PARTE III
Design
17. Non dimenticatevi dellâarchitettura dellâinformazione
Joe Sokohl
Qualche anno fa, io e mia moglie volevamo dare una ripulita alla cantina, ormai in condizioni pietose. La nostra vicina, organizzatrice di professione, ci diede una mano a mettere ordine ai trentâanni di accumuli. Il suo processo di organizzazione fisica, molto succinto, mi fece venire alla mente che cosâĂš realmente lâarchitettura dellâinformazione.
âMettete insieme le cose simili. Decidete che cosa tenere e che cosa buttare o donare. Quindi etichettate e mettete via gli oggetti in base al modo in cui viveteâ, ci disse.
Ecco che cosa fa esattamente lâarchitettura dellâinformazione: organizza e classifica gli oggetti digitali in modo che le persone li possano trovare e utilizzare. Lâarchitettura dellâinformazione esiste ormai come campo di studi da oltre ventâanni; ultimamente, perĂČ, Ăš stata un poâ messa da parte, rispetto ad altri aspetti dellâUX come lâinterfaccia utente, la content strategy e lâinteraction design. Ciononostante, continua a essere una parte fondamentale dellâUX.
Anche lâarchitettura dellâinformazione, come altri aspetti dellâUX, parte dalla comprensione dellâutente e del suo contesto: nel suo cuore, pertanto, si trova la user research. Monitorando in che modo le persone fanno uso delle informazioni, possiamo osservarne il comportamento mentre cercano queste ultime e mentre le memorizzano. Il modo in cui le persone interagiscono con le informazioni Ăš analogo a quello con cui per eoni gli esseri umani hanno interagito con il proprio ambiente. Per illustrare il modo in cui una persona passa da un archivio di informazioni allâaltro, trovando informazioni che piano piano la aiutino a trovare un significato, si usa il termine âinformation berrypickingâ (dove âberrypickingâ significa letteralmente âraccolta di baccheâ). La metafora viene estesa con il termine âinformation foragingâ (dove âforagingâ indica âforaggiamento, ricerca di ciboâ), che sta a indicare che le persone eseguono ricerche nelle aree informative che potrebbero rappresentare un potenziale valore. Le persone, inoltre, possono anche muoversi senza una meta particolare fra le corsie digitali, cercando eventuali significati tra gli scaffali delle informazioni.
Per organizzare le informazioni, per prima cosa dovete sapere quali di queste volete organizzare. Si tratta di informazioni giĂ esistenti che devono essere sistemate in modo piĂč consono? Vi sono alcune di esse che ancora devono essere create? Ve ne sono alcune duplicate che bisogna consolidare? Per aiutarci a mettere insieme informazioni analoghe, stabilendo quali vanno mantenute, quali devono essere messe insieme e quali vanno scartate, si utilizzano questi strumenti:
âąInventario dei contenuti: identifica ogni singolo contenuto nello spazio informativo.
âąControllo dei contenuti: analizza i contenuti secondo il tipo, lo scopo, la ridondanza e lâutilitĂ per lâutente.
Per comprendere in che modo le persone danno un nome al materiale che usano, si portano avanti:
âąAnalisi dei log file delle ricerche: analizza i termini inseriti dagli utenti che fanno ricerche.
âąOrdinamento delle schede: consente agli utenti di smistare i termini in categorie che abbiano un senso per loro.
âąTest ad albero: chiede alle persone dove si recano per trovare o per fare qualcosa.
Ora che abbiamo stabilito un glossario di termini condiviso, etichettiamo gli spazi informativi, trovando dei sistemi per archiviarli in modo che gli utenti vi possano accedere e farne uso. Create e applicate le etichette: dobbiamo stabilire dei punti di riferimento e dei marcatori che aiutino gli utenti a percorrere gli spazi informativi per trovare ciĂČ che stanno cercando.
Jorge Arango Ăš riuscito a cogliere molto bene il senso dellâarchitettura dellâinformazione quando parlava del problema dellâintegritĂ strutturale del significato in contesti diversi. Lâarchitettura dellâinformazione consente alle persone di interagire con tale significato in tutti i touchpoint dellâesperienza.
Mappe dei siti, tassonomie, pagine di risultati di ricerca non riescono a fornire una struttura sufficiente per far emergere le interazioni. Le esperienze vocali e quelle di realtĂ virtuale e aumentata necessitano di struttura e classificazione, cosĂŹ come ne hanno bisogno le esperienze visuali. Per esempio, le interfacce vocali necessitano di una buona architettura dellâinformazione. Fornire indicazioni sulle informazioni riduce la quantitĂ di dati che una persona deve conservare. Una cornice acustica chiara aiuta le persone a sapere dove si trovano quando chiedono la riproduzione di un album, le previsioni del tempo o una ricetta.
Dal punto di vista umano, la preoccupazione maggiore per quanto riguarda la struttura dellâinformazione Ăš non tanto la struttura in sĂ©, quanto ciĂČ che le persone fanno al suo interno. Come diceva Frank Lloyd Wright citando Lao-Tzu alla scuola di architettura Taliesin West: la realtĂ dellâedificio non consiste di un tetto e dei muri, ma dello spazio da vivere al suo interno. Analogamente, lâarchitettura dellâinformazione consiste dello spazio in cui le persone vivono la vita delle loro informazioni. Fornisce la struttura, le ossa e il quadro di riferimento perchĂ© vi operino altre attivitĂ .
Per maggiori informazioni sullâidentificazione dei problemi dellâarchitettura dellâinformazione, fate riferimento alla Parte V, Imparate a conoscere questi segnali di problemi di architettura dellâinformazione.
18. Quando prototipizzate, tenete in considerazione la fedeltĂ visuale e quella funzionale
Chris Callaghan
La maggior parte degli strumenti di design Ăš orientata agli elementi visuali come tipografia, grafica, movimento, consegna del CSS. Anche se molti dichiarano di essere adatti per la prototipazione, in realtĂ sono pochi quelli che offrono le funzionalitĂ necessarie ad architettare in modo adeguato input, output, componenti statici o elementi condizionali. Per esempio, molti strumenti di UX design non offrono soluzioni per creare moduli funzionali, che sono invece alla base di numerose esperienze.
Questo non li conferma essere esattamente strumenti per la prototipazione, il che significa che i designer sono privi di ciĂČ che occorrerebbe per esplorare e comunicare i comportamenti fondamentali delle interfacce utente, comportando un punto cieco nellâinteraction design.
Mi Ăš capitato di incrociare un esempio perfetto di questo punto cieco mentre stavo preparando uno studio di usabilitĂ di un e-commerce per un cliente. Questâultimo desiderava testare una nuova procedura di checkout progettata dalla sua agenzia. Le esperienze chiave, come Ăš prevedibile in questo tipo di procedura, erano numerose: per esempio, il percorso per la registrazione, la gestione del carrello, le opzioni di consegna, i dettagli del pagamento e i riepiloghi degli ordini.
Lâagenzia mi disse che mi avrebbe fornito un prototipo âad alta fedeltĂ â perchĂ© ne potessi testare lâusabilitĂ . I tempi erano strettissimi e, man mano che la data della consegna dello studio si avvicinava, iniziai a preoccuparmi seriamente del fatto che nessuno mi aveva ancora passato il prototipo. Alla fine, lâagenzia me lo consegnĂČ proprio allâultimo minuto.
Ma câera un problema. Il prototipo, infatti, era sĂŹ in alta fedeltĂ dal punto di vista visuale, ma da punto di vista funzionale la fedeltĂ era bassissima. Il prototipo aveva lâaspetto di una pagina di checkout, con unâaccurata scelta della tipografia, icone eleganti e pulsanti disegnati in modo molto professionale, ma non funzionava nĂ© dava la sensazione di una vera pagina di checkout.
Dal momento che il designer dellâinterfaccia utente aveva scelto uno strumento di visual design molto diffuso che si spacciava da strumento per lâUX, il massimo che era riuscito a fare era incollare fra loro un poâ di schermate ben progettate, il che portava al risultato che il prototipo era funzionalmente a bassa fedeltĂ . In pratica, lâutente poteva navigare soltanto seguendo lâordine specifico con cui le schermate erano state appiccicate lâuna allâaltra. A causa di ciĂČ, i partecipanti allo studio si sarebbero trovati a cliccare in punti che non funzionavano e quindi, nel giro di pochi secondi, avrebbero lasciato perdere.
Un altro problema di questo approccio era che nessuno degli elementi editabili dellâinterfaccia lo era realmente. Lo strumento per lâUX design scelto non offriva granchĂ©, a parte la possibilitĂ di progettare a livello superficiale; pertanto, il designer dellâinterfaccia utente si era trovato nellâimpossibilitĂ di progettare o prototipizzare la funzionalitĂ del carrello, i metodi di selezione del pagamento o il modulo con i dettagli delle spedizioni. Il designer era stato costretto a creare lunghe sequenze di schermate in cui la compilazione dei moduli e gli input da tastiera erano simulati con informazioni fittizie. Anche in questo caso, i partecipanti allo studio avrebbero lasciato perdere se si fossero trovati davanti informazioni fittizie irrilevanti e fossero stati sottoposti allo stress del âclicca per continuareâ per procedere attraverso una serie di interazioni simulate.
Per fortuna, la mia precedente esperienza mi consentĂŹ di rilevare in tempo queste problematiche e di evidenziarle mediante un paio di test pilota. Il cliente apprezzĂČ il lavoro svolto e rimandĂČ lo studio, mentre io, utilizzando uno strumento appropriato, produssi un nuovo prototipo interamente interattivo ad alta fedeltĂ sia visiva sia funzionale.
Per questo progetto, un prototipo ad alta fedeltĂ funzionale era essenziale per testare lâesperienza, fatto dimostrato piĂč volte mentre osservavamo il modo in cui, nel momento in cui si trovavano a dover operare una scelta, i partecipanti interagivano con dei componenti statici, senza la necessitĂ di sospendere lâincredulitĂ .
Per questo vi invito a pensare agli insegnamenti che dovete trarre dai prototipi e a non limitarvi a pensare al livello di fedeltĂ di cui avete bisogno, ma anche al tipo. Ricordate, inoltre, che se utilizzate solo strumenti di design superficiale, potrete progettare solo la superficie di unâesperienza.
19. Vedere al di lĂ dellâutente âmedioâ
Hillary Carey
In qualitĂ di designer, sfruttare la standpoint theory (teoria del punto di vista) ci consente di valutare, promuovere e integrare i punti di vista di diverse persone e contesti. In tale teoria si afferma che chi percorre i sistemi partendo dai margini li comprende meglio: riesce a vedere i confini ed Ăš piĂč consapevole del funzionamento delle cose perchĂ© urta contro i margini. Le esperienze esistenziali delle persone derivano da una sovrapposizione e da un mescolamento di esperienze relative a origini etniche, classe, genere, nazionalitĂ , religione, abilitĂ e identitĂ sessuale. Pertanto, attingere da altri punti di vista aiuta a mettere in discussione ciĂČ che altrimenti daremmo per scontato.
Pensate ai sistemi che state progettando. Quale tipo di persona riesce a usarli con meno difficoltĂ ? Descrivetela: comâĂš di solito? Bianca, benestante, cisgender e con un bel nome italiano? Il sistema non regge nel momento in cui qualcuno con caratteristiche che non rispondono a quelle elencate prova a navigarci? Nel suo testo Design Justice (MIT Press), Sasha Costanza-Chock, professoressa al MIT, descrive queste persone ipotetiche con il termine âutenti non marcatiâ. Costanza-Chock descrive la dolorosa esperienza di essere una persona transgender che utilizza sistemi fisici e digitali che non tengono conto delle sue specificitĂ . I sistemi di monitoraggio della TSA (Transportation Security Administration, agenzia governativa USA che controlla gli aeroporti, nata dopo gli attacchi terroristici dellâ11 settembre 2001, NdT) e i sistemi dati che attingono ai record storici che attribuiscono a tali persone un genere errato, costringono gli agenti di sicurezza a indicare âmaschioâ o âfemminaâ in base alla loro prima impressione. Questa interfaccia inflessibile impone il carico cognitivo sul singolo utente, invece di sollecitare un maggior adattamento tecnologico.
Esaminate ciĂČ che nel vostro lavoro di d...