97 cose che ogni UX designer dovrebbe sapere
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97 cose che ogni UX designer dovrebbe sapere

Guida alla progettazione creativa

Dan Berlin

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97 cose che ogni UX designer dovrebbe sapere

Guida alla progettazione creativa

Dan Berlin

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Attingi alle conoscenze degli esperti per imparare tutto ciò che un professionista dell'UX dovrebbe sapere! Con questi 97 brevi e pratici consigli per UX designer potrai scoprire nuovi approcci a vecchi problemi, oltre ad apprendere le best practice più sperimentate per affinare, grazie a una serie di validi suggerimenti, le tue capacità. Lavorare nell'UX significa molto più che creare interfacce. Quali sono le aree di competenza che un esperto di UX non può proprio tralasciare? E quali, invece, quelle che può bellamente ignorare? L'argomento è oggetto di feroci discussioni. Attraverso 97 rapidi contributi, Dan Berlin presenta numerosi utili consigli per trovare risposte a dubbi come questi, formulate in anni di carriera lavorativa dai migliori professionisti del settore.

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Informazioni

Editore
Hoepli
Anno
2022
ISBN
9788836009688
Argomento
Design
Categoria
Web Design
PARTE III
Design
17. Non dimenticatevi dell’architettura dell’informazione
Joe Sokohl
Qualche anno fa, io e mia moglie volevamo dare una ripulita alla cantina, ormai in condizioni pietose. La nostra vicina, organizzatrice di professione, ci diede una mano a mettere ordine ai trent’anni di accumuli. Il suo processo di organizzazione fisica, molto succinto, mi fece venire alla mente che cos’è realmente l’architettura dell’informazione.
“Mettete insieme le cose simili. Decidete che cosa tenere e che cosa buttare o donare. Quindi etichettate e mettete via gli oggetti in base al modo in cui vivete”, ci disse.
Ecco che cosa fa esattamente l’architettura dell’informazione: organizza e classifica gli oggetti digitali in modo che le persone li possano trovare e utilizzare. L’architettura dell’informazione esiste ormai come campo di studi da oltre vent’anni; ultimamente, però, è stata un po’ messa da parte, rispetto ad altri aspetti dell’UX come l’interfaccia utente, la content strategy e l’interaction design. Ciononostante, continua a essere una parte fondamentale dell’UX.
Anche l’architettura dell’informazione, come altri aspetti dell’UX, parte dalla comprensione dell’utente e del suo contesto: nel suo cuore, pertanto, si trova la user research. Monitorando in che modo le persone fanno uso delle informazioni, possiamo osservarne il comportamento mentre cercano queste ultime e mentre le memorizzano. Il modo in cui le persone interagiscono con le informazioni è analogo a quello con cui per eoni gli esseri umani hanno interagito con il proprio ambiente. Per illustrare il modo in cui una persona passa da un archivio di informazioni all’altro, trovando informazioni che piano piano la aiutino a trovare un significato, si usa il termine “information berrypicking” (dove “berrypicking” significa letteralmente “raccolta di bacche”). La metafora viene estesa con il termine “information foraging” (dove “foraging” indica “foraggiamento, ricerca di cibo”), che sta a indicare che le persone eseguono ricerche nelle aree informative che potrebbero rappresentare un potenziale valore. Le persone, inoltre, possono anche muoversi senza una meta particolare fra le corsie digitali, cercando eventuali significati tra gli scaffali delle informazioni.
Per organizzare le informazioni, per prima cosa dovete sapere quali di queste volete organizzare. Si tratta di informazioni già esistenti che devono essere sistemate in modo più consono? Vi sono alcune di esse che ancora devono essere create? Ve ne sono alcune duplicate che bisogna consolidare? Per aiutarci a mettere insieme informazioni analoghe, stabilendo quali vanno mantenute, quali devono essere messe insieme e quali vanno scartate, si utilizzano questi strumenti:
Inventario dei contenuti: identifica ogni singolo contenuto nello spazio informativo.
Controllo dei contenuti: analizza i contenuti secondo il tipo, lo scopo, la ridondanza e l’utilità per l’utente.
Per comprendere in che modo le persone danno un nome al materiale che usano, si portano avanti:
Analisi dei log file delle ricerche: analizza i termini inseriti dagli utenti che fanno ricerche.
Ordinamento delle schede: consente agli utenti di smistare i termini in categorie che abbiano un senso per loro.
Test ad albero: chiede alle persone dove si recano per trovare o per fare qualcosa.
Ora che abbiamo stabilito un glossario di termini condiviso, etichettiamo gli spazi informativi, trovando dei sistemi per archiviarli in modo che gli utenti vi possano accedere e farne uso. Create e applicate le etichette: dobbiamo stabilire dei punti di riferimento e dei marcatori che aiutino gli utenti a percorrere gli spazi informativi per trovare ciò che stanno cercando.
Jorge Arango è riuscito a cogliere molto bene il senso dell’architettura dell’informazione quando parlava del problema dell’integrità strutturale del significato in contesti diversi. L’architettura dell’informazione consente alle persone di interagire con tale significato in tutti i touchpoint dell’esperienza.
Mappe dei siti, tassonomie, pagine di risultati di ricerca non riescono a fornire una struttura sufficiente per far emergere le interazioni. Le esperienze vocali e quelle di realtà virtuale e aumentata necessitano di struttura e classificazione, così come ne hanno bisogno le esperienze visuali. Per esempio, le interfacce vocali necessitano di una buona architettura dell’informazione. Fornire indicazioni sulle informazioni riduce la quantità di dati che una persona deve conservare. Una cornice acustica chiara aiuta le persone a sapere dove si trovano quando chiedono la riproduzione di un album, le previsioni del tempo o una ricetta.
Dal punto di vista umano, la preoccupazione maggiore per quanto riguarda la struttura dell’informazione è non tanto la struttura in sé, quanto ciò che le persone fanno al suo interno. Come diceva Frank Lloyd Wright citando Lao-Tzu alla scuola di architettura Taliesin West: la realtà dell’edificio non consiste di un tetto e dei muri, ma dello spazio da vivere al suo interno. Analogamente, l’architettura dell’informazione consiste dello spazio in cui le persone vivono la vita delle loro informazioni. Fornisce la struttura, le ossa e il quadro di riferimento perché vi operino altre attività.
Per maggiori informazioni sull’identificazione dei problemi dell’architettura dell’informazione, fate riferimento alla Parte V, Imparate a conoscere questi segnali di problemi di architettura dell’informazione.
18. Quando prototipizzate, tenete in considerazione la fedeltà visuale e quella funzionale
Chris Callaghan
La maggior parte degli strumenti di design è orientata agli elementi visuali come tipografia, grafica, movimento, consegna del CSS. Anche se molti dichiarano di essere adatti per la prototipazione, in realtà sono pochi quelli che offrono le funzionalità necessarie ad architettare in modo adeguato input, output, componenti statici o elementi condizionali. Per esempio, molti strumenti di UX design non offrono soluzioni per creare moduli funzionali, che sono invece alla base di numerose esperienze.
Questo non li conferma essere esattamente strumenti per la prototipazione, il che significa che i designer sono privi di ciò che occorrerebbe per esplorare e comunicare i comportamenti fondamentali delle interfacce utente, comportando un punto cieco nell’interaction design.
Mi è capitato di incrociare un esempio perfetto di questo punto cieco mentre stavo preparando uno studio di usabilità di un e-commerce per un cliente. Quest’ultimo desiderava testare una nuova procedura di checkout progettata dalla sua agenzia. Le esperienze chiave, come è prevedibile in questo tipo di procedura, erano numerose: per esempio, il percorso per la registrazione, la gestione del carrello, le opzioni di consegna, i dettagli del pagamento e i riepiloghi degli ordini.
L’agenzia mi disse che mi avrebbe fornito un prototipo “ad alta fedeltà” perché ne potessi testare l’usabilità. I tempi erano strettissimi e, man mano che la data della consegna dello studio si avvicinava, iniziai a preoccuparmi seriamente del fatto che nessuno mi aveva ancora passato il prototipo. Alla fine, l’agenzia me lo consegnò proprio all’ultimo minuto.
Ma c’era un problema. Il prototipo, infatti, era sì in alta fedeltà dal punto di vista visuale, ma da punto di vista funzionale la fedeltà era bassissima. Il prototipo aveva l’aspetto di una pagina di checkout, con un’accurata scelta della tipografia, icone eleganti e pulsanti disegnati in modo molto professionale, ma non funzionava né dava la sensazione di una vera pagina di checkout.
Dal momento che il designer dell’interfaccia utente aveva scelto uno strumento di visual design molto diffuso che si spacciava da strumento per l’UX, il massimo che era riuscito a fare era incollare fra loro un po’ di schermate ben progettate, il che portava al risultato che il prototipo era funzionalmente a bassa fedeltà. In pratica, l’utente poteva navigare soltanto seguendo l’ordine specifico con cui le schermate erano state appiccicate l’una all’altra. A causa di ciò, i partecipanti allo studio si sarebbero trovati a cliccare in punti che non funzionavano e quindi, nel giro di pochi secondi, avrebbero lasciato perdere.
Un altro problema di questo approccio era che nessuno degli elementi editabili dell’interfaccia lo era realmente. Lo strumento per l’UX design scelto non offriva granché, a parte la possibilità di progettare a livello superficiale; pertanto, il designer dell’interfaccia utente si era trovato nell’impossibilità di progettare o prototipizzare la funzionalità del carrello, i metodi di selezione del pagamento o il modulo con i dettagli delle spedizioni. Il designer era stato costretto a creare lunghe sequenze di schermate in cui la compilazione dei moduli e gli input da tastiera erano simulati con informazioni fittizie. Anche in questo caso, i partecipanti allo studio avrebbero lasciato perdere se si fossero trovati davanti informazioni fittizie irrilevanti e fossero stati sottoposti allo stress del “clicca per continuare” per procedere attraverso una serie di interazioni simulate.
Per fortuna, la mia precedente esperienza mi consentì di rilevare in tempo queste problematiche e di evidenziarle mediante un paio di test pilota. Il cliente apprezzò il lavoro svolto e rimandò lo studio, mentre io, utilizzando uno strumento appropriato, produssi un nuovo prototipo interamente interattivo ad alta fedeltà sia visiva sia funzionale.
Per questo progetto, un prototipo ad alta fedeltà funzionale era essenziale per testare l’esperienza, fatto dimostrato più volte mentre osservavamo il modo in cui, nel momento in cui si trovavano a dover operare una scelta, i partecipanti interagivano con dei componenti statici, senza la necessità di sospendere l’incredulità.
Per questo vi invito a pensare agli insegnamenti che dovete trarre dai prototipi e a non limitarvi a pensare al livello di fedeltà di cui avete bisogno, ma anche al tipo. Ricordate, inoltre, che se utilizzate solo strumenti di design superficiale, potrete progettare solo la superficie di un’esperienza.
19. Vedere al di là dell’utente “medio”
Hillary Carey
In qualità di designer, sfruttare la standpoint theory (teoria del punto di vista) ci consente di valutare, promuovere e integrare i punti di vista di diverse persone e contesti. In tale teoria si afferma che chi percorre i sistemi partendo dai margini li comprende meglio: riesce a vedere i confini ed è più consapevole del funzionamento delle cose perché urta contro i margini. Le esperienze esistenziali delle persone derivano da una sovrapposizione e da un mescolamento di esperienze relative a origini etniche, classe, genere, nazionalità, religione, abilità e identità sessuale. Pertanto, attingere da altri punti di vista aiuta a mettere in discussione ciò che altrimenti daremmo per scontato.
Pensate ai sistemi che state progettando. Quale tipo di persona riesce a usarli con meno difficoltà? Descrivetela: com’è di solito? Bianca, benestante, cisgender e con un bel nome italiano? Il sistema non regge nel momento in cui qualcuno con caratteristiche che non rispondono a quelle elencate prova a navigarci? Nel suo testo Design Justice (MIT Press), Sasha Costanza-Chock, professoressa al MIT, descrive queste persone ipotetiche con il termine “utenti non marcati”. Costanza-Chock descrive la dolorosa esperienza di essere una persona transgender che utilizza sistemi fisici e digitali che non tengono conto delle sue specificità. I sistemi di monitoraggio della TSA (Transportation Security Administration, agenzia governativa USA che controlla gli aeroporti, nata dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, NdT) e i sistemi dati che attingono ai record storici che attribuiscono a tali persone un genere errato, costringono gli agenti di sicurezza a indicare “maschio” o “femmina” in base alla loro prima impressione. Questa interfaccia inflessibile impone il carico cognitivo sul singolo utente, invece di sollecitare un maggior adattamento tecnologico.
Esaminate ciò che nel vostro lavoro di d...

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