Quella difficile identità
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Quella difficile identità

Ebraismo e rappresentazioni letterarie della Shoah

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Ebraismo e rappresentazioni letterarie della Shoah

Informazioni su questo libro

Prendendo spunto dai testi delle deportate, il volume mette in luce come è avvenuta la trasmissione "al femminile" dell'evento epocale della Shoah. L'autrice indaga su come le testimoni e le scrittrici italiane raccontino e tramandino la loro esperienza: immagini, pensieri ed emozioni raccolte allora, il cui impatto resta inalterato nel presente di chi le legge e le studia oggi. L'importanza di autrici come Liana Millu e Giuliana Tedeschi sta non nella differenza, ma nella compartecipazione alla rappresentazione letteraria della Shoah. Lo specifico femminile arricchisce la testimonianza maschile, mentre la memoria, paradossalmente, si universalizza. È la tragedia stessa che impone di parlare di quel che avvenne alle famiglie di queste donne, oppure di immaginare cosa si cela dietro il buio di omissioni, dietro l'ansietà di un vuoto. Impone di parlare e riscoprire – per alcune di loro, come nel caso di Giacoma Limentani – il loro senso di ebraicità all'interno del contesto italiano dopo la guerra, dopo il ritorno in Italia di chi poté tornare, ma anche di chi, rimanendo, non fu meno ferita. Al ritorno, tutto quel che avvenne si sistemò lungo un asse che aveva nella Shoah il punto zero del prima e del dopo, un asse cartesiano-ortogonale della sofferenza impartita e subita da queste bambine e ragazze e dalle loro famiglie. Il romanzo apocalittico La Storia di Elsa Morante e l'ibrido narrativo Lezioni di tenebra di Helena Janeczek, riconfermano – sia pure da prospettive e mediante tecniche espressive assai diverse – il senso politico della scrittura in quanto scrittura di donna e di individuo che vive arendtianamente il politico: dunque una scrittura eticamente destinata non soltanto ad altre donne ma alla collettività intera. "Il coraggio e la perseveranza dimostrati dalle donne durante l'evento come anche nel difficile processo di ritorno ad un'esistenza normale dopo i traumi subiti merita il nostro continuo ricordo", scrive nella dedica del suo libro Stefania Lucamante, per la quale la cultura ebraica italiana e le lacerazioni nella vita di molte donne causate dalla Shoah sono diventati argomenti imprescindibili del suo lavoro di docente alla Catholic University of America.

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Informazioni

Capitolo 1
Rappresentare/analizzare la Shoah oggi:
un difficile percorso di genere
All’inizio del ventunesimo secolo, la Shoah, o l’Olocausto secondo il termine più generalmente accettato1, si configura ormai come un’immensa costruzione culturale, spesso strumentalizzata, coercizzata, mediatizzata, e per la quale, quasi a testimoniare la difficoltà della sua eventuale elaborazione, si ripropongono con periodici intervalli nuovi trattamenti teorici e critici. In tempi recenti si parla spesso ormai di “sovrabbondanza” della memoria ebraica della Shoah, di eventuali “reazioni di rigetto”2, di “assuefazione”3 a commemorazioni quali persino la Giornata della Memoria4, celebrazione istituita dalla Repubblica italiana con la legge n. 211 del 20 luglio 2000. Si commenta sulla vastità del corpus bibliografico sulla Shoah, un corpus che «tende ad avere, anche in Italia, caratteri ripetitivi, oltre che scolastici, in rapporto a quella sgradevole banalizzazione sociale, spettacolarizzazione e appiattimento didattico del tema della Shoah su cui hanno puntato fra gli altri il dito, e il secondo in malo modo, Broszat (in Höss) e Finkelstein»5.
Si trovano a convivere paradossalmente due elementi: da un lato la paura della “ritualizzazione” – rappresentata dalle critiche mosse agli eventi sterili e ormai troppo reiterati che vengono organizzati in occasione della Giornata della Memoria – insieme a quella della musealizzazione della Shoah, mentre dall’altro sussiste la mancanza di un’effettiva conoscenza dei fatti da parte della collettività. Ancor prima di aver acquisito tale conoscenza, i singoli individui avanzano, allora, ragioni di stanchezza morale nei confronti di cose che si pensa di sapere, che si pensa di conoscere sin troppo. Costoro manifestano in fondo, il timore che questa memoria afflittiva distolga l’interesse, anche per un attimo, dai quotidiani problemi legati al consumismo e alla corsa al pursuit of happiness, quella ricerca della felicità a cui tutti hanno diritto come decreta, per esempio, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo statunitense, e che il sociologo Zygmunt Bauman ci ammonisce, invece, a non ricercare6.
Il problema, forse, non risiede soltanto nella necessità di una migliore conoscenza dei fatti, ma anche nel palesamento del processo di dis-umanizzazione degli esseri (e per di più italiani), della differenza politicizzata. Lo smascheramento di una finzione pronominale che contrappone il noi a voi. Il diverso di cui è emblematica, in Italia, la figura dei vicini di pianerottolo delle narratrici dei romanzi di Rosetta Loy. Questi diversi, ricordati comediversi proprio da quel pronome noi indicante la maggioranza silenziosa degli italiani cattolici in La parola ebreo e in altri romanzi di Loy in cui l’Italia delle leggi razziali e delle deportazioni si mantiene inalterata quale sfondo principale per le vicende dei personaggi, esigono l’atto del fare memoria. Come sostiene David Bidussa,

Perché un evento acquisti il carattere di significato nazionale per una comunità occorre che si costruisca la consapevolezza di un lutto e dunque di un vuoto, ovvero di una cosa che segni pubblicamente un prima e un dopo. In quel vuoto si costruisce una memoria pubblica.7

Nonostante, come scrive Michele Sarfatti, il termine Shoah adesso designi una «intera vicenda storica»8 alla stregua dei vari termini che hanno contraddistinto momenti di rilievo per la storia del paese, come quelli di Rinascimento e Risorgimento, la memoria pubblica stenta a configurarne la costruzione su un piano collettivo, in parte per via dell’effettiva mancanza di conoscenza da parte di molti italiani di questo lutto, di questo vuoto che, in cambio, produce indifferenza, come anche per via delle narrazioni estremamente selettive che vengono rese disponibili. Come per il vuoto creato dalla mancanza di un’effettiva storia di un’altra Italia, rappresentata dalla storia dell’emigrazione di tanti connazionali verso altri continenti in cerca di fortuna dopo l’unificazione del paese, anche in questo caso il sapere comune di molti fra coloro i quali hanno frequentato la scuola dell’obbligo prima dell’istituzione della Giornata della Memoria mostra gravi lacune, lacune di cui sono emblematiche quelle rivelate dalla Giovanna protagonista del film del 2003 La finestra di fronte. L’itinerario tematico costruito per gli spettatori dalla memoria lunga e dolorosa di Davide, il pasticciere ebreo che ha perso il proprio amato Simone ad Auschwitz e continua a cercare il viso e il sorriso del proprio amore nei luoghi dei loro incontri, va interpretato e rivisto mediante un elemento fondante: la sua storia verrà finalmente ascoltata da Giovanna, una donna semplice che non conosce la storia delle persecuzioni accadute anche vicino a dove lei vive oggi con la sua famiglia. Come in Una giornata particolare di Ettore Scola un omosessuale, Davide, trasmette la sofferenza della propria discriminazione a Giovanna, esponente di un altro gruppo discriminato, le donne di umili condizioni. La non-conoscenza da parte di Giovanna di una storia collettiva e pure a noi assai prossima, come quella della deportazione degli ebrei romani del 16 ottobre 1943, ci porta a riflettere proprio su due livelli di storia, quella tramandata e quella studiata. Se la giovane donna conosce il motivo del tremendo tatuaggio che scorge sul braccio di Davide mentre lo cambia in bagno in una coinvolgente scena di istintivo accudimento materno, lo conosce soltanto perché, lei come tanti, ha pur sentito qualche volta parlare in modo astratto e traslato dell’evento in generale, di un mondo che pensa non appartenerle. Tutti gli italiani hanno pur visto qualche sceneggiato televisivo ambientato sullo sfondo della Shoah, oppure apprezzato La lista di Schindler di Steven Spielberg in prima serata9. ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. informazioni
  3. frontespizio
  4. dedica
  5. ringraziamenti
  6. Introduzione
  7. Capitolo 1: Rappresentare/analizzare la Shoah oggi: un difficile percorso di genere
  8. Capitolo 2: Non soltanto memoria: raccontare il campo fra verità e realtà del ricordo. Memoriali e testimonianze
  9. Capitolo 3: Tornare per scrivere, o le “scrittrici per necessità”: Edith Bruck, A 11152, e Liana Millu, A 5384
  10. Capitolo 4: Dentro la D e fuori dal ghetto con le bambine di Roma: Lia Levi, Rosetta Loy e Giacoma Limentani
  11. Capitolo 5: Allo scrittore deve stare a cuore il mondo: La ControStoria di Elsa Morante e una tesi scomoda
  12. Capitolo 6: Figlie dell'Olocausto: Helena Janeczek, Lezioni di tenebra e una difficile identità
  13. L'autrice
  14. la casa editrice