Il Quattrocento - Arti visive
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Il Quattrocento - Arti visive

Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 42

Umberto Eco

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  1. 240 pagine
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Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 42

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Nel suo momento più alto la civiltà figurativa del Quattrocento ha due polarità preminenti: Firenze e le Fiandre, che corrispondono a due visioni del mondo che dialogano, interagiscono ed elaborano un pensiero culturale che investe Spagna, Francia e mondo occidentale, nell'ambito di un Rinascimento che parla una lingua europea. È a Firenze, ad apertura di secolo, che si attua il punto di svolta per le arti figurative, con l'attitudine razionale e scientifica nella resa prospettica dello spazio e dei corpi e dunque l'introduzione di un metodo matematico per la rappresentazione, su due dimensioni, dello spazio tridimensionale. Insieme all'applicazione delle leggi della geometria euclidea, la nuova visione prospettica, sperimentata da Brunelleschi e teorizzata da Leon Battista Alberti, introduce il principio del rapporto armonico e proporzionale fra le parti e il tutto, in nome di una concezione antropomorfica dell'universo, in cui l'uomo è misura delle cose. Se l'arte italiana si distingue così per artisti di primo livello da Beato Angelico a Domenico Veneziano, da Paolo Uccello a Piero della Francesca, e ancora Donatello, Mantegna, il Pollaiolo, Filippino Lippi e Botticelli, dall'altra parte le Fiandre rielaborano la prospettiva italiana sulla maestà delle cattedrali della Francia Medievale, con una colorazione favolosa e arcana, testimoniata dalle miniature del Fouquet e dalla luminosità delle opere di Jan van Eyck e Rogier van der Weyden. In questo ebook viene così percorsa l'arte del Quattrocento intessuta nel dialogo fecondo tra l'Italia e le Fiandre, che con Petrus Christus e Antonello da Messina giungerà alla sintesi più compiuta delle due culture.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788897514640
Argomento
Art
Categoria
Art General

Centri e protagonisti

Milano sforzesca
Silvia Urbini

Nella seconda metà del Quattrocento l’arte lombarda è caratterizzata da un rapporto dialettico fra tradizioni tardo-gotiche e novità rinascimentali. Francesco e Galeazzo Maria Sforza, benché amanti dello stile cortese, favoriscono, attraverso le loro relazioni diplomatiche, la penetrazione in regione delle innovazioni fiorentine. Con il governo di Ludovico il Moro invece, grazie alla presenza di artisti come Bramante e Leonardo, Milano diviene uno dei centri di elaborazione della Maniera moderna.

Tardo-gotico e Rinascimento ai tempi di Francesco e Galeazzo Maria Sforza (1450-1476)

Nel 1454 la pace di Lodi, che mette fine alle ostilità fra Venezia e Milano, dà al Nord Italia un nuovo assetto politico-istituzionale. Per rilevanza economica e per estensione territoriale gli Stati egemoni sono quello milanese e quello veneziano. A differenza di Mantova e Ferrara, dove si creano stili specifici che caratterizzano l’identità artistica locale e influenzano l’arte del Nord Italia, a Milano permane a lungo un atteggiamento eclettico riguardo alla ricezione e alla produzione artistica.
La dinastia degli Sforza si insedia a Milano con Francesco (1401-1466), figlio di Muzio Attendolo (1369-1424), nel 1450. Il nuovo signore è legato ai gusti delle corti borgognone, boeme e germaniche. Fino agli anni Sessanta del Quattrocento la pittura, soprattutto su tavola, ha un ruolo marginale nella produzione artistica lombarda, a favore di oggetti più preziosi come miniature, oreficerie, sculture e intagli.
Esemplari di quest’epoca e delle sue inclinazioni appaiono gli affreschi del duomo di Monza con le Storie di Teodolinda. Creato per celebrare la corte sforzesca, il ciclo rappresenta un compendio delle caratteristiche del gotico internazionale: grandi dimensioni, preziosità di materiali, la presenza di una bottega, diretta dagli Zavattari, dove le singole personalità artistiche tendono a fondersi in un unico stile.
Contemporaneamente, grazie alle relazioni diplomatiche della corte, l’arte si rinnova in senso rinascimentale. Francesco Sforza capisce che Milano deve stare al passo con le città leader del tempo, e in particolare con Firenze.
Le novità giungono a Milano per volontà del duca Francesco, che, nel 1451, chiama l’architetto fiorentino Antonio Averlino detto Filarete, raccomandatogli da Cosimo de’ Medici. Filarete deve fare i conti con il gusto plastico-decorativo dell’architettura lombarda e con i suoi strascichi tardo-gotici: così avviene nella fabbrica dell’Ospedale Maggiore (1456), nella cappella di san Pietro martire in Sant’Eustorgio – commissionata tra il 1462 e il 1468 dal fiorentino Pigello Portinari, che vi è sepolto –, e nel portale del Banco Mediceo, che è quanto rimane del palazzo donato da Francesco Sforza a Cosimo de’Medici. Documento dell’attività e del pensiero di Filarete è il Trattato di architettura, scritto in volgare dal 1460 al 1464 e illustrato, in cui viene descritta la città ideale di Sforzinda, dedicata al signore di Milano.
I due grandi cantieri dell’arte lombarda sono il Duomo di Milano e la Certosa di Pavia. La Certosa può leggersi come un’antologia della scultura e della pittura locale fra Quattrocento e Cinquecento. Giovanni Antonio Amadeo, architetto e scultore, reduce dalla costruzione della cappella Colleoni a Bergamo, diviene il responsabile della Certosa dopo il 1481. La facciata dell’edificio viene esaltata non tanto mediante la valorizzazione delle componenti strutturali, ma grazie a un uso libero, colorato e ricco della decorazione di superficie. Dal 1464 al 1495 gli altri protagonisti dell’impresa certosina sono i fratelli Cristoforo e Antonio Mantegazza, i cui rilievi scultorei sono caratterizzati da uno stile espressionistico e scheggiato di ascendenza padovano-ferrarese.
Dal quinto al settimo decennio scorrono parallele e a volte s’intrecciano le carriere di due pittori che rappresentano, nella pittura lombarda, le diverse facce di una stessa medaglia: Bonifacio Bembo e Vincenzo Foppa.
Bonifacio Bembo è il pittore di corte di Francesco e del figlio Galeazzo Maria Sforza. Con altri membri della famiglia e in società con alcuni artisti (fra i quali Foppa) è impegnato a soddisfare le esigenze ducali in chiese e castelli lombardi. Rimangono poche opere che individuano il suo stile di confine fra due epoche: nell’Incoronazione di Cristo e la Vergine (Cremona, Museo Civico), parte centrale di un trittico degli anni Cinquanta, la scena avviene in una sorta di lussuosa dimora signorile, dove la prospettiva è solo intuita, come spesso accade fra gli empirici pittori lombardi.

Vincenzo Foppa

La pittura di Vincenzo Foppa risente del confronto con alcuni protagonisti della cultura figurativa italiana: Donatello e Mantegna, Bramante, Francesco del Cossa, Leonardo da Vinci.
Gli inizi sono a Brescia, città natale, dove, intorno al 1450, con lo sguardo rivolto a Gentile da Fabriano e a Jacopo Bellini, dipinge i Tre Crocifissi dell’Accademia Carrara di Bergamo. Ben presto sposta la sua attenzione sull’attività padovana di Donatello (1386-1466) e Mantegna (1431-1506), le due avanguardie artistiche del momento.
A Genova, nel 1461, scopre attraverso il pittore Donato de’Bardi i riflessi della pittura fiamminga, con esiti paralleli a quelli di Jan van Eyck e Dierik Bouts, come è evidente nella Madonna con il Bambino e un Angelo (Firenze, Uffizi).
A Milano è coinvolto nei cantieri diretti da Filarete nel sesto decennio. Nella sede milanese della banca di Cosimo de’Medici, diretta da Pigello Portinari, Foppa affresca una serie di soggetti profani, dei quali sopravvive solo il Cicerone fanciullo che legge (Londra, Wallace Collection). La scena è risolta da Foppa in chiave domestica, scandita in modo pacato e illuminata da una luce vellutata. Uno dei vertici della sua carriera è rappresentato dagli affreschi con le Storie di san Pietro martire nella cappella Portinari in Sant’Eustorgio a Milano.
Agli inizi del nono decennio del secolo, al tempo di Ludovico il Moro, si impone per Foppa il confronto con Donato Bramante, che già dal 1477 opera in terra lombarda.
Foppa guarda per esempio agli Uomini d’arme (Milano, Pinacoteca di Brera), dipinti da Bramante intorno al 1486 nel palazzo del poeta cortigiano Gaspare Visconti. La dilatazione monumentale dei condottieri è un importante insegnamento per Foppa: egli la renderà più accostante e umana, anche grazie alla mediazione della pittura ferrarese. Infatti Foppa sembra conoscere il pittore ferrarese Francesco del Cossa e il suo razionalismo legato più al mondo terreno che alla speculazione teorica. La stagione figurativa milanese degli anni Novanta – protagonisti Bramantino, Zenale e soprattutto Leonardo –, investe Foppa solo marginalmente: l’artista cristallizza le sue acquisizioni stilistiche nelle opere tarde, come l’Adorazione dei Magi (Londra, National Gallery).

L’età di Ludovico il Moro (1476-1499)

Ludovico il Moro, figlio di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti, prende il potere nel 1479 in una città ancora turbata dai fatti di sangue del 1476, quando il fratello Galeazzo Maria viene assassinato. Nel 1494, alla morte dell’erede legittimo Gian Galeazzo Maria Sforza, il Moro è finalmente duca di Milano.
Durante gli ultimi due decenni del XV secolo, Milano è protagonista di un’intensa stagione artistica, grazie alla presenza di figure geniali come Bramante e Leonardo da Vinci. Da terra di attraversamenti e di rielaborazione di linguaggi figurativi importati (padani, fiorentini, franco-fiamminghi, veneti), la Lombardia diventa fucina creativa e centro di elaborazione della Maniera moderna.
Nel 1481 Leonardo da Vinci scrive a Ludovico il Moro proponendosi come ingegnere e scultore del monumento equestre di Francesco Sforza. Contemporaneamente entra in scena Donato Bramante. Gli artisti lombardi, stimolati dalle ricerche di Bramante e Leonardo, lavorano su due fronti: il superamento di una rappresentazione fondata sulla prospettiva matematica a favore di una costruzione più sperimentale e coinvolgente; la definizione delle figure nello spazio non tanto attraverso il disegno quanto attraverso la resa atmosferica e psicologica.
Le più interessanti reazioni locali provengono da un gruppo di artisti attivi nella chiesa milanese di San Pietro in Gessate: Bernardo Butinone e Bernardino Zenale (1450 ca.-1526; Storie di sant’Ambrogio nella cappella Grifi), Giovanni Donato Montorfano, Vincenzo Foppa (con una Deposizione già a Berlino, perduta) e lo scultore Benedetto Briosco rinnovano con le loro invenzioni la tradizione realistica e il “naturalismo affettuoso” lombardo (Roberto Longhi).
Il migliore e unico vero epigono di Bramante pittore fu Bartolomeo Suardi detto Bramantino. Artista originalissimo, allievo di un orafo, licenzia in gioventù opere piccole e preziose per forme e contenuti, debitrici anche alla cultura cortigiana ferrarese (Adorazione del Bambino, Milano, Pinacoteca Ambrosiana). La sua prima opera pubblica di grandi dimensioni e dal marcato virtuosismo prospettico è l’affresco rappresentante Argo, del 1493, sopra la porta della Sala del Tesoro al Castello Sforzesco, dove le architett...

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