Degustare il vino è un’esperienza multisensoriale, frutto dell’integrazione di segnali sonori, visivi, olfattivi, gustativi e tattili. Per questo motivo ho pensato di iniziare la passeggiata tra gli odori del vino con una piccola panoramica sul funzionamento dei nostri sensi e sul loro coinvolgimento durante la degustazione. Chiaramente l’olfatto e il gusto sono i sensi maggiormente implicati nell’approccio al vino, ma anche il tatto ha un ruolo rilevante, così come sono importanti le stimolazioni visive e uditive, che possono fortemente condizionare gli altri sensi già prima di avvicinare il vino al naso.
Prima di intraprendere il nostro viaggio alla scoperta del profumo del vino, dunque, è opportuno conoscere gli aspetti basilari del funzionamento della vista, dell’udito, del tatto, del gusto e dell’olfatto, i cinque complessi e raffinati “laboratori di fisica e di chimica” che abbiamo all’interno del nostro corpo.
Il senso dei sensi
La vista è da sempre considerata “il senso dei sensi”. È il senso dominante, quello più prezioso, quello sul quale facciamo maggiore affidamento: come si suol dire, non crediamo se non vediamo. Infatti, è esattamente su ciò che vediamo che si basano gran parte delle nostre azioni coscienti. Per questo consideriamo la perdita della vista molto più penalizzante di quella di qualsiasi altro senso.
Non è un caso che l’estensione delle aree cerebrali dedicate alla vista sia molto più ampia rispetto a quelle riservate agli altri quattro sensi. Nel corso dell’evoluzione della specie umana il sistema visivo si è perfezionato sempre di più, anche a danno degli altri organi deputati al sentire. I nostri antenati, infatti, hanno “barattato” l’olfatto con la vista, smarrendo così alcuni geni della percezione olfattiva e acquisendone, invece, altri che hanno completato e potenziato la visione.
L’occhio, com’è noto, è una sorta di camera oscura che proietta immagini sulla retina, che a sua volta è un vero e proprio “pezzetto” di cervello in grado di captare segnali luminosi. Questi segnali, una volta penetrati nella pupilla e messi a fuoco dal cristallino, sono proiettati capovolti sulla retina, dove poco più di 120 milioni di cellule nervose recettrici, o fotorecettori, producono reazioni elettrochimiche. È un po’ come avviene in quei giganteschi pannelli pubblicitari di Broadway, composti da migliaia di piccole lampadine che cambiano colore continuamente, generando un’infinità d’immagini. Queste continue scariche, come in un mosaico, compongono una prima immagine e la inviano a un’area del cervello tramite il nervo ottico. Il cervello forma l’immagine definitiva.
In conclusione, il percorso compiuto da un’immagine nella nostra testa, prima che riusciamo a percepirla, è una specie di viaggio avventuroso che ha dell’incredibile: l’immagine entra nell’occhio, si capovolge, si frantuma in mille pezzi, arriva al cervello e istantaneamente si ricompone e si raddrizza. Perfino meglio di un numero di magia o di spettacolari effetti speciali, no?
Ma il colore del vino è visto dagli occhi o dal cervello? Vi siete mai chiesti se i colori siano già presenti in tutto ciò che vediamo o siano il risultato del modo in cui interpretiamo gli oggetti attraverso la retina e il cervello? Può sembrare una domanda banale, la cui risposta immediata, da parte di un pubblico di non addetti ai lavori, sarebbe semplice, invece non è esattamente così. Ai nostri occhi arrivano onde elettromagnetiche emesse da oggetti illuminati (mentre altre sono assorbite dagli oggetti stessi). Le onde elettromagnetiche che gli occhi, simili a radiotelescopi in miniatura, sono in grado di captare hanno lunghezze d’onda comprese fra 400 e 700 nanometri (nm, un miliardesimo di metro) circa e costituiscono la luce visibile (o spettro visibile), una piccola parte dello spettro elettromagnetico (fig. 1.1).
La retina invia le onde elettromagnetiche, sotto forma di impulsi, al cervello, che non funziona come un semplice “televisore” ma come un vero e proprio elaboratore elettronico: elabora le “informazioni” provenienti dalla retina in immagini colorate. Come tutti gli oggetti della realtà, anche il vino, quando è illuminato dalla luce, assorbe alcune onde elettromagnetiche e ne riflette altre che raggiungono la retina. Gli occhi, dunque, sono uno strumento perfezionato, ma la percezione del colore avviene grazie all’attività del cervello.
Nell’approccio al vino la vista gioca un ruolo fondamentale. Come avremo modo di scoprire, il colore lo caratterizza fortemente e ha una valenza fondamentale nell’analisi dello stesso, fornendoci tante informazioni su ciò che stiamo degustando.
Il senso dell’equilibrio
Una mattina di ottobre, durante la vendemmia del 2014, alzandomi dal letto dopo il risveglio avvertii una sensazione stranissima: la stanza girava vorticosamente intorno a me. Dovetti stendermi di nuovo sul letto, sentendo di perdere l’equilibrio, e provai uno spavento incredibile. Non riuscivo a stare in piedi e intanto pensavo al mosto in fermentazione da assaggiare e all’uva che i miei vendemmiatori avrebbero raccolto quel giorno. Quando in seguito mi rivolsi a uno specialista, finalmente appresi il motivo di quel malessere: l’improvvisa mancanza di equilibrio era dovuta allo spostamento di piccoli “sassolini” all’interno dell’orecchio chiamati otoliti. Mi fu detto che non c’era da allarmarsi, che con una manovra precisa e rapida sarebbe tornato tutto a posto: come d’incanto, avvenne proprio così.
Quella mattina di ottobre, inaspettatamente, sperimentai su me stesso come l’orecchio sia la sede dell’organo dell’equilibrio, oltre che dell’organo dell’udito che ci permette di localizzare una fonte sonora. Vi starete forse chiedendo cosa abbiano a che fare le orecchie con il vino. In effetti la sensibilità uditiva non è direttamente coinvolta nella degustazione del vino ma, per quanto in maniera limitata, ha un ruolo accattivante di cui più avanti si parlerà in modo approfondito.
Il suono, dal punto di vista tecnico, è un flusso di onde sonore percepibili dall’orecchio umano che trasmettono a distanza la vibrazione di un corpo, ma dal punto di vista emotivo è qualcosa di molto coinvolgente, poiché richiama alla memoria immagini, sensazioni e consente al cervello di procedere per associazioni di idee. Se, per esempio, sentite il tintinnio prodotto dal contatto tra una bottiglia di vino e un calice di cristallo, non vi si forma sul viso un’espressione di curiosa attesa, pensando al piacere che sa dare un sorso di ottimo vino? Già questo è un coinvolgimento forte dell’udito nell’arte di degustare il vino, poiché ci prepara emotivamente, sebbene in modo non del tutto consapevole, al momento edonistico dell’assaggio.
Tornando per un istante all’aspetto fisiologico del funzionamento dell’udito, sappiamo che le onde sonore, una volta raggiunto il padiglione auricolare (orecchio esterno), vengono amplificate e convogliate nell’orecchio interno, dove sono immediatamente trasformate in impulsi elettrici (fig. 1.2).
Attraverso il nervo acustico, poi, gli impulsi raggiungono un’area del cervello che li traduce in suoni. Ed ecco che con il suono entrano in gioco le emozioni. Se pensiamo al potere catartico della musica in particolari momenti della nostra vita oppure al fatto che durante la gravidanza molte donne amano parlare al proprio bimbo, benché consapevoli di non essere viste e di essere udite indistintamente da lui, è chiaro quanto le sollecitazioni uditive siano importanti a livello cognitivo.
L’uomo, tuttavia, non è capace di percepire tutti i suoni del mondo e chissà quali e quante meraviglie il suo orecchio non riesce a cogliere: le onde percepite, infatti, sono solo quelle che si propagano nell’aria con frequenze comprese tra 20 e 20.000 hertz (Hz). Le onde possono propagarsi attraverso gas, liquidi o solidi, ma noi siamo attrezzati fisiologicamente per sentire solo quelle che si diffondono nell’aria: ecco perché, quando sentiamo un suono con la testa immersa nell’acqua, esso ci appare distorto e confuso. Eppure anche i suoni percepiti nell’acqua contribuiscono a creare il nostro bagaglio mnestico uditivo. Chi non ricorda, infatti, il rumore ovattato e accogliente, quasi straniante, che si percepisce quando nuotiamo con la testa sott’acqua?
Grazie al senso dell’udito, inoltre, ci orientiamo correttamente nell’ambiente, impariamo, comunichiamo, ci rilassiamo e ci allertiamo per difenderci da un pericolo. L’udito, dunque, va oltre il semplice “udire” ed è molto diverso dalla vista nel fornirci informazioni: ci permette, per esempio, di controllare costantemente l’ambiente intorno a noi a 360 gradi, mentre il campo visivo dei due occhi è più limitato.
Inoltre, quando la luce manca, la vista smette di essere utile all’uomo come strumento d’informazioni sull’ambiente circostante, mentre l’udito in assenza di luce continua a essere attivo, anzi, lavora di più, operando a titolo compensativo una rielaborazione dei suoni più precisa: così non ci lascia mai sguarniti e privi di punti di riferimento, consentendoci di orientarci anche in assenza di fonti luminose.
Il senso più esteso
Al giorno d’oggi siamo forse eccessivamente ossessionati dalla cura della pelle: proliferano creme anti-invecchiamento, trattamenti di bellezza di ogni genere, creme solari per proteggerla e far sì che si colori di un’abbronzatura perfetta; come se non bastasse la chirurgia estetica la modella a proprio piacimento ai fini dell’adeguamento a ideali estetici spesso discutibili. In definitiva, tendiamo a considerare la pelle come un abito perfettamente adattato al nostro corpo, che possiamo modificare con vari interventi per far sì che non perda nel tempo le sue peculiarità estetiche.
Eppure la pelle non è solo questo: è innanzi tutto il nostro organo di senso più esteso, è il primo strato di noi che entra in contatto con il mondo. Il vento, l’acqua, il sole, gli altri esseri viventi, tutte le cose del mondo a loro modo ci accarezzano, ci sfiorano ed entrano in contatto con il nostro corpo attraverso le speciali fibre nervose della pelle, che lasciano parzialmente penetrare in noi quel che è fuori di noi. La pelle in qualche modo assorbe e filtra il mondo circostante, consentendocene la conoscenza diretta. Come funziona esattamente questo meccanismo di scambio tra noi e il mondo attraverso la pelle? Ebbene, il suo strato più superficiale, l’epidermide, riceve una serie di dati esterni che il cervello poi decodifica, quali i cambiamenti di pressione, il caldo, il freddo, il piacere e il dolore, oltre a farci riconoscere forma, durezza, morbidezza, ruvidezza e tutte le altre qualità degli oggetti che vengono a contatto con il nostro corpo.
Il tatto è il primo dei sensi a svilupparsi nell’embrione, e precisamente nell’ottava settimana di vita intrauterina, quando è ancora privo di occhi e orecchie: per provocare una sua reazione, infatti, è sufficiente fare una carezza superficiale sul ventre materno. Secondo i principi dell’embriologia, una funzione vitale è tanto più importante quanto più precocemente si sviluppa (Moore et al., 2015).
Tutt’altro che secondario è il ruolo che il tatto svolge nella percezione sensoriale di cibi e bevande: a rivelare le sensazioni tattili nella cavità orale e nel naso è coinvolto il nervo trigemino, che si estende su gran parte del viso con tre rami principali, a loro volta ulteriormente ramificati in terminazioni che raggiungono naso, lingua e palato (fig. 1.3). La percezione tattile arricchisce e completa quella olfattiva e quella gustativa.
Alcune molecole presenti nelle bevande e negli alimenti che ingeriamo sollecitano proprio le terminazioni del nervo trigemino disseminate nelle mucose della cavità orale e del naso, stimolando sensazioni chimiche, termiche e tattili, spesso accompagnate da riflessi specifici, come la lacrimazione, la salivazione e la vasodilatazione. Sarà capitato a tutti di osservare le reazioni fisiche a sostanze irritanti, come pepe, peperoncino, zenzero, cannella, curry, e a erbe aromatiche, come rosmarino, timo, origano, zafferano: di queste reazioni, quali la sensazione di bruciore o di calore, è responsabile il nervo trigemino, che attua in questo modo un meccanismo di difesa da agenti aggressivi esterni. Il trigemino è inoltre responsabile della sensazione di astringenza prodotta dai tannini del vino e del tè, della sensazione di pungente prodotta dall’alcol, dall’aceto e dalla cipolla cruda, o ancora della freschezza generata dalla menta piperita, fino alle sensazioni di pizzicore e formicolio originate dalle bollicine di anidride carbonica contenute nelle bevande effervescenti.
Il trigemino influenza anche l’olfatto mediante alcune sue diramazioni che arrivano proprio nella mucosa del naso, o mucosa olfattiva. Quando, infatti, alcune sostanze volatili si trovano a una concentrazione molto elevata in prossimità dell’epitelio della mucosa olfattiva, diventano irritanti per l’uomo proprio a causa della sensibilità del sistema trigeminale. In questo caso le terminazioni del trigemino nella mucosa olfattiva funzionano alla maniera di un sofisticato sistema di allarme, che si attiva ogni qual volta c’è il rischio di potenziali pericoli per l’olfatto.
Una particolarità del sistema trigeminale è che, a differenza dell’olfatto e del gusto, se sottoposto a stimoli prolungati non va incontro a fenomeni di assuefazione, ma al contrario di sensibilizzazione. Per esempio, la sensazione di irritazione e di calore determinata dalla piperina presente nel pepe o la sensazione di piccante causata dalla capsaicina contenuta nel peperoncino aumentano considerevolmente in caso di una seconda somministrazione, anche se separata dalla prima da un brevissimo intervallo. Lo stesso fenomeno, come vedremo, accade anche per l’astringenza generata dai tannini del vino: vi sarà capitato di notare che la fastidiosa sensazione di stiramento dei tessuti della bocca cresce man mano che i sorsi si susseguono, anche se distanziati tra loro, e che al secondo o al terzo assaggio lo stesso vino appare molto più astringente. Questo fenomeno spiega anche perché un vino poco astringente, se degustato appena dopo un altro ricco di tannini, risulta molto più astringente di quanto realmente esso sia.
In conclusione il tatto, attraverso la sensibilità trigeminale, è un senso davvero importante nella percezione sensoriale dei cibi e delle bevande, tanto che André Holley, professore di neuroscienze all’Università di Lione, nel suo saggio Il cervello goloso (Holley, 2009) afferma che gli uomini sono gli unici animali capaci di sfruttare un meccanismo primitivo di protezione e di allerta per ampli...