Gestire il business fluido
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Gestire il business fluido

Esperienze di management per prosperare nell'epoca dell'incertezza

Michele Bruno, Pietro Butté, Gabriele Galeani

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  1. 240 pagine
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Gestire il business fluido

Esperienze di management per prosperare nell'epoca dell'incertezza

Michele Bruno, Pietro Butté, Gabriele Galeani

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Che cosa serve alle aziende per crescere davvero nei mercati in cui già operano o per entrare in nuovi mercati? Quali sono i fattori che ne frenano lo sviluppo e quali le soluzioni in grado di accelerarlo? A questi e a molti altri interrogativi danno risposte puntuali, accurate e concrete cinque dei più qualificati esperti italiani in materia di management, prendendo in esame casi specifici, costruendo modelli di intervento solidi e misurabili, e sviluppando nel dettaglio tematiche oggetto di analisi sotto varie angolazioni. Questo libro non è un manuale tecnico, ma un saggio scritto a più mani – il primo in Italia – basato sulle esperienze degli autori, in grado di spiegare a fondo i motivi delle difficoltà che molte aziende trovano sul loro percorso, e di offrire l'opportunità di trasformare il rischio e le difficoltà in occasioni di crescita e sviluppo accelerato. I lettori vi troveranno linee guida, case history, modelli operativi e testimonianze su temi fondamentali per la gestione di un'azienda al tempo della disruption: crescita del fatturato e dei margini, internazionalizzazione, processi che generano innovazione, finanza d'impresa, efficienza operativa, ristrutturazione e turnaround, governance aziendale e passaggio da un modello organizzativo centrato sull'imprenditore a un modello manageriale, e rapporto tra impresa e private equity. Non mancano protagonisti autorevoli di aziende di successo che offrono il loro punto di vista sui temi trattati. Il testo si chiude con una riflessione su cosa significhi essere leader di un'azienda – oggi e in prospettiva – e quali percorsi si rivelino più adatti a formare manager capaci di gestire il business fluido.

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Informazioni

Editore
Hoepli
Anno
2021
ISBN
9788836004119
Capitolo 1
Da dove si comincia
Il cambiamento accelerato e la disciplina di far accadere le cose
Per crescere e avere successo nell’attuale scenario economico, le imprese devono rinnovarsi e innovarsi, adeguando continuamente il loro modello di business, ovvero le organizzazioni e le soluzioni strategiche e operative attraverso le quali si mantiene e si genera un vantaggio competitivo.
Negli ultimi trent’anni le imprese hanno dovuto affrontare il passaggio dall’economia della stabilità a quella della flessibilità: la globalizzazione degli scambi, la concorrenza mondiale sempre più agguerrita, la riduzione del ciclo di vita dei prodotti, i processi di concentrazione e delocalizzazione, l’ossessione della soddisfazione del cliente, l’aumento della capacità e della velocità nel trattamento delle informazioni e, da ultime, le nuove tecnologie digitali abilitanti hanno radicalmente ridisegnato l’aspetto delle aziende e il contesto in cui operano. Questo è ciò che molti osservatori definiscono come business system fluido ed è il punto di partenza delle nostre riflessioni, in questo come nei capitoli successivi. Si moltiplicano le ristrutturazioni, i cambiamenti strategici, le variazioni di perimetro o di azionariato, dando vita a un rapido turnover del management e delle organizzazioni. Il cambiamento non è un evento eccezionale, è inevitabile: bisogna saper cambiare per assicurare all’impresa sopravvivenza e successo nel tempo. Ma non basta cambiare, occorre anche essere veloci nel farlo: in un mondo che cambia rapidamente, l’accelerazione è fondamentale.
Molti imprenditori hanno subito i cambiamenti nella speranza che le cose tornassero come prima, gestendo le difficoltà del mercato in ritardo, e solo in reazione, e giungendo purtroppo a situazioni di profonde crisi aziendali, concluse in molti casi con pesanti ridimensionamenti o, addirittura, fallimenti.
Al contrario, è sempre più importante “allenarsi” a uscire dalle proprie routine e dalle certezze cristallizzate, rimettendo continuamente in discussione i comportamenti e i modelli aziendali precostituiti, e promuovere nell’organizzazione la sensibilità nel cogliere l’importanza e l’urgenza del cambiamento, coagulando anche intorno alla leadership un management fresco e aperto al nuovo e agenti che possano stimolare, contagiare e guidare progressivamente l’azienda nel continuo processo di rinnovamento.
La comprensione del mercato, la lettura dei trend e delle minacce, l’analisi e la valutazione lucida della situazione esterna e della salute della propria impresa non sono più un lusso dei grandi gruppi industriali ma devono essere un’esigenza di tutte le imprese. Solo sulla scorta di questi elementi l’imprenditore potrà cogliere i segnali deboli, i rischi e le opportunità, e ridefinire gli obiettivi strategici da raggiungere, pianificando in anticipo i cambiamenti necessari.
La grande differenza tra il passato e la situazione attuale è questa: i mercati erano più circoscritti, trascinavano l’economia, che cresceva per inerzia, le cose accadevano senza che le si dovesse sollecitare. Oggi i mercati sono diventati globali, sempre meno prevedibili, iper-competitivi, molto più esigenti, piccole e grandi aziende si fanno la guerra per competere e ritagliarsi il proprio spazio.
Quindi è necessario generare le condizioni per far sì che l’azienda sia attrezzata a cambiare passo molto più frequentemente, e che la capacità di far accadere le cose pervada tutta l’organizzazione.
Questo nuovo paradigma competitivo e l’imperativo del cambiamento pongono dunque una domanda di fondo: esistono un diverso modello di leadership e una disciplina della gestione per eseguire con successo l’attuazione di progetti di trasformazione aziendale? Nella realtà attuale i due aspetti sono sempre più strettamente correlati. Un tempo stabilità e cambiamento si alternavano: la capacità dei manager di gestire l’ordinario e di allocare nel modo più utile le risorse era il fattore critico di successo della stabilità, mentre la capacità di toccare le corde emotive per coinvolgere i dipendenti era ciò che guidava le fasi di cambiamento ed era appannaggio di pochi leader illuminati.
Oggi, al contrario, leadership e management si intrecciano fra loro tutti i giorni. Serve una capacità di guida più sofisticata che informi di sé il management, il quale se da un lato deve essere impegnato nella gestione della complessità aziendale attraverso gerarchie e processi tradizionali che funzionano generalmente bene, dall’altro deve identificare i pericoli o le opportunità più importanti in fretta, formulare iniziative strategiche innovative in modo agile e, soprattutto, condurre tali iniziative velocemente.
Il successo dei cambiamenti in azienda si basa sulla “stoffa” e sulla leadership dei manager che li guidano, oltre che sull’esperienza di campo e sul processo adottato per gestirli, spesso in un contesto complesso e nel quale le condizioni di contorno sono estremamente dinamiche.
Perché i tradizionali modelli di gestione del cambiamento non bastano più
La vita aziendale si sviluppa sempre di più intorno a progetti critici, complessi e multidisciplinari. Lanciare un nuovo prodotto o servizio, aprire nuovi mercati all’estero, ristrutturare una fabbrica o una funzione, sviluppare un nuovo sistema gestionale sono esempi di progetti normalmente presenti nelle agende dei manager e rappresentano la catena di trasmissione tra la strategia e i risultati concreti che si prefiggono di perseguire nelle diverse aree di business.
Ci sono alcuni settori in cui si lavora tipicamente su commessa, come nel caso della realizzazione di macchinari o di grandi manufatti, e che hanno l’imperativo strategico di organizzare i propri processi e le proprie funzioni in una logica progettuale. In queste organizzazioni, la maggior parte delle risorse è coinvolta nella pianificazione e nell’esecuzione dei progetti e i project manager godono di un elevato livello d’indipendenza e autorità. Spesso diverse unità funzionali riportano direttamente al project manager e forniscono i servizi e le competenze di supporto ai vari progetti. Per queste realtà, la capacità di gestire i progetti è un’esigenza indiscutibile, un fattore necessario di competitività. Disporre di una propria infrastruttura organizzativa e metodologica e soprattutto delle competenze e degli strumenti giusti nelle persone che partecipano ai progetti significa infatti essere sicuri di raggiungere i target aziendali e commerciali con la migliore efficienza e il contenimento dei rischi, delle risorse e dei costi complessivi.
Nella pratica, e nella maggioranza dei casi, si trovano invece modelli organizzativi ibridi, ovvero organizzazioni composite, strutturalmente funzionali, che creano uno speciale gruppo di progetto per gestire un cambiamento critico, che può includere risorse a tempo pieno o parziale, provenienti da diversi reparti funzionali, e che sviluppano procedure operative dedicate, potendo agire anche al di fuori della struttura ufficiale di governo e controllo. Oggi questo modello, basato ancora fondamentalmente sulla logica delle funzioni “silos” e dei processi gestionali tradizionali di planning, budgeting, job defining, staffing, measuring e problem solving, che pure ha prodotto strepitosi risultati nelle decadi scorse, sembra segnare il passo e non favorisce più l’accelerazione dei cambiamenti necessari.
I numeri parlano chiaro. Solo il 60% dei programmi di trasformazione viene concluso con pieno successo, circa la metà registra ritardi di completamento, un programma su tre risulta anche fuori budget e un progetto ogni sei è un completo fallimento. Le cause di questi insuccessi si imputano, in ordine sparso, sempre alle solite motivazioni: mancanza di governance e pianificazione, carenza nella comunicazione, approssimazione dei requisiti e dei target, inadeguatezza delle risorse, lontananza degli stakeholder (Figura 1.1).
A ben guardare il problema è più ampio, complesso, sistemico e strutturale. Le gerarchie e i processi manageriali standard, anche quando sono meno burocratici, creano naturalmente barriere di comunicazione, hanno limiti di esecuzione e sono intrinsecamente avversi al cambiamento. Le politiche interne, le regole e le procedure possono diventare ostacoli che rischiano di ingolfare la velocità strategica di esecuzione richiesta dal contesto. La comunicazione e la condivisione delle informazioni e delle opportunità sono faticose e poco trasparenti. Il focus a breve termine delle funzioni confligge con la spinta al cambiamento di lungo periodo. Le persone evitano di prendersi rischi senza il permesso dei superiori, si aggrappano alle loro abitudini e temono la perdita di potere e status, amano la stabilità e preferiscono continuare a fare ciò che già sanno fare. Casi di studio, di fallimenti ancora rumorosi, dovuti a questa incapacità di vedere, gestire e accogliere il nuovo hanno fatto scuola, da Kodak a Nokia. Le aziende che vent’anni fa erano leader di mercato sono state sostituite da nuove che hanno saputo meglio interpretare i trend del mercato e dei consumatori o hanno saputo abbracciare i cambiamenti emergenti.
Intendiamoci bene: i modelli organizzativi funzionali/ibridi sono assolutamente indispensabili e ancora attuali per il funzionamento ordinario delle aziende. Non esistono altri modelli organizzativi altrettanto efficienti, se non quelli basati sulle gerarchie, le divisioni delle attività per specialità e processi, e le procedure codificate.
Abbiamo imparato nel tempo come lanciare e gestire le iniziative all’interno di un sistema gerarchico e come migliorare le prestazioni di processi funzionali ripetitivi. Sappiamo come identificare i nuovi problemi, analizzare i dati, creare “business case” aziendali per comprendere e valutare ciò che si sta facendo e si dovrà fare.
FIGURA 1.1 – Perché i progetti falliscono o hanno successo?
Abbiamo imparato a eseguire queste trasformazioni costruendo task force, team di project management e sponsor esecutivi per nuove iniziative. Tutto questo le aziende possono continuare a farlo, gestendo ancora il business corrente perché si tratta di una consolidata metodologia di miglioramento continuo intrinsecamente presente all’interno di una struttura gerarchica e gestionale di base ben funzionante.
Quello che osserviamo è che, in un contesto di crescente varietà e complessità dei progetti di trasformazione, occorre sempre di più favorire:
una mobilitazione maggiore di risorse chiave per guidare e realizzare i cambiamenti;
una leadership più collettiva e diffusa, non concentrata in poche risorse capaci, ma distribuita tra diversi attori dell’organizzazione, anche ai livelli di base e di management intermedio;
un approccio ai cambiamenti continuativo e non episodico;
un processo parallelo alla gestione “tecnica” dei progetti e articolato su visione, fiducia, motivazione, coesione, coraggio, azione e celebrazione.
Le organizzazioni interne si stanno trasformando naturalmente, in coerenza con queste nuove esigenze, in un terreno nel quale la persona, inserita in una rete di relazioni, alcune strette e altre più deboli, opera sulla base della ricerca di un valore aggiunto comune, piuttosto che per adempiere a dei meri compiti, e dove i diversi ruoli rispondono sempre più a logiche di presidio delle funzioni vitali d’impresa e di soluzione dei problemi (per esempio, la soddisfazione del cliente, il time to market, l’ottimizzazione del ciclo di cassa, la riduzione del total cost della supply chain), piuttosto che a mansioni limitate e titoli assegnati in modo verticistico o burocratico.
I processi di funzionamento si distruggono e si ricreano con maggiore velocità e frequenza, sulla base delle priorità strategiche, del contesto e degli obiettivi di cambiamento, in modo da valorizzare al massimo le competenze disponibili e quelle più adatte al raggiungimento degli obiettivi, oppure creando spazi per l’inserimento di nuove competenze esterne.
È fondamentale, dunque, avere un approccio esteso e interconnesso, mettendo in relazione tra loro persone, strategie, organizzazioni, processi e risorse, e creando veri ecosistemi fluidi che possano riconfigurare anche temporaneamente le normali gerarchie aziendali, i processi decisionali e le responsabilità funzionali per raggiungere obiettivi progettuali mai affrontati prima. Lo stesso perimetro della value chain aziendale tradizionale si è diluito. Oggi le aziende si muovono all’interno di una rete di valore, di una filiera più complessa a monte, a valle e di lato, per cui il cambiamento non si limita solo all’azienda in senso stretto ma può riguardare i diversi attori del sistema-rete allargato, coinvolgendo in modo collaborativo i fornitori, i clienti, i partner strategici ed eventualmente anche i concorrenti.
Per fare questo occorre più leadership e meno management. Non si tratta, cioè, di potenziare gli strumenti consolidati di project management, su cui esiste già molta letteratura e a cui l’esperienza di chi scrive non può aggiungere nulla di nuovo. Certo, per eseguire e controllare bene un progetto complesso, un prerequisito fondamentale è disporre di tool e capacità di pianificazione, project charter, budget, work breakdown structure, Gantt, saper analizzare i percorsi critici, utilizzare tecniche agili o di design thinking, scegliere project manager preparati, approntare dispositivi di misurazione, controllo e reporting; ma la realizzazione del cambiamento supera necessariamente questa dimensione tecnico-metodologica per affrontare concretamente cosa occorra fare per accelerare, per essere certi del risultato ed evitare di fallire. Su questo aspetto c’è ancora molto da fare.
FIGURA 1.2 – L’ “Arte della leadership del progetto” acquista importanza con l’aumentare delle dimensioni e della complessità del progetto. ©Titolare dei diritti: McKinsey & Company.
Bisogna entrare qui nella dimensione dell’esperienza e della capacità, nell’arte del cambiamento e non solo nella scienza della gestione. Passare, quindi, a una dimensione legata alla leadership e alla qualità delle persone che gestiscono le aziende e i progetti, ad aspetti motivazionali e comportamentali, e non soltanto alle tecniche per realizzarli. In questo ambito sono le persone e l’esperienza a fare la differenza. Più che parlare di project management, è preferibile utilizzare l’espressione “realization management”, che prova a suggerire come si fa a connettere la strategia ai risultati, guidando le trasformazioni verso nuovi modelli, nuovi metodi e strumenti di lavoro in modo efficace, sostenibile e duraturo (Figura 1.2).
Il nuovo paradigma del cambiamento accelerato
Nessun cambiamento può avvenire con successo senza che ci siano le condizioni di contesto organizzativo e culturali favorevoli e questo deve stare nell’agenda e nelle responsabilità del capo azienda, dell’imprenditore; il ruolo del leader, tra gli altri, è sempre di più quello di “creare e gestire” il contesto giusto per le persone e i talenti della propria organizzazione, deve ispirare il cambiamento favorendo la cultura dell’innovazione e de...

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