Il giovane Nietzsche
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Virginia Varriale

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Il giovane Nietzsche

Virginia Varriale

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L’opera Il giovane Nietzsche è un nuovo tipo di saggio critico, poiché non risponde solo a rigorose esigenze storico-interpretative, ma si apre a un intimo dialogo con un giovanissimo studioso, immerso nei gorghi del suo genio e del suo febbrile delirio pensoso: Friedrich Nietzsche.
Fritz, così chiamato da famigliari e amici, è un giovane brillante che ama la musica, la poesia e i classici, tanto da abituarsi a pensare in latino o in greco per meglio cogliere la forza vitale degli antichi. È spiritoso, ma scontroso, generoso con i compagni, ma introverso fino a chiudersi in lunghe passeggiate solitarie, meglio sotto cieli autunnali, canticchiando fra sé un ritornello, diventa ciò che sei, che sarebbe diventato il leitmotiv delle sue riflessioni filosofiche.
L’opera è divisa in due parti. La prima parte - Frammenti di vita e pensiero - ripercorre, attraverso il filo delle lettere scritte dal 1850 al 1869, le vicende di Nietzsche da studente liceale a professore ordinario di Filologia classica di Basilea. Nella seconda parte – Ecce Nietzsche – attraverso una forma nuda, rischiosa e totalizzante, è Fritz che parla in prima persona rivelando pensieri, gesti quotidiani, dubbi e ambizioni. Emergono la sua complessa personalità, il suo desiderio di affermarsi come filosofo, la ricerca di una solitudine feconda d’idee, ma anche la necessità di amicizie autentiche e solide.

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Informazioni

Editore
Kimerik
Anno
2020
ISBN
9788855165938

Dalle Lettere (dal 1850 al 1869)[2]
Le lettere risalgono all’infanzia e alla prima giovinezza del filosofo: gli anni trascorsi nella scuola a Pforta, il periodo universitario a Bonn e a Lipsia, il servizio militare a Naumburg, il conferimento della cattedra di filologia classica all’Università di Basilea. Nietzsche vive in una zona circoscritta della Germania centro-orientale, in una provincia della Sassonia, e la tranquilla città di Naumburg è il luogo dei suoi ricordi di bambino e di ragazzo. Il 5 ottobre 1858 Friedrich inizia a frequentare la scuola di Pforta, grazie a una borsa di studio, che gli permette d’intraprendere gli studi ginnasiali. Il giorno successivo scrive alla madre Franziska, rassicurandola di trovarsi bene, ma non benissimo, essendo un posto ancora estraneo, e qualche giorno dopo le parla dello studio e della severità della nuova scuola cui farà di tutto per adattarsi. Fritz (così è chiamato dai suoi familiari) arriva a scrivere anche più di una lettera in un giorno alla madre o alla sorella, per aggiornarle sui suoi progressi o magari per chiedere “occhiali. Forbici. Inchiostro. Quaderni. Cavastivali.
Cioccolata in polvere, zucchero candito…” e, qualche volta, un dolce di noci e uva da mangiare in compagnia degli altri sette studenti con cui condivide la stanza. Nelle lettere di novembre racconta a parenti e amici delle nuove abitudini di Pforta: ogni mattina si sveglia alle 5 e alterna ore di lezione e ore di studio individuale, seguendo una disciplina molto rigida: infatti, un giorno a settimana, può alzarsi un’ora dopo per poi dedicare un’intera giornata allo studio individuale. Fritz fa nuove amicizie, ma si sente ancora molto legato ai due amici di Naumburg, Wilhelm Pinder e Gustav Krug, con i quali fonda nel 1860 la società letteraria Germania, con l’obbligo di scambiarsi ogni mese composizioni musicali oppure poesie o saggi. Quest’amicizia era possibile grazie ai pochi chilometri che separavano la scuola di Nietzsche dalla sua cittadina. Wilhelm e Fritz si scrivono spesso, si aggiornano sui loro studi e sulle letture. Friedrich si rammarica di non leggere in classe Omero, perché per molte ore deve studiare la storia greca e la storia prussiana. Quando non ha nulla da fare, per esercitarsi, annota in latino ciò che gli capita o ascolta in qualche occasione, sforzandosi di pensare in latino. I due si spediscono esperimenti poetici che recensiscono a vicenda per corrispondenza e, come veri critici, si scambiano elogi o giudizi negativi. Alla fine di ogni lettera all’amico, Nietzsche si firma “semper nostra manet amicitia!”, che diverrà poi il motto della loro società letterario-musicale. A quel tempo il nostro filosofo è solo un ragazzo di quindici anni, ma già s’interroga sulla libertà, considerando questa uno dei problemi principali dell’uomo[3]. Confida all’amico di aver scritto svariate cose durante le vacanze pasquali, un dramma mal riuscito intitolato Prometeo e diverse poesie, di cui una è da lui definita assai bizzarra:
“Vi compare un poeta in contrasto con il pubblico e il tutto è un misto di follia e di balordaggine.
Tra le altre cose v’è anche una frase lunga una pagina intera. Vi sono poi distorcimenti estremamente ridicoli, soggetti assolutamente idioti eccetera eccetera. Non so nemmeno io come mi siano venute in mente delle idee così pazze[4]”.
Forse in maniera ancora acerba nel suo animo si cominciava a delineare un sentiero che in seguito lo avrebbe condotto ai suoi pensieri più profondi. Forse quel misto di follia e balordaggine ancora informe è, senza saperlo, un’intuizione letteraria, l’eco lontana di quel misto di ebbrezza e sogno, di forma e caos che avrebbero trovato piena espressione nella Nascita della tragedia (1872).
In quegli stessi anni cominciano per Friedrich i forti dolori alla testa, che lo accompagneranno per tutta la vita. A metà gennaio 1861, in una missiva alla madre, si lamenta del suo stato di salute:
“In questi giorni sto assai male, ma non so da che cosa derivi. Ho incessanti emicranie, che mi prendono tutta la testa, inoltre mi duole il collo a ogni movimento, e così pure la gola quando respiro. Per due notti intere non ho dormito affatto, anzi mi si alternano brividi di freddo e sudore. Non riesco affatto a concentrarmi, e tutto mi pare un sogno[5]”.
Tali condizioni lo rendono assolutamente triste e fiacco. Probabilmente Nietzsche, fin da giovanissimo, comincia ad accusare i sintomi della malattia e trova giovamento solo grazie a lunghe passeggiate. Intervalla momenti di serenità a momenti di insofferenza ed è per lui sempre una gioia ritornare in vacanza a Naumburg, dove ama dividere il suo tempo tra studio e svago.
Egli trova la sua migliore disposizione allo studio secondo un piano ben preciso:
“C’è una frescura così piacevole nella stanza: un tavolo, una sedia, una cassa per i libri mi bastano come mobilia; qualche fiore sulla finestra per un po’ di profumo, una caraffa d’acqua per rinfrescarmi, il mio orologio, pile di scritti e di musica eccetera, ecco come mi figuro il mio soggiorno in maniera piacevole[6]”.
Costante è la corrispondenza con Wilhelm e Gustav, con i quali Nietzsche si confronta su letture e persino sui regali da scambiarsi nelle vacanze di Natale: “Regalatemi solo molte cose, anche ogni sorta di piccolezze, per esempio un taccuino (l’attuale è del tutto riempito) e poi carta da musica del tipo che piace a me[7]”, e non mancano
le raccomandazioni alla madre per quanto riguarda il cambio di biancheria o la spedizione di oggetti necessari alla vita di uno studente.
Ma appare singolare la lettera del 27 aprile 1862, indirizzata ai due compagni di Naumburg:
“Soltanto una visione cristiana può essere all’origine di un simile pessimismo: esso infatti è estraneo a una visione fatalistica. Esso non è altro che una sfiducia nelle proprie forze, un tentativo di mascherare la propria incapacità a plasmare da sé, con decisione, il proprio destino. Soltanto se riconosciamo che noi siamo responsabili unicamente verso noi stessi, e che il rimprovero di aver sbagliato l’indirizzo dato alla propria vita vale solo per noi e non per qualche altra potenza superiore: solo allora i concetti fondamentali del cristianesimo si spogliano della loro veste esteriore per trasformarsi in sostanza e vita. Il cristianesimo è essenzialmente un fatto di cuore: soltanto quando si è incarnato in noi, quando è diventato in noi anima, solo allora l’uomo è un vero cristiano. I principi della dottrina cristiana esprimono soltanto le verità fondamentali del cuore umano: essi sono simboli, così come la cosa più eccelsa non può essere altro che un simbolo di ciò che è ancora più alto. Giungere alla beatitudine attraverso la fede non significa altro che una vecchia verità: che solo il cuore, e non il sapere, può rendere felici. Il fatto che Dio è diventato uomo non fa che ricordarci che l’uomo non deve ricercare la sua beatitudine nell’infinito, bensì deve fondare sulla terra il suo paradiso; l’illusione di un mondo ultraterreno aveva indotto l’intelletto umano a un atteggiamento errato nei riguardi del mondo terreno: essa era il prodotto di una età infantile dei popoli. L’ardente animo giovanile dell’umanità accetta queste idee con entusiasmo, ed enuncia, presago, quel mistero, radicato nel passato e proiettantesi nel futuro, che Dio è diventato uomo. L’umanità acquista la sua virilità attraverso gravi perplessità e ardue battaglie: essa riconosce in sé ‘l’inizio, il centro e la fine della religione’. State bene!
Vostro Fritz […] Ora scriveremo le nostre lettere in questo libro![8]”.
In realtà, si tratta solo di un frammento di lettera, staccato da un ‘libro’ cui Nietzsche accenna alla fine della stessa. Ciò che stupisce è il contenuto della lettera, le riflessioni che attraversano la sua mente sul pessimismo del cristianesimo, ancor di più la chiarezza espositiva di un pensiero che non è ancora quello maturo del 1887, anno in cui viene pubblicata la Genealogia della morale.
Nella prefazione della Genealogia Nietzsche rivela che i suoi pensieri sull’origine della morale hanno avuto una loro provvisoria espressione, sotto forma di aforismi, nell’opera Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi, la cui stesura risaliva al periodo trascors...

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