Storie di figli cambiati
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Storie di figli cambiati

Fate, demoni e sostituzioni magiche tra folklore e letteratura

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Storie di figli cambiati

Fate, demoni e sostituzioni magiche tra folklore e letteratura

Informazioni su questo libro

Perché? le fate rapiscono i bambini? Che cos’è un changeling? Quale filo rosso unisce tante fiabe e leggende popolari ad alcuni capolavori della letteratura moderna, dal Rinascimento di Spenser e Shakespeare fino alla modernità di Hoffmann e Pirandello?
Questo studio tematico e interdisciplinare è all’incrocio tra etnologia e storia, tra finzione artistica e letteraria, con uno scopo preciso: interpretare un «mito» folklorico arcaico e senza tempo attraverso la rilettura che, nei secoli, ne ha fatto la tradizione colta. Un percorso testuale che è? insieme un’indagine nell’inconscio collettivo e la proposta di un nuovo modello di storiografia letteraria.

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Informazioni

Anno
2020
Print ISBN
9788863157239
eBook ISBN
9788869957864
Argomento
Literature

CAPITOLO 1

PROLOGO: PIRANDELLO E IL FIGLIO CAMBIATO

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Avevo udito urlare durante tutta la notte, e a una cert’ora fonda e perduta tra il sonno e la veglia non avrei più saputo dire se quelle urla fossero di bestia o umane.
La mattina dopo venni a sapere dalle donne del vicinato ch’erano state disperazioni levate da una madre (una certa Sara Longo), a cui, mentre dormiva, avevano rubato il figlio di tre mesi, lasciandogliene in cambio un altro.
– Rubato? E chi gliel’ha rubato?
– Le “Donne”!
– Le donne? Che donne?
Mi spiegarono che le “Donne” erano certi spiriti della notte, streghe dell’aria1.
Comincia così una delle novelle meno conosciute e più inquietanti di Luigi Pirandello: Il figlio cambiato, apparsa sul «Corriere della sera» il 5 agosto 1923 e poi raccolta nell’ottavo volume delle Novelle per un anno (Dal naso al cielo, 1925). Il testo era in realtà la rielaborazione di un vecchio racconto pubblicato nell’aprile del 1902 sulla «Riviera ligure», Le Nonne, quasi del tutto identico per quanto riguarda la fabula e i contenuti, ma (come vedremo più avanti) molto diverso sul piano delle forme narrative. E non è tutto: a conferma di quella che, a chi non conoscesse la consuetudine pirandelliana di recuperare anche a distanza di anni le proprie novelle per rimaneggiarle o ricavarne testi teatrali, potrebbe sembrare una vera e propria ossessione personale per il tema, ecco che, a distanza di dieci anni dalla riscrittura, nel 1933, egli riprende per la terza volta lo “strano caso” del bambino scambiato dalle streghe e ne fa un dramma in tre atti con le musiche di Malipiero, La favola del figlio cambiato, dando però questa volta all’intera storia un senso e una conclusione molto diversi. E anche di questo parleremo al momento opportuno.
Torniamo adesso alla novella del 1923 e riassumiamone brevemente la trama, soffermandoci sugli aspetti più interessanti e problematici. Siamo nella Sicilia dei primi anni del Novecento: mancano, nel testo pubblicato dal «Corriere», indicazioni di tempo e di luogo precise, ma i toponimi ancora presenti nella versione del 1902 lasciavano intravedere piuttosto distintamente al lettore dell’epoca una Agrigento sospesa tra premodernità e modernità, immersa in un’atmosfera satura di credenze popolari e di superstizioni arcaiche. A questo mondo avvolto dalla magia e dal mistero si contrappone in modo frontale (ma solo, si badi, nella redazione del 1923) il punto di vista, scettico, razionale e moderno, del narratore, il tipico raisonneur pirandelliano.
Ecco la trama. Sara Longo è moglie di un marinaio, ed è diventata madre da appena tre mesi. Una notte, mentre lei è sola in casa e il marito per mare, la si sente urlare e disperarsi perché, dice, nel sonno il neonato le è stato rapito e nella culla giace ora al suo posto un bambino che non è il suo. Tutt’altro che sorprese dalle dichiarazioni di Sara, le comari del quartiere confermano all’incredulo narratore che mentre il bambino della Longo «era bianco come il latte, biondo come l’oro, un Gesù Bambino» questo è invece «nero, nero come il fegato e brutto, più brutto d’uno scimmiotto»: un vero «mostriciattolo». Ovvio che non possa trattarsi dello stesso bambino. E del resto: si può forse dubitare delle parole di una madre? E si può non credere – soggiungono le comari – nel potere malefico delle Donne, di quegli «spiriti della notte», di quelle «streghe dell’aria» che, con le loro arti magiche, sostituiscono i figli per fare «dispetto» alle madri; o che li fanno ritrovare «dalla notte al giorno coi piedini sbiechi» o con gli «occhi strabi», oppure li nascondono per gioco negli angoli più impensabili della casa? Non è forse vero che il bambino è stato ritrovato dalla madre al mattino lontano dalla culla, per terra, con le gambine rivolte verso la testata del letto, vale a dire nella posizione inversa rispetto a quella in cui si sarebbe dovuto trovare se, per «inavvertenza», fosse caduto dalle braccia della madre – e comunque ben lontano dalla culla stessa? Ed è forse un’illusione il «codino di capelli incatricchiati» (sic. incatriculati, “intrecciati”) della bambina del vicinato che le comari mostrano trionfanti allo scettico narratore? Chi, se non le Donne, avrebbe potuto attorcigliarli così, nel giro di una sola notte? E guai a cercare di tagliare la «Treccina delle Donne», perché altrimenti la povera innocente sarebbe morta in breve tempo.
Decisa a ritrovare il figlio “vero”, Sara è tentata dal «lasciar tutto e mettersi alla sua ricerca», e cessa subito di prendersi cura del bambino “cambiato”, che sopravvive alla sua triste sorte solo perché le comari – «per carità di Dio» e «vincendo lo sgomento e il raccapriccio» – decidono di occuparsi di lui e lo nutrono con zucchero e pan bagnato: cosa che «in coscienza» non si poteva chiedere di fare alla madre, o almeno non subito. Per riottenere il figlio perduto, Sara chiede quindi aiuto a Vanna Scoma, una «strega» in fama «d’essere in misteriosi commerci con quelle “Donne”», che, come tutti in paese sanno, la convocano nelle notti di vento per farla partecipare in spirito ai loro sabba notturni. Vanna le dice di aver visto il bambino in uno dei suoi viaggi estatici. Non le rivela il luogo, ma afferma che lui gode di ottima salute lì dov’è, e che avrebbe continuato a stare bene «a patto che anche lei trattasse bene la creaturina che le era toccata in cambio». Sara segue naturalmente il consiglio della strega e, vincendo il ribrezzo, allatta e accudisce quel figlio brutto, malato e deforme che, ne è sempre più convinta, non è suo figlio.
Le visite alla strega proseguono fino a quando il marito marinaio, «che poco si curava della moglie e del figlio», torna da Tunisi, e senza chiedersi troppi perché se ne riparte dopo aver messo incinta Sara per la seconda volta. Durante la nuova gravidanza, infatti, la donna non ha più il tempo di frequentare con la stessa assiduità Vanna Scoma per chiederle notizie del figlio perduto. L’altro, intanto, il «mostriciattolo», mostra sempre più visibili i sintomi di quella che, al narratore, appare inequivocabilmente una «paralisi infantile»: «il colluccio vizzo, il testoncino giallo, un po’ su una spalla e un po’ sull’altra; e cionco, forse, di tutt’e due le gambine». Il marito nel frattempo, venuto a conoscenza della storia riguardante le Donne, sospetta che si tratti di una messinscena della moglie e che il vero figlio, da lui creduto morto, sia stato rimpiazzato da Sara con un trovatello proprio per nascondergli la verità. E di verità ne abbiamo a questo punto almeno tre, escludendo quella, più complessa a definirsi (e di cui parleremo più oltre), della strega: la verità magica e “irrazionale” di Sara e delle comari del paese, quella razionale del narratore, unico a credere in una spiegazione scientifica del “cambiamento”, e quella diffidente e sospettosa del marito. Una scomposizione prismatica dei punti di vista che è tipica della narrativa di Pirandello, il quale non conferisce qui al narratore-testimone una posizione privilegiata, dato che alla sua capacità esplicativa del fenomeno (che il lettore riconosce e istintivamente accetta come familiare e rassicurante) non corrisponde affatto un’efficacia persuasiva nei confronti degli attanti: l’idea di verità che domina qui non è insomma quella, moderna e per noi del tutto ovvia, di approssimazione scientifica alla comprensione di un mondo esterno dato come preesistente, ma quella, molto più antica, di sapere condiviso da una comunità, di discorso partecipato che funziona in primo luogo da elemento coesivo, rafforza i legami sociali e crea un sentire comune. Di qui il forte effetto straniante nel lettore, la sensazione di trovarsi in un mondo arcaico e incomprensibile eppure allo stesso tempo stranamente familiare e quindi perturbante. Certo della validità della propria interpetazione, il marito intima persino a Sara (che finge di condividerne il gioco discorsivo) di sbarazzarsi del «bastardo», ma lei lo convince a tenerlo, dicendogli di non provare alcuna «pietà» per il bambino, ma solo «sopportazione»: il suo desiderio segreto è infatti che il figlio “vero” stia bene e che un giorno, magicamente, le possa essere restituito. Cosa che si verificherà puntualmente, almeno da un certo punto di vista, alla nascita del secondogenito, «roseo e paffuto (come l’altro)», perché da ora in poi Sara riverserà sul nuovo nato tutto l’affetto che non aveva potuto dare all’altro. Da questo momento, il «figlio delle “Donne”», come tutti chiamano questo esserino sgraziato che nella novella (si noti) non ha un nome, verrà lasciato da solo a trascorrere le sue giornate seduto sul seggiolino a dondolo davanti alla porta di casa, vittima indifesa dei giochi crudeli degli altri bambini che gli tirano la terra nei capelli e lo deridono a causa della sua diversità. Vivo, certo, ma emarginato da tutti, mentre oltre alle difficoltà motorie, iniziano a diventare visibili, a poco a poco, anche i segni del ritardo mentale:
Se talvolta qualche bambino gli s’accostava per rivolgergli una domanda, egli lo guardava e non sapeva rispondere. Forse non capiva. Rispondeva col sorriso triste e come lontano dei bimbi malati.

CAPITOLO 2

DONNI DI FUORA KI VAYANU LA NOCTI

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2.1. Dalla letteratura al folklore

Il motivo della sostituzione in culla a opera di esseri fatati è ben radicato negli strati più remoti dell’immaginario folklorico europeo e ha avuto un tempo una diffusione estesissima. Lo si può documentare per aree culturali spesso contigue, ma a volte anche molto distanti e irrelate, come il nord Europa e la Sicilia, tanto che uno dei problemi di cui gli antropologi hanno dibattuto è proprio quello della sua origine (monogenetica o poligenetica?). In Sicilia, tuttavia, nella Sicilia tradizionale e arcaica, ma anche nei ricordi degli anziani e in quel poco che resta oggi della cultura popolare, esso assume anche caratteristiche peculiari rispetto alle storie di changelings del nord Europa. Nelle prossime pagine evidenzieremo analogie e differenze tra i due tipi di credenze, utilizzando prima il testo pirandelliano come documento folklorico (al pari, lo vedremo, delle relazioni di Giuseppe Pitrè) per poi compiere il cammino inverso, mostrando in che modo il testo letterario rielabori artisticamente e dia senso al materiale etnografico.

2.2. Streghe che rapiscono (ma di solito non uccidono) i bambini

Che la genesi della novella sia da ricercare nell’ambito della rivalutazione verista per la cultura popolare, è evidente, ma altrettanto evidenti sono, nel testo di Pirandello, i segni della crisi del Verismo e la fine della fiducia nelle possibilità di rappresentare oggettivamente la realtà siciliana del tempo. Il retroterra folklorico della novella Il figlio cambiato ci è noto, anzitutto, da alcuni documenti che fanno parte di quello che Gérard Genette chiamerebbe “epitesto autoriale”1, e in particolare da tre luoghi distinti in cui Pirandello parla della leggenda delle «Donne» e dei figli cambiati come di una «credenza popolare» ben viva e diffusa in Sicilia. Tutti e tre gli epitesti si riferiscono, per la verità, non alla novella ma alla Favola del figlio cambiato, e sono dunque relativamente tardi, ma non perciò meno attendibili o privi d’interesse anche per ricostruire con esattezza lo sfondo del racconto originario.
Il primo è una lettera a Marta Abba del 30 aprile 1930, nella quale Pirandello, oltre a estendere (impropriamente, come vedremo) l’area di attestazione della credenza a «tutta l’Italia meridionale», completa con alcune informazioni nuove quanto già sappiamo dalla lettura del Figlio cambiato:
(1) C’è in tutta l’Italia meridionale la credenza popolare che le notti d’inverno, le notti d’inverno e senza luna, vadano per l’aria le streghe, certe streghe dette le “Donne”, che si introducono nelle case per la gola dei camini e per gli abbaini, e alle povere mamme che dormono tolgono d’accanto i bambini, o intrecciano loro sul capo certe treccine che non si possono più disfare, e guai a toccarle col pettine e a tagliarle con le forbici: il bambino ne morirebbe; o passano sulle palpebre chiuse della creatura la punta delle dita sottili, e la creaturina la mattina apre gli occhi, e li ha storti; oppure fanno l’orribile dispetto di cambiare il figlio a una mamma: cioè le portano via il bambino bello e gliene lasciano uno brutto, andando a portare il bello a un’altra madre in cambio del brutto2.
Il secondo epitesto è invece un’intervista pubblicata dalla «Gazzetta del popolo» del 1 giugno 1930:
(2) [La Favola del figlio cambiato] si ispira a una leggenda popolare siciliana, la leggenda detta «di li donni», spiriti malefici dell’aria, invisibili streghe che talvolta proteggono, talvolta trafugano i bambini lasciati incustoditi dalle madri; talvolta anche li cambiano e allora la madre che ritrova nella cuna un figlio non suo è condannata ad amare il figlio sconosciuto, perché anche il suo abbia il bene nella casa dove l’hanno portato3.
Il terzo, infine, è costituito da un’altra intervista (Perché è stata proibita in Germania «La favola del figlio cambiato»?), concessa da Pirandello a «Quadrivio» il 18 marzo 1934, poco dopo la rappresentazione della Favola nella Germania di Hitler:
(3) Lo spunto del libretto […] è dato dalle superstizioni di certe regioni del sud che crede in spiriti malefici che chiama le «donne». A costoro vengono attribuiti i fatti più strani e dolorosi. Quando non ci si sa spiegare la ragione di un avvenimento si dice che sono state le «donne». Una morte improvvisa di notte, lo spostamento misterioso di un oggetto, una paralisi infantile: opera delle «donne». […] Io stesso mi ricordo da bimbo, ad Agrigento, di essere stato portato in una casa a vedere un fatto strano. Un bambino in fasce che dormiva nella stanza dei genitori era stato trovato all’alba in cucina. Evidentemente la madre, per un fenomeno di sonnambulismo, ve lo aveva portato di notte. Ma allora tutti dicevano, ed erano convinti, che fossero state le «donne»4.
Tra gli elementi di rilievo contenuti nelle tre dichiarazioni colpisce soprattutto una cosa: il carattere imprevedibile e irrazionale dell’operato delle Donne, le quali non sembrano agire per spirito di vendetta o per vera e propria invidia, ma piuttosto per fare un «dispetto» alle madri. Solo (2) lascia intravedere un possibile intento punitivo nei confronti delle mamme disattente che lasciano i figli incustoditi, ma il motivo della giustificazione etica non sembra decisivo per la comprensione dello scambio magico. Notevole anche la menzione dello scambio come evento-limite, come fatto di gravità inaudita incluso in una casistica assai variegata e mediamente molto meno crudele, in un ventaglio di possibili che comprende cioè anche lo spostamento del neonato dalla culla a un angolo remoto della casa, o la “segnatura” del bambino più grandicello mediante i “trizzi di donna”, fino allo strabismo (e il lettore di Pirandello non può non pensare a Mattia Pascal…). Si noti poi che (1) e (2) concordano anche nell’identificare il canciatu come figlio di un’altra donna e quindi non come un essere fatato (un dettaglio importante, su cui torneremo), e che (2) ribadisce il divieto di nuocergli e l’esortazione ad ama...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Indice
  5. Premessa: Di cosa parla questo libro?
  6. Capitolo 1: Prologo: Pirandello e il figlio cambiato
  7. Capitolo 2: Donni di fuora ki vayanu la nocti
  8. Capitolo 3: Changelings, wechselbälge, canciati
  9. Capitolo 4: Rituali di smascheramento, di protezione e di restituzione
  10. Capitolo 5: Storie di santi cambiati (E di anticristi)
  11. Capitolo 6: Changeling elisabettiani: Spenser e shakespeare
  12. Capitolo 7: Tra illuminismo e romanticismo: Pedagogia razionalista, recupero della tradizione e parodia
  13. Capitolo 8: Interpretare lo scambio
  14. Capitolo 9: Pirandello antropologo
  15. Capitolo 10: Il figlio cambiato: Verità e identità
  16. Capitolo 11: La favola del figlio cambiato: Dall’antropologia al mito
  17. Conclusioni
  18. Appendice
  19. Bibliografia
  20. Iconografia