Sherlock Holmes. La morte a Scotney Castle (Il Giallo Mondadori Sherlock)
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Sherlock Holmes. La morte a Scotney Castle (Il Giallo Mondadori Sherlock)

Tim Symonds

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  1. 240 pagine
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Sherlock Holmes. La morte a Scotney Castle (Il Giallo Mondadori Sherlock)

Tim Symonds

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È una giornata di maggio del 1904 quando Sherlock Holmes viene invitato a parlare del suo metodo deduttivo in una residenza secolare del Sussex orientale. A voler conoscere i segreti della straordinaria capacità di leggere nella mente dei criminali che l'ha reso famoso sono i membri della Kipling League. Questa ricca e potente asso­cia­zione riunisce influenti ammiratori delle opere letterarie di Rudyard Kipling, assertori in suo nome della politica coloniale e della missione civilizzatrice dell'Inghilterra. A turbare però il buon esito della conferenza, introdotta dal dottor Watson, è il ritrovamento del cadavere di un uomo in uno stagno presso la tenuta di Scotney Castle, poco oltre il confine con il Kent. Annegamento accidentale o suicidio sono le ipotesi al vaglio degli inquirenti; per Holmes si tratta invece di un episodio sinistro, le cui anomalie sono indizi di un delitto allo stesso tempo strano e sofisticato. Una sfida agghiacciante lanciatagli da un avversario forse imbattibile, tanto da indurlo, alla fine, a proibirne la divulgazione.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
ISBN
9788835716679
Argomento
Literature
Categoria
Noir Fiction
1

Arriva un telegramma

Holmes si trattiene spesso a letto fino a tardi. Altre volte si alza alle prime luci dell’alba, ben prima che io abbia dato una sbirciata con gli occhi gonfi di sonno all’orologio e al mondo esterno attraverso la finestra. In tali, non infrequenti occasioni sceglie dalla sua collezione un soprabito con la stessa cura con cui sceglie una pipa e discende in modo agile e veloce la scala che collega il primo piano alla porta d’ingresso del nostro alloggio al 221B di Baker Street. A volte sta via tutto il giorno, lasciando dietro di sé un libro sulla sua poltrona, la pipa con il bocchino rappezzato, e in generale l’impronta della sua presenza. I bassifondi di East London sono il suo terreno di caccia preferito, anche se la rapida e selvaggia industrializzazione sta modificando quella zona. Nell’area intorno al fiume Lea agitatori slavi in fuga dalle persecuzioni politiche hanno trasformato le comunità che lì vivono in centrali del crimine. Pochi londinesi osano avventurarsi, se non è proprio necessario, oltre la chiesa di St George-in-the-East, una delle sei della capitale progettata da Hawksmoor, a parte quelli che sperano di conquistare la loro bella con i filtri d’amore cinesi, in cui si mescolano hashish, gerani, petali di rosa, foglie di limone, zucchero e miele. Ogni tanto facciamo una capatina in Narrow Street, nella zona di Limehouse, per indagare sulla Lega Hong, la società segreta cinese, quello strano gruppo di uomini che comunicano tra loro solo dopo avere indicato il cielo, la terra e infine il proprio cuore.
Navi della Marina mercantile portano i loro carichi dalle regioni equatoriali fino agli scali a ciò dedicati lungo il Tamigi. In quell’area brulica una variegata umanità: cuochi dell’isola di Hainan, ricettatori del popolare mercato di Petticoat Lane, nostromi di Canton, cambusieri di Ningpo, uomini dalle barbe appuntite con una lobbia sulla testa, poliziotti in incognito, artisti del gruppo di Bloomsbury in cerca di curiosità, propagandisti della riforma morale.
Holmes inizia in genere le sue esplorazioni partendo dal cosiddetto Poverty Corner, per poi percorrere molti chilometri lungo il Tamigi, infilandosi negli squallidi vicoli intorno ai moli sulla riva settentrionale, a est del London Bridge. Se il tempo è piovoso, come il giorno di cui mi accingo a parlare, si rivolge a un ragazzo di strada perché gli procuri un calessino da usare per i suoi giri. I moli di St Katharine, Victoria, South West India, Albert e Tilbury gli sono noti come le sue tasche, tanto quanto i paraggi di Regent’s Park. Le splendide navi lì ormeggiate imbarcano carichi per San Francisco o per gli antipodi, e la zona è piena di schiamazzanti creole della Sierra Leone e santoni con turbanti e lunghe tuniche, che si spacciano per guaritori.
Era il 27 maggio 1904, quando gli straordinari e inquietanti eventi di questa storia ebbero luogo, distogliendo Holmes dai suoi terreni di caccia prediletti. Riguardando i miei appunti vedo che, anche se in quel periodo abitavo in un appartamento situato sopra il mio studio medico, tornai a passare una notte, come facevo talvolta, nel mio vecchio e familiare alloggio in Baker Street, dove tenevo ancora la maggior parte del mio vestiario e dei miei effetti personali. Quando mi alzai, alle otto di mattina, trovai che Holmes era già tornato da una delle sue sortite e stava finendo di fare colazione. Mi rivolse un cenno di saluto mentre prendevo anch’io posto a tavola.
Le colazioni della signora Hudson erano commisurate più al mio appetito che a quello di Holmes. Difatti, dopo che ebbe mangiato frettolosamente le uova, non fece molto onore al resto dei piatti da lei preparati, costituiti da rognoni alla griglia, pollo alla diavola, prosciutto e galantina. I rognoni, e la galantina in particolare, furono da lui sospinti attraverso il tavolo verso il mio posto.
— Holmes — provai a dire, per vedere se era in vena di chiacchierare — come è andata la sua sortita?
— Watson, la ringrazio sentitamente per il suo interesse e la sua premura. È stata molto piacevole.
— E quali avventure — gli chiesi, senza lasciarmi scoraggiare dalla sua laconica risposta — tra le modeste botteghe, le rivendite di gin, le trappole mortali celate in strade di uno squallore indicibile, le sono piombate addosso come meteore risucchiate dal campo gravitazionale del pianeta Giove? Ha obbedito alle ordinanze contro il fumo, le risse, le bestemmie e gli sputi? — E aggiunsi: — Vorrei che avessimo cento ghinee per ogni poveraccio che è morto a furia di frequentare quelle infernali bettole.
— Niente avventure, solo stimolanti discussioni al Blackwall Basin — rispose Holmes, con tono compiaciuto. Si alzò da tavola e si sprofondò in una poltrona. — Trovo molte cose di grande interesse nella zona dei moli, i bompressi di lunghezza regolabile e le vele di seta dei bastimenti australiani che approfittano della prima marea per discendere il fiume e iniziare il loro lungo viaggio di ritorno. La ricchezza dei prodotti che ci vengono dai tropici e dai possedimenti spagnoli nel Nuovo Mondo, le montagne di noci di cocco, indaco, spezie, salnitro e tè. Quale posto migliore della birreria Steam Packet per comprare un esemplare di pesce pipa o di rospo del Suriname?
— Già, dove? — dissi.
Una volta avevo accompagnato Holmes facendo insieme a lui la tipica sauna russa da Schewzik’s e recandomi successivamente nella birreria Steam Packet, dove mi avevano servito una pinta di tiepida brodaglia marroncina, al prezzo di due penny, sotto un calendario delle corse dei cavalli costellato di mosche morte. Ricordo ancora il tanfo che stagnava là dentro, quale è possibile che si produca solo cucinando aringhe sulla griglia a gas per molti anni di seguito.
— Se Darwin avesse passato più tempo a Rotherhithe o dalle parti di Tower Hill — disse ancora Holmes — invece che andando per mare a bordo del Beagle, avrebbe scoperto che è possibile comprare tartarughe e fringuelli delle Galapagos in uno dei moli lungo il Tamigi, e sarebbe arrivato in un attimo a teorizzare la selezione naturale, risparmiandosi un lungo viaggio e un anno o più di mal di mare.
— Non è da escludere che sia davvero come dice lei, Holmes.
Il mio amico si dimostrò più loquace del solito. — Watson, proverò un grande rimpianto quando non vedrò più attraccare ai moli di Londra quelle splendide navi che sono le golette, con le loro eleganti, aeree armature: l’albero di trinchetto con i suoi pennoni trasversali bilancia e integra in modo perfetto la velatura dell’albero maestro e di quello di mezzana. Una grazia incredibile, come la vita sottile di una snella fanciulla, dal fine portamento, sicura di se stessa di profilo. Ahimè, ne vedo sempre meno, di golette, ogni volta che torno.
Annotai scrupolosamente i dettagli relativi alle golette sul taccuino che tenevo pronto accanto al mio piatto, aggiungendo un piccolo disegno schematico.
— Holmes — dissi, indicando la copia del “Times” lasciata aperta alla pagina che parlava di astronomia — non è affascinante sapere che ad agosto del 2003 Marte sarà così vicino al nostro pianeta come non lo era stato da sessantamila anni? Percival Lowell pensa che l’uomo potrà sfruttare l’occasione per andare lassù a stringere la mano ai costruttori dei canali marziani.
Purtroppo, Holmes non ebbe modo di esprimere uno dei suoi soliti commenti sarcastici, perché in quel momento la signora Hudson venne su a sparecchiare, più esattamente a “rimuovere gli avanzi del pasto dei coccodrilli”, come le piaceva dire; avanzi che poi destinava a un gatto randagio di nome Marmaduke, da lei spesso lodato come il miglior cacciatore di topi che ci fosse mai stato in Baker Street.
Dopo che la signora se ne fu andata, Holmes lasciò la stanza per tornare di lì a poco con una giacca da camera di velluto verde.
— Watson — mi disse, con tono imperioso — ho in ballo un nuovo esperimento chimico per indagare sulle sostanze organiche. Prima di cominciare, però, la pregherei di andare alla finestra... con cautela, mi raccomando.
Incuriosito, mi avvicinai alla finestra e scrutai fuori, piegandomi sotto le preziose tende di pizzo della signora Hudson, che erano state scostate solo a metà.
— Cosa devo guardare, Holmes? Sto per assistere a qualche crimine di misteriosa natura? — domandai, in tono scherzoso.
— Niente di strano, mio caro amico? Non vede niente di strano?
Osservai la strada sottostante, brulicante di vita. Una diligenza trainata da una quadriglia di candidi Boulonnais stava iniziando il suo lungo viaggio, con destinazione Glasgow e i porti di fronte alle Ebridi Esterne. Piccoli straccioni noti a Holmes e a me come gli Irregolari di Baker Street smisero di giocare sul marciapiede con cerchi fatti da loro in modo artigianale per correre appresso alla diligenza, chiedendo una moneta o un frutto ai passeggeri ben vestiti che si riparavano dalla polvere con teli di lino color crema, e che risposero alle loro richieste gettando qualche monetina di infimo valore, finché il cocchiere li disperse agitando minacciosamente la frusta.
— No, Holmes, niente di strano attira la mia attenzione — risposi.
— E quell’uomo dagli occhi color ambra, un po’ più alto della media, piazzato in un punto da cui può osservare la nostra porta d’ingresso?
— Be’, sì, c’è questo tipo, ma da lì dove si è messo può osservarne parecchie, di porte, non solo la nostra. Perché dovrebbe interessargli proprio questa?
— La prego, me lo descriva più in dettaglio, Watson. Io ho evitato di guardarlo troppo a lungo quando sono rientrato, stamattina.
— Camicia di cotone senza collo, pantaloni di velluto a coste e una lunga palandrana che gli arriva quasi fino alle ginocchia, se è lo stesso uomo che lei ha notato.
— E vende lepri?
— Proprio così. Ne ha una in entrambe le mani.
— E ha un fazzolettone multicolore attorno al collo?
— Ha questo tipo di fazzoletto, Holmes, sì.
— Cos’ha in testa? Mi aiuti a ricordare, dal suo favorevole punto di osservazione. Un cappello di feltro di forma arrotondata, o una bombetta?
— Una bombetta, Holmes. Che cosa le suggerisce, il vestiario di quell’uomo?
— Che la camicia senza colletto, i pantaloni di velluto a coste e la palandrana non sono l’abbigliamento più consueto di un abitante di Baker Street. Il che avrebbe dovuto attirare subito la sua attenzione. Uno che è vestito così è ovviamente appena arrivato dalla campagna.
— E il fazzolettone?
— Tipico di chi lavora nei campi. Protegge il collo dalla vampa del sole estivo, al tempo del raccolto, e dal freddo d’inverno, più o meno la stessa funzione che svolge per noi la cravatta.
— E cosa deduce dal fatto che abbia in testa una bombetta?
— Che lavora in una tenuta di grande estensione. La bombetta non alligna tra i contadini poveri. Chi la porta è in genere relativamente benestante.
Osservai di nuovo l’uomo giù in strada. — Holmes, cosa bisogna concludere? È vestito come uno che lavora in campagna, probabilmente in una grande tenuta... perché no? Perché le sembra così importante la sua presenza? È qui per vendere le sue lepri.
— Allora risponda a un’altra domanda che le porrò, dopodiché potrà smettere di tenere d’occhio quell’uomo. La palandrana appare rigonfia su ambo i lati?
— Sì, Holmes, sì, ma solo perché si è messo in un paio di tasche interne altre lepri, che tra l’altro sembrano ancora vive, a giudicare da come si agitano.
— Ebbene, amico mio — disse Holmes, prendendo una pipa — quelle tasche erano rigonfie e si muovevano nello stesso modo già stamattina all’alba, quando sono rientrato. E lui è sempre incollato nello stesso punto, ma quando una donna gli si rivolge per comprare la sua merce, le fa segno di andar via. Perché?
— Dal che deduce...?
— Quel che avrà già compreso anche lei. Le lepri sono solo una scusa.
Holmes accese la pipa. A giudicare dal livello di fumo acre che già ristagnava nella stanza era la seconda della giornata. Con affetto lo guardai tirare boccate per far bruciare a dovere l’economico trinciato che era solito fumare. Ebbi la sensazione che niente nella vita avrebbe mai potuto spezzare la catena che ci univa in quel momento.
— Non è il caso di preoccuparsi, Watson — disse ancora, sorridendo. — Continueremo a tenerlo d’occhio per tutta la mattina. Sono sicuro che scopriremo presto se si prepara finalmente qualche nuova avventura.
Indugiai ancora per un po’ alla finestra, osservando l’animazione che regnava in strada. Il fatto che il mio amico si fosse messo la giacca da camera significava che si sarebbe dedicato agli esperimenti chimici. Dal suo laboratorio di alchimista erano già comparsi crogioli, alambicchi e un microscopio. Il nostro appartamento era sempre pieno di sostanze chimiche, residui catramosi e frammenti trovati sulla scena di qualche delitto, con il rischio che finissero nei posti più impensati, magari nel piatto con il burro che veniva messo in tavola.
Holmes preferiva il soggiorno, specialmente di mattina, che con le due grandi finestre rivolte a est offriva uno spazio gradevole e ben illuminato, anche se invaso dai libri che lui lasciava in giro ammucchiati alla rinfusa. La scelta di quella stanza era anche una conseguenza del caos che regnava nel suo studio. Del tutto vuoto quando ci eravamo trasferiti lì, adesso traboccava di memorie di una vita intensa: stecche da biliardo, guantoni da boxe, punching-ball, toilette per il trucco con le pinzette che gli servivano ad arricciare i falsi baffoni da tricheco, un dente velenifero di una specie estinta di serpenti giganti del Sudafrica. Ritratti incorniciati ricavati da giornali o foto originali di criminali tappezzavano due delle pareti, compresa quella del celebre e tuttora imprendibile cambrioleur Arsène Lupin. In un armadio era stipato tutto ciò che occorreva per i nostri travestimenti: perfino due paia di scarpe scalcagnate in pelle di focena, complete di fettucce per agevolare la calzata, comprate da uno spazzino, e un altro paio di scarpe da lavoro più leggere, cedute, dietro adeguato compenso, da un lattaio impegnato nel suo consueto giro di consegne.
Nella prima parte dell’anno avevamo avuto una quantità di casi pubblici e privati pari a quella dell’annus mirabilis del 1895, ma gli ultimi tre mesi erano stati pieni di tedio. Sia Holmes che io soffrivamo quando c’erano periodi così inconcludenti. Era come guardare una farfalla ripiegare ...

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