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Henry A. Kissinger

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Un ordine mondiale veramente globale, cioè un assetto delle relazioni internazionali riconosciuto e condiviso da tutti gli Stati, non è mai esistito nella storia, perché le diverse civiltà hanno sempre considerato la propria cultura e le proprie leggi le uniche universalmente valide. Così ogni epoca è stata caratterizzata dalla supremazia di una o più potenze egemoni che hanno cercato di imporre, nelle rispettive zone d'influenza, il proprio modello di organizzazione politica e statuale, con esiti più o meno duraturi, ma comunque sempre transitori. Lo dimostra l'attuale sistema unipolare a guida statunitense, affermatosi ormai da un quarto di secolo, che dopo aver tentato di esportare su scala planetaria i principi della democrazia e del libero mercato, sembra avviato verso un inarrestabile declino. Ad affermarlo non è un politologo estremista e antioccidentale, bensì Henry Kissinger, che del potere americano e della «vittoria» sull'Unione Sovietica nella guerra fredda è stato uno dei maggiori artefici, nelle vesti di consigliere per la Sicurezza nazionale e di segretario di Stato. Per giungere a questa conclusione e per scrutare nuovi possibili scenari, Kissinger rivisita momenti cruciali della storia mondiale del secondo dopoguerra, riflette sul futuro dei rapporti tra Stati Uniti e Cina, esamina le conseguenze dei conflitti in Iraq e Afghanistan, analizza i negoziati nucleari con l'Iran, le reazioni dell'Occidente alla Primavera araba e le tensioni con la Russia sull'Ucraina. E rivolge all'Europa uno sguardo preoccupato: il processo di superamento degli Stati nazionali, infatti, non ha creato un nuovo soggetto politico, ma un vuoto di autorità interno e una debolezza ai confini, mentre nella vicina regione mediorientale le strutture governative centrali si dissolvono in una miriade di scontri su basi etniche e confessionali. E allora, quale sarà il nuovo ordine mondiale? E chi ne avrà la leadership? Certamente, sostiene Kissinger, l'America manterrà un ruolo geopolitico di primo piano, ma dovrà imparare a svolgerlo di concerto, oltre che con i tradizionali alleati, anche con i nuovi attori affacciatisi prepotentemente sulla ribalta internazionale, sviluppando insieme a tutte le nazioni protagoniste della vita internazionale «una seconda cultura globale, strutturale e giuridica» che trascenda gli interessi particolari e rispetti profondamente la storia e la cultura di ogni paese.

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Note

Introduzione. La questione dell’ordine mondiale

1. Franz Babinger, Mehmed the Conqueror and His Time, Princeton (NJ), Princeton University Press, 1978, cit. in Antony Black, The History of Islamic Political Thought, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2011, p. 207 (cfr. Maometto il conquistatore e il suo tempo, trad. it. Torino, Einaudi, 1957).

I. Europa: l’ordine internazionale pluralistico

1. Kevin Wilson e Jan van der Dussen, The History of the Idea of Europe, London, Routledge, 1993.
2. Frederick B. Artz, The Mind of the Middle Ages, Chicago, University of Chicago Press, 1953, pp. 275-80.
3. Heinrich Fichtenau, L’impero carolingio, trad. it. Bari, Laterza, 1958, p. 79.
4. Hugh Thomas, The Golden Age. The Spanish Empire of Charles V, London, Allen Lane, 2010, p. 23.
5. James Reston Jr., Defenders of the Faith. Charles V, Suleyman the Magnificent, and the Battle for Europe, 1520-1536, New York, Penguin Press, 2009, pp. 40, 294-95.
6. Cfr. il capitolo III di questo volume.
7. Cfr. Edgar Sanderson, J.P. Lamberton e John McGovern, Six Thousand Years of History, vol. VII, Famous Foreign Statesmen, Philadelphia, E.R. DuMont, 1900, pp. 246-50; J. Reston, Defenders of the Faith, cit., pp. 384-89. Più tardi, a un’Europa insofferente e scettica nei confronti delle pretese universalistiche, il regno di Carlo V sarebbe parso più una minaccia dispotica che qualcosa di simile a una redenzione nell’agognata unità. Come avrebbe scritto in seguito il filosofo scozzese David Hume, un prodotto dell’Illuminismo settecentesco, «l’umanità fu di nuovo allarmata dal pericolo di una monarchia universale, per l’unione di tanti regni e principati nella persona dell’imperatore Carlo». David Hume, Dell’equilibrio di potere, in Saggi e trattati morali, letterari, politici e economici, trad. it. Torino, UTET, 1974, p. 531.
8. Cfr. Jerry Brotton, La storia del mondo in dodici mappe, trad. it. Milano, Feltrinelli, 2013, pp. 105-36 (discussione della mappa mundi di Hereford, c. 1300); Dante, Inferno, XXVI, 85-142; e Osip Mandelstam, Conversazione su Dante, trad. it. Genova, Il melangolo, 1994, pp. 86-100.
9. A sua volta, Richelieu disponeva di un’«eminenza grigia», il suo consigliere segreto e agente François Leclerc du Tremblay, père Joseph dell’ordine dei cappuccini, cui il saio procurò l’appellativo di éminence grise, espressione da allora riferita a figure influenti ma poco appariscenti nella storia della diplomazia. Aldous Huxley, L’eminenza grigia, trad. it. Milano, Mondadori, 1946.
10. Cfr., per esempio, Niccolò Machiavelli, L’arte della guerra (1521), Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1531), Il principe (1532).
11. Joseph Strayer, Hans Gatzke, E. Harris Harbison, The Mainstream of Civilization Since 1500, New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1971, p. 420.
12. Richelieu, Advis donné au roy sur le sujet de la bataille de Nördlingen, in Tryntje Helfferich (a cura di), The Thirty Years War: A Documentary History, Indianapolis, Hackett, 2009, p. 151.
13. Peter H. Wilson, The Thirty Years War: Europe’s Tragedy, Cambridge (MA), Harvard University Press, 2009, p. 673.
14. Ivi, p. 676.
15. Instrumentum pacis Osnabrugensis (1648) e Instrumentum pacis Monsteriensis (1648), in T. Helfferich, The Thirty Years War, cit., pp. 255, 271.
16. P.H. Wilson, The Thirty Years War, cit., p. 672.
17. Queste disposizioni formali di tolleranza erano estese soltanto alle tre confessioni cristiane riconosciute: cattolicesimo, luteranesimo e calvinismo.
18. Lord Palmerston, discorso alla Camera dei Comuni, 1° marzo 1848. Questo intendimento fu espresso anche dal principe Guglielmo III d’Orange, che combatté contro l’egemonia francese per una generazione (prima come statolder olandese e poi come re d’Inghilterra, Irlanda e Scozia), allorché confidò a un aiutante che, se fosse vissuto negli anni Cinquanta del XVI secolo, quando gli Asburgo erano sul punto di raggiungere una posizione dominante, sarebbe stato «un francese tanto quanto ora era uno spagnolo» (ossia un asburgico); e da Winston Churchill, negli anni Trenta del XX secolo, in risposta all’accusa di essere antitedesco: «Se le circostanze fossero invertite, potremmo allo steso modo essere filotedeschi e antifrancesi».
19. Lord Palmerston a Lord Clarendon, 20 luglio 1856, citato in Harold Temperley e Lillian M. Penson, Foundations of British Foreign Policy from Pitt (1792) to Salisbury (1902), Cambridge (UK), Cambridge University Press, 1938, p. 88.
20. L’esperienza che portò Hobbes a scrivere il Leviatano fu principalmente quella delle guerre civili inglesi, il cui impatto sull’Inghilterra, pur meno fisicamente devastante di quello della guerra dei Trent’anni sul continente, fu comunque assai pesante.
21. Thomas Hobbes, Leviatano, trad. it. Milano, Bompiani, 2001, p. 575.
22. È importante tenere presente che all’epoca nell’Europa centrale c’era una sola grande potenza: l’Austria con i suoi domini. La Prussia era ancora uno Stato secondario ai margini orientali della Germania. Quest’ultima era un concetto geografico, non uno Stato. Da un punto di vista politico, era un mosaico formato da decine di piccoli Stati, in qualche caso anche minuscoli.
23. Louis de Rouvroy de Saint-Simon, Il Re Sole, trad. it. Milano, Garzanti, 1977, p. 21. Cfr. anche Lucy Norton (a cura di), Saint-Simon at Versailles, London, Hamilton, 1958, pp. 217-30.
24. Finché una diplomazia spietata non operò tre successive spartizioni della Polonia, la metà orientale del territorio di Federico era circondata su tre lati dalla Polonia e sul quarto dal mar Baltico.
25. Gerhard Ritter, Federico il Grande, trad. it. Bologna, il Mulino, 1970, cap. III.
26. Federico II di Prussia, Oeuvres, 2, XXV (1775), cit. in Fiedrich Meinecke, L’idea della ragion di Stato nella storia moderna, trad. it. Firenze, Sansoni, 1970, p. 312.
27. «Non troppo male per la vigilia di una grande battaglia.» Federico II, cit. in Otto von Bismarck, Bismarck: The Man and the Statesman, New York, Harper & Brothers, 1899, p. 316; e Otto von Bismarck, The Kaiser vs. Bismarck. Suppressed Letters by the Kaiser and New Chapters from the Autobiogr...

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