I masnadieri
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I masnadieri

  1. 384 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

In una nuova traduzione il dramma che costituì l'esordio letterario del giovane Schiller riscuotendo subito uno strepitoso successo. Una violenta denuncia delle istituzioni politiche e sociali del tempo del più grande drammaturgo tedesco.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804368380
eBook ISBN
9788852062872

I MASNADIERI

Quae medicamenta non sanant, ferrum sanat,
quae ferrum non sanat, ignis sanat.
Ippocrate

Prefazione soppressa

Può apparire forse evidente, prendendo in mano quest’opera, che essa non avrà mai diritto di cittadinanza sul palcoscenico. Se questo è il requisito indispensabile di un dramma il mio avrà allora un grosso difetto.
Io non so, tuttavia, se ho il dovere di assoggettarmi senz’altro a questa pretesa. Sofocle e Menandro prestavano certo la massima attenzione alla rappresentazione sensibile e si può supporre che, in primo luogo, proprio la concezione visiva portasse all’idea del dramma: in seguito si scoprì però che già il solo metodo drammatico – senza riguardo per la realizzazione teatrale – aveva un valore essenziale per tutti i generi della poesia commovente e didattica. Poiché tale metodo ci rappresenta il suo mondo come presente e ci descrive le passioni e i più segreti moti del cuore con le parole stesse dei personaggi, esso agisce con tanta più efficacia, rispetto alla poesia descrittiva, in quanto la viva visione è più potente della conoscenza storica. L’indomabile furore che si esprime in Macduff nell’agghiacciante grido: «Non ha figli!»1 non è più vero e lacerante del vecchio Diego che estrae il suo specchio dalla borsa e si contempla in pieno teatro?

O rage! o désespoir!2

Nell’autore francese è andato completamente perduto il grande pregio della maniera drammatica, cioè quello di saper, per così dire, cogliere l’anima nelle sue operazioni più segrete. I suoi uomini sono raramente qualcosa di più che gelidi spettatori del loro furore o saccenti professori delle loro passioni (quando non storiografi e cantori del loro nobile io).
È dunque vero che il genuino nume tutelare del dramma – che Shakespeare deve aver avuto in proprio potere come Prospero il suo Ariel3 – che il genuino nume tutelare del dramma, dicevo, scava più profondamente nell’anima, affonda più tagliente nel cuore e sa insegnare in modo più vivace del romanzo e dell’epopea. Ed è vero che non è affatto necessaria la rappresentazione sensibile per raccomandare questo genere di poesia. Posso quindi trattare drammaticamente una vicenda senza per questo voler scrivere un dramma. Ciò vuol dire che scriverò un romanzo drammatico e non un dramma teatrale. E in questo caso mi assoggetterò soltanto alle leggi generali dell’arte, non a quelle specifiche del gusto teatrale.
Ma per venire subito al dunque, devo riconoscere che non è tanto l’estensione materiale del mio dramma a negargli un posto sul palcoscenico quanto, piuttosto, il suo contenuto. La sua concezione ha reso necessaria la creazione di alcuni personaggi che offendono il fine sentimento della virtù e suscitano l’indignazione dei nostri delicati costumi. (Spero, per rispetto dell’umanità, di non aver presentato altro che delle caricature, ma devo ammettere che quanto più la mia conoscenza del mondo dà frutti, tanto più il mio registro caricaturale si indebolisce.) Ma c’è dell’altro… Questi personaggi immorali dovevano, sotto certi aspetti, brillare e, spesso, guadagnare in spirito ciò che perdevano in cuore. Ogni scrittore drammatico è autorizzato a prendersi questa libertà e vi è anzi costretto se vuol essere il fedele copista del mondo reale. Inoltre, come Garve4 insegna, nessun uomo è del tutto imperfetto: anche il più dissoluto ha ancora molte idee giuste, molti istinti positivi, molti nobili gesti. Egli è soltanto più imperfetto.
Si troveranno qui malvagi che strappano l’ammirazione, malfattori rispettabili e individui orribili non privi di maestà; spiriti attratti dal riprovevole vizio per amore della grandezza che a esso è propria, della forza che esso richiede e del pericolo che lo accompagna. Ci si imbatterà in uomini che abbraccerebbero il diavolo solo perché è un essere senza eguali; uomini che sulla strada della più alta perfezione diventano i più imperfetti e sulla strada di quella che ritengono la più alta felicità diventano i più infelici. In poche parole, si proverà interesse anche per i miei Jago, si proverà ammirazione per il mio incendiario assassino e quasi lo si amerà. Nessuno lo aborrirà, chiunque potrà compiangerlo. Ma proprio per questa ragione sconsiglierei io stesso di osar mettere in scena questo mio dramma. I conoscitori in grado di comprendere la connessione del tutto e di cogliere l’intenzione del poeta costituirebbero sempre il gruppetto più sparuto. La plebe invece (nella quale sit venia verbo non comprendo solamente il popolino ma anche, come ho ragione di ritenere, qualche cappello piumato, qualche giacca gallonata e qualche colletto bianco), la plebe, dico, si lascerebbe convincere da un aspetto bello ad apprezzare anche il fondamento di bruttezza o scorgerebbe nel dramma un’apologia del vizio facendo scontare la propria miopia al povero poeta cui, in genere, si concede tutto tranne la giustizia.
È l’eterno ritornello di Abdera e Democrito5 e i nostri buoni Ippocrati dovrebbero esaurire intere piantagioni di elleboro se volessero porre rimedio con un decotto risanatore al disordine. Per quanti amici della verità possano unirsi al fine di dare un insegnamento dal pulpito o dalla scena ai loro concittadini, la plebe non smetterà mai di essere plebe; e anche se il sole e la luna6 mutassero d’aspetto e il cielo e la terra invecchiassero come un abito7 i pazzi – come la virtù – resterebbero sempre uguali a se stessi. «Mort de ma vie» dirà lo spaccone «questo è quel che si chiama un salto!» – «Bah, bah» sussurrerà mademoiselle «l’acconciatura della piccola cantante era troppo fuori moda.» – «Sacre dieu» dirà il parrucchiere «che divina sinfonia! I tedeschi fanno delle cose indegne!» – «Corpo di mille bombe» dice al lacchè il cocchiere che per il freddo e la noia si è intrufolato in teatro. «Avresti dovuto vedere come quel tale ha sbattuto la ragazza in rosa dietro il paravento.» – «È caduta davvero bene» dirà la benigna zietta «proprio con gusto, sur mon honneur (e dispiegherà i suoi stracci damascati). Quanto vi è costato questo ventaglio, bambina mia?… E anche con molta espressione, molta sottomissione… Avanti, cocchiere!»
Andate a chiedere! Recitavano l’Emilia Galotti.8
Già questo potrebbe scusare il fatto che io non abbia saputo persuaderm...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. I masnadieri
  7. Die Räuber
  8. Nota al testo
  9. Postfazione - di Thomas Mann
  10. Note all’Introduzione
  11. Note
  12. Copyright