Il servo Jernej e il suo diritto
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Ivan Cankar

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Un grido di dolore universale
Ivan Cankar è sicuramente uno dei principali scrittori sloveni e, pure se ha rivolto la sua scrittura anche ad altri temi, ha sempre avuto un interesse particolare nel raccontare il destino di diseredati ed emarginati, il confitto di intellettuali o artisti anticonformisti e idealisti con una società gretta, presentando una scrittura intelligentemente calibrata di elementi realistici e simbolici.
Rispetto a questo testo, è l'autore stesso che ce lo rivela, è interessante sottolineare l'origine 'politica' del testo: Cankar voleva scrivere solo un libello di propaganda, ma da ciò sarebbe poi scaturita la sua migliore novella, che narra del servo Jernej, che ha lavorato quarant'anni nella fattoria dei Sitar, identificandosi totalmente con essa. Alla morte del vecchio padrone viene mandato via in malo modo dal figlio del defunto. Inizia così il suo peregrinare, nel corso del quale racconta la propria storia a diverse persone e istanze, sempre attendendo che si riconosca il suo diritto: di chi è il podere, di chi l'ha ereditato senza aver fatto nulla o di chi l'ha lavorato per quarant'anni? Nessuno dà ragione al servo, che nella sua sete di giustizia giunge fino a Vienna, pensando ingenuamente di poter esporre il suo caso allo stesso imperatore. Neanche il parroco gli dà la risposta sperata, portandolo infine a dubitare anche della giustizia divina e della stessa esistenza di Dio. Il mite Jernej infine, ormai trasformato interiormente, torna alla fattoria e Cankar conclude il racconto con un finale straordinario.
Anche se la storia del servo ribelle ha suscitato interesse in Italia soprattutto in momenti politicamente 'nevralgici' del Paese, il suo fascino senza tempo risiede certamente sia nel suo grido di dolore universale, sia nella peculiarità dello stile, ricco di similitudini e personificazioni, di allegorie e parabole 'bibliche', che insieme costituiscono forse l'esempio più brillante della prosa ritmica cankariana. L'autore: (Vrhnika 1876 - Lubiana 1918) scrittore sloveno. Patì il carcere (1913) e l'internamento (1914) per la sua propaganda antiaustriaca. Dopo che la sua raccolta poetica Erotica (1899) fu fatta bruciare dalle autorità ecclesiastiche, si dedicò alla prosa e al teatro e pubblicò, fra l'altro, Vignette (1899), schizzi di vita borghese e proletaria, il romanzo La casa di Maria Ausiliatrice (1904), il racconto Il servo Jernej e il suo diritto (1907), considerato il suo capolavoro, il dramma I servi (1910) e i bozzetti Immagini dai sogni (1915-17), ispirati dalla guerra. C. è il prosatore di maggior rilievo della generazione modernista: formatosi al naturalismo, ne superò le limitate scelte tematiche e ideologiche per affrontare non solo le questioni sociali e di costume fino allora ignorate dalla provinciale letteratura slovena, ma anche un'intensa problematica spirituale.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788833260228

XVIII

Scendeva la sera, e i contadini e i lavoranti stavano rincasando dai campi. In quel momento, sopra il tetto di Sitar, si vide guizzare una fiamma, rossa e sottile, che subito si slanciò verso il cielo. Poi altre fiamme si levarono dal granaio, dalla stalla, dalla rimessa e dai due capannoni; le vampe erano alte e si sollevavano impetuose dalla terra verso il cielo. Tizzoni ardenti turbinavano nell’aria per poi ricadere sui campi, come se li scagliasse la mano di un uomo. Jernej aveva acceso la sua terribile fiaccola.
La gente si fermava: chi avrebbe potuto spegnere quell’incendio di Sodoma, che il vento spingeva come una nube di fuoco verso la valle, e innalzava verso il cielo ancora senza stelle come un gigantesco uccello di fuoco? Se ne stavano là, a capo scoperto, pallidi, sbigottiti di fronte a un simile peccato, tutti tremanti, balbettando terrorizzati nei loro cuori preghiere puerili.
E fu allora che fece la sua comparsa l’alta figura di Jernej, con le mani bruciacchiate e i capelli riarsi dal fuoco. E rideva soddisfatto.
“Sono andato lì per la pipa, miei cari! Non volevo che si bruciasse anche la mia pipa, che avevo dimenticato a casa quando sono partito. Brucia bene la mia casa, vero, è bello il mio fuoco? Chi ha la pipa, si accomodi pure: c’è fuoco per tutti!”
Si mise la pipa e — le mani sui fianchi — prese a guardare l’incendio.
“Jernej è l’incendiario!”
Appena si intese questo urlo, Jernej non vide più nulla, vacillò un momento e stramazzò per terra.
“Dategli addosso!”
Gli furono sopra con tizzoni ardenti — tutti bruciacchiati e anneriti dal fumo — e lo calpestarono con i tacchi chiodati degli scarponi.
“Nel fuoco! Buttiamolo nel fuoco!”
Lo afferrarono sollevandolo di peso e — sanguinante e ustionato com’era — lo dondolarono per tre volte nell’aria e poi dall’incendio si levò un grande turbinìo di scintille; quando i becchini di Jernej si allontanarono da...

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