuto di un intervento dalla modalità relazionale con la quale questo viene veicolato (Norcross, 2011a).
Inoltre, la ben nota domanda: “quale trattamento, da parte di chi, è più efficace per questo individuo con questo problema specifico e in quali circostanze?” (Paul, 1967) coglie la necessità di una diagnostica e di un intervento personalizzati. In questo senso, è artificioso separare dogmaticamente intervento tecnico e modalità relazionale, poiché una certa modalità relazionale in un determinato contesto o in una certa situazione di vita è, di per sé, un intervento tecnico. Così come, un intervento tecnico può veicolare, in un determinato momento, con una certa persona, per una precisa finalità, significati relazionali differenti.
L’approccio integrato e multimethod in psicologia ha acquisito un sempre maggior rilievo, dal momento che sviluppa una teoria della diagnosi psicologica e della pianificazione dell’eventuale trattamento che è anche inclusiva dei fondamentali contenuti diagnostici, dei processi relazionali e dei principali processi di cambiamento. La prospettiva integrata è finalizzata a soddisfare le esigenze dei clinici contemporanei sulla base di una serie di considerazioni (Norcross, Goldfried, 2005a, 2005b), ampiamente condivise e rapidamente accessibili:
  1. l’insoddisfazione generalizzata per la limitatezza di un singolo approccio teorico e psicoterapeutico e la consapevolezza della fine delle visioni monoteiste in psicologia (vedi anche il “Verdetto di Dodo in psicoterapia”, Luborsky et al., 2002);
  2. l’importanza dell’assessment iniziale, da condursi in un’ottica multimethod, integrando fonti di valutazione diverse e complementari come il colloquio clinico e i test mentali;
  3. la necessità, ai fini della cura, di impiegare più proposte di processi di cambiamento e diversi tipi di interventi in modo flessibile e non dogmatico, senza confinarsi esclusivamente negli interventi tecnici prescritti dalla singola scuola di origine, evitando perciò la competizione “territoriale” tra le varie scuole (per utilizzare ironicamente una metafora evoluzionistica) (Dattilio, Norcross, 2006);
  4. la necessità di un sistema pragmatico transteorico che adatti il processo di cambiamento allo stadio di cambiamento della persona (Prochaska, Norcross, 2013);
  5. la rilevanza della comprensione di quali siano gli interventi tecnici e i processi relazionali che possano favorire il cambiamento personale al di là della diagnosi nosografica;
  6. la consapevolezza del fatto che la maggior parte dei clinici, nonostante la scuola psicoterapeutica di origine, dimostrino, invece, di adottare un orientamento integrato e di impiegare tecniche mutuate da altri sistemi teorici;
  7. l’importanza di acquisire un metodo diagnostico e di intervento snello, condiviso, che d’altra parte valorizzi la naturale complessità dei problemi presentati dalle persone, che richiede diversi livelli di intervento (sulla sintomatologia, sulle credenze patogene, sugli schemi interpersonali, sul contesto familiare, sui conflitti intrapsichici);
  8. l’evoluzione di pratiche evidence-based, sulla scorta delle più recenti introduzioni legislative (Legge Gelli-Bianco, 8 marzo 2017 n. 24 recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, serie Generale, n. 64 del 17 marzo 2017, ed entrata in vigore il 1 aprile 2017);
  9. all’interno delle pratiche evidence-based gioca un ruolo di primo piano l’utilizzo dei test mentali che, per loro natura, sono standardizzati, permettono di misurare i fenomeni osservati e di stimare gli eventuali cambiamenti clinici, di valutare l’intensità di sintomi e tratti di personalità, e soprattutto di ampliare o ristrutturare la prospettiva clinica (approccio multimethod);
  10. la centralità dell’atteggiamento e delle caratteristiche della persona al di là degli interventi tecnici di ciascuna scuola;
  11. la necessità di integrare i livelli biologici, psicologici e sociali, in particolare la consapevolezza dell’influenza importante dei processi biologici innati nella comprensione e nell’intervento sui disturbi mentali e la loro plasmabilità sociale;
  12. l’utilità di comunicare in modo interdisciplinare tra clinici, concentrandosi sulle aree di convergenza, procedendo oltre i linguaggi propri di ogni orientamento e le convinzioni meta-psicologiche di ciascuna scuola.
Pertanto, a prescindere dal sistema di classificazione diagnostico, o dalla scuola psicoterapeutica di originaria appartenenza, riteniamo sia possibile una concezione integrata dell’assessment (o della diagnosi in senso ampio) e della psicoterapia, all’interno delle quali possano trovare posto, in modo personalizzato, flessibile ed evidence-based, una serie di processi di cambiamento e di tecniche di intervento, ciascuna avente una sua scansione temporale e un appropriato momento di attuazione, che tengano in considerazione la prospettiva emotivo-motivazionale del cliente e l’esperienza del clinico (Bornstein, 2017).
Tutto ciò ha portato a un dibattito che, allo stato attuale, consente di delineare una serie di prospettive future (Karpiak, Norcross, Wedding, 2014; Norcross, 2013):
  1. in primo luogo va considerato che il rapporto costo/beneficio in psichiatria è molto basso, facendo lievitare la spesa per le prestazioni mediche, ed è verosimile che nel futuro vi sia un maggior investimento in trattamenti psicoterapeutici non effettuati da medici. La gestione della salute mentale, specialmente in Italia, è fortemente medicalizzata e ciò incrementa notevolmente i costi, anche in considerazione che, di fatto, moltissimi medici che lavorano in ambito di salute mentale attuano poi trattamenti che sono primariamente psicologici o riabilitativi;
  2. le pratiche evidence-based saranno un prerequisito per ogni struttura pubblica e ciò è completamente congruo con i principi di efficacia della cura, della responsabilità che ne deriva e della rimborsabilità della stessa (vedi Legge Gelli-Bianco, 2017). È assai curioso che non si possa introdurre sul mercato un trattamento farmacologico senza che vi sia una dimostrazione di efficacia, mentre ciò non è richiesto per un trattamento come la psicoterapia che per certi versi comporta un maggior grado di responsabilità rispetto a un farmaco, ed è perciò prevedibile che vi sarà richiesta sempre maggiore di dimostrazione di efficacia dei trattamenti. Peraltro, la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e la delega del trattamento delle persone malate di mente e giudicate socialmente pericolose ai Dipartimenti di Salute Mentale richiederà lo sviluppo di metodi di valutazione di efficacia dei trattamenti e di dimostrazione della stessa anche in sede di Tribunali di Sorveglianza, il che certamente comporta procedure di validazione e standardizzazione;
  3. le prospettive teoriche/tecniche più utilizzate nei prossimi 10 anni si prevede che saranno: la cognitivo-comportamentale di ultima generazione che integra i fondamentali principi di origine psicodinamica (Teorie Metacognitive su schemi interpersonali ed emozionali, come la Emotion Focused Therapy, la Acceptance and Commitment Therapy, la Compassion Focused Therapy, la Terapia Metacognitiva Interpersonale), le teorie che riconoscono l’importanza del costrutto della mindfulness, la teoria integrata, la teoria alla base delle tecniche di comprensione e modificazione della motivazione (Motivational Interview);
  4. le prospettive teoriche/tecniche che potrebbero perdere credito saranno (in ordine crescente): la teoria dell’Analisi Transazionale, la teoria Adleriana, Junghiana, Psicoanalitica Classica e la teoria della Gestalt;
  5. l’impiego di tecniche evidence-based, fondate sull’alleanza di lavoro (diagnostica e terapeutica) saranno centrali;
  6. il trattamento sarà sempre di più “cucito” sul cliente, considerando le sue caratteristiche di personalità, al di là della diagnosi nosografica.

1.2. La funzione integrativa delle neuroscienze affettive

Alla luce di queste considerazioni sull’importanza di un assessment e di una teoria psicologica integrata, va esaminato il motivo per il quale le neuroscienze affettive possano costituire il fondamento razionale delle basi teoriche e delle tecniche integrate di nuova generazione (Karterud et al,, 2016; Montag, Panksepp, 2017; Panksepp, Lane, Solms, Smith, 2017).
Le neuroscienze affettive derivano dalla prospettiva evoluzionista (Panksepp, 2004; Panksepp, Biven, 2012), che ha ispirato le principali e più solide teorie psicologiche quali quella cognitivo-evoluzionista (Gilbert, Bailey, 2000) e la teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969; Cassidy, Shaver, 2016), che a sua volta è parente stretta della corrente psicodinamica/psicoanalitica contemporanea, basti pensare alle prospettive terapeutiche Attachment Oriented e ai Mentalization Based Treatment (Fonagy, Roth, 2004; Fonagy, Roth, Higgitt, 2005).
La teoria evoluzionista si fonda su basi teoriche ed empiriche solide e condivise (Panksepp, Lane, Solms, Smith, 2017) e consente l’integrazione della Psicologia nel dominio delle Scienze Naturali, delle quali l’essere umano è parte. In una modalità ermeneutica più ampia rispetto alla Teoria dell’Attaccamento, la teoria evoluzionista non si limita a considerare esclusivamente il sistema emotivo-motivazionale dell’attaccamento (che in questi capitoli denomineremo PANICO/ SOFFERENZA secondo la denominazione ideata da Jaak Panksepp), bensì studia l’intero spettro e l’ampia gamma delle emozioni-motivazioni umane, ivi compresi l’esplorazione, la paura/difesa, l’offerta di cura, il gioco sociale, la dominanza, la collera/difesa della territorialità, il desiderio sessuale individuale o di coppia (Buss, 2015).
La teoria evoluzionista e le neuroscienze affettive dimostrano il primato dei sistemi emotivi-motivazionali per la genesi di comportamenti adattivi in ambienti sociali e non sociali (Nesse, Ellsworth, 2009), costituendo perciò un fondamento bio-psico-sociale comune fra neuroscienze e clinica terapeutica (Cozolino, 2007; Panksepp, Biven, 2014; Gilbert, 1989, 1998, 2002; Damasio, 2006; Siegel, 2012; Le Doux, 2000; Shore, 2014a, 2014b, 2015; Lichtenberg, Lachmann, Fosshage, 2012) e consentendo perciò anche una forma di ermeneutica condivisa. Si sono potute così sviluppare le cosiddette Affective Balance Therapies (ABT) (Panksepp, Biven, 2014), che hanno al centro dell’interesse diagnostico e terapeutico i sistemi emotivo-motivazionali, come anche le strategie di regolazione emotiva, il funzionamento metacognitivo e gli schemi interpersonali (vedi le Teorie Metacognitive e Mindfulness) (Siegel, 2009, 2012; Leahy, 2002, 2007; Greenberg, 2002, 2004, 2007; Thoma, Greenberg, 2015; Solem, Thunes, Hjemdal, Hagen, Wells, 2015; Wells, 2005; Wells, Fisher, 2015; Young, Klosko, Weinshaar, 2003; Kabat-Zinn, 2009).
Così la psicologia clinica può essere agevolmente riorganizzata in una prospettiva integrat...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Indice
  5. Prefazione
  6. 1. Una prospettiva teorica integrata del colloquio clinico
  7. 2. La valutazione del funzionamento cognitivo
  8. 3. Orientarsi negli spettri sintomatologici
  9. 4. La valutazione della personalità secondo una prospettiva integrata
  10. 5. Le fasi del primo colloquio clinico, l’analisi della domanda e le tecniche di intervento per il cambiamento
  11. 6. Il setting
  12. 7. Lo sviluppo dell’alleanza di lavoro
  13. 8. I pattern transferali e controtransferali
  14. 9. La valutazione del comportamento non-verbale
  15. 10. La valutazione del comportamento verbale
  16. 11. La raccolta anamnestica
  17. 12. Il colloquio con l’adolescente
  18. 13. Il colloquio con il cliente traumatizzato
  19. Bibliografia
  20. Quarta di copertina