Relazioni Efficaci
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Relazioni Efficaci

Come costruirle, come non pregiudicarle

Thomas Gordon, Valeria Poli

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Relazioni Efficaci

Come costruirle, come non pregiudicarle

Thomas Gordon, Valeria Poli

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Si dice "relazione" e si pensa al coniuge, al compagno, ai figli, agli altri parenti. Forse anche alle altre persone con le quali si vive e si è più intimamente legati.E, invece, spesso non consideriamo che, accanto alle persone più direttamente influenti per la nostra vita, ci sono molte altre che, magari esterne alla ristretta cerchia familiare, ci condizionano. E parecchio pure. Siamo in relazione anche con loro.Anzi, da un certo punto di vista, hanno ragione i mistici e i poeti e i filosofi: tutti siamo connessi con tutti. Una sottile trama di relazioni ci tiene insieme.Allora ciò che conta è come si vive questo legame. Le relazioni si possono migliorare ma anche deteriorare e ciò dipende da ciascuno di noi. Perché, in fondo, ciascuno è sempre il responsabile ultimo delle sue relazioni e niente può sottrargli l'opportunità di agire per modificarle. In fondo, mutiamo davvero la realtà, proprio agendo sulle nostre relazioni.Questo volume, prezioso come un testamento ideale, è l'ultimo scritto dell'autore di Genitori Efficaci. Pur con l'agilità e l'immediatezza di un manuale, rappresenta il più autorevole e maturo contributo della pedagogia democratica affinché sulla costruzione di relazioni sane possa radicarsi la speranza della pace, della convivialità, del rispetto.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788861537767
Categoria
Sociology

L’ascolto che fa sentire compresi

Talvolta le persone agiscono come gli oggetti con i quali Isaac Newton aveva spiegato un paio di leggi sul movimento da lui enunciate. Egli notò che gli oggetti a riposo tendono a rimanere a riposo e quelli in movimento tendono a restare in movimento. Similmente, quando sono in pace interiormente, senza forti emozioni, le persone tendono a rimanere quiete, a riposo. Quando però sono in conflitto, o stanno provando sentimenti forti, sopraggiunge un senso di disequilibrio. Esse diventano come i corpi in moto di Newton, tendono a restare in movimento. Sono fuori equilibrio e sono spinte ad agire per ripristinare l’equilibrio perduto. Per far ciò, spesso parlano. E ciò di cui necessitano quando giungono a questa fase è una sorta di cassa di risonanza, qualcuno di cui si fidano e che può aiutarle ascoltandole empaticamente.
Come funziona l’ascolto empatico? La risposta migliore che posso dare è che esso consente alla persona contrariata, o in conflitto, di completare la propria esperienza. Esiste una teoria che sostiene che le esperienze vissute fino in fondo si estinguono da sé. Ciò che resta è soltanto il ricordo dell’esperienza. Per dimostrare questa teoria, suggerisco di fare un esercizio, che personalmente ripeto ogni volta che ho l’emicrania.
Mi siedo, chiudo gli occhi, respiro profondamente un paio di volte e mi rilasso.
Una volta rilassato, comincio a guardarmi dentro la testa e cerco di scovare l’emicrania.
Quindi mi domando: “Dove è localizzato il dolore? Ha una forma? Quanto è grossa? Che colore ha? Quanta acqua potrebbe contenere?”.
Continuo a pormi queste domande fino a quando non riesco più a trovare il mal di testa.
Di solito riesco a liberarmi dell’emicrania dopo essermi posto le domande due o tre volte, ma il processo può anche richiedere più tempo. Lo scopo delle domande è quello di focalizzare l’attenzione sul dolore, fare, cioè, esattamente l’opposto di quella naturale tendenza a imporsi di non pensarci. Concentrandomi sul mal di testa, mi costringo a sentire il dolore e così esso scompare. Per me è più semplice portare a termine questo esercizio quando è qualcun altro a pormi le domande; in tal modo ci si può concentrare esclusivamente sull’emicrania anziché simultaneamente sull’emicrania e sulle domande.
Ricordate la madre e la figlia che litigavano nella sala d’aspetto dell’aeroporto? Ipotizzando che la madre, intuendo che la figlia fosse assalita dalla paura di volare, le si fosse rivolta dicendo: “Hai paura di salire sull’aereo. Preferiresti tornare a casa”, la paura della fanciulla si sarebbe attenuata. E se ella avesse continuato ad ascoltare ulteriormente fornendo un feedback adeguato, la paura della figlia si sarebbe placata ulteriormente.
L’ascolto attivo consiste esattamente in questo: esso aiuta a dissipare le inquietudini e la sofferenza che a volte assalgono gli esseri umani. Possiamo pertanto concludere che questo tipo di ascolto è la prevenzione primaria per molti, se non per la maggior parte, dei problemi emozionali che incombono su ogni relazione. E, oltretutto, è un rimedio gratuito.
Quando sono io ad ascoltare è mio compito:
prestare attenzione;
evitare le barriere;
rifiutarmi di salvare;
fornire un feedback per verificare che le mie intuizioni sullo stato d’animo interiore di chi mi sta parlando siano accurate.
Devo tentare di decodificare al meglio il suo messaggio. Devo saper cogliere, ad esempio, che dietro la frase di un collega: “I computer mi atterriscono” può celarsi la necessità di parlare della rabbia nei confronti della moglie. Spesso, infatti, prima di addentrarsi a parlare di qualcosa che le inquieta, le persone cominciano da qualche argomento inoffensivo per sondare se sia veramente possibile rivelare il problema che le affligge realmente. Il problema vero rischia di restare inespresso se chi ascolta inizia a rassicurare oppure a spronare, a non preoccuparsi e a non temere nulla o, peggio ancora, a dare pareri o consigli (suggerendo, ad esempio, di frequentare un corso di informatica).
Vorrei soltanto che esistesse una scuola che insegna ad ascoltare. Dopotutto, un buon manager deve saper ascoltare almeno tanto quanto deve saper parlare. Sono troppe le persone che non riescono a comprendere che la vera comunicazione viaggia in entrambe le direzioni.
Lee Iacocca
Ex-CEO della Chrysler Corporation

Errori nell’ascolto

Talvolta, sentendosi adeguatamente ascoltate, le persone proseguono a parlare per un po’. Ritengo che non sia opportuno continuare ad ascoltarle se non se ne ha veramente voglia o se non si ha il tempo per farlo. Se mi forzassi ad ascoltarle, trapelerebbero segnali non-verbali di irrequietezza, come il giocherellare nervosamente con le dita o controllare l’ora sul proprio orologio. Tanto vale essere onesti e dire a chi ci parla che abbiamo altri impegni e, qualora opportuno, stabilire un altro momento per continuare a parlare.
Un altro errore insidioso consiste nell’ascoltare quando non proviamo accettazione nei confronti di chi parla e vorremmo che cambiasse. Per ascoltare attivamente è necessaria una separazione emozionale tra chi parla e chi ascolta; ...

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