Il mulino sulla Floss
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Il mulino sulla Floss

  1. 640 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il mulino sulla Floss

Informazioni su questo libro

Cresciuti insieme e legati da un tenace affetto i due figli del mugnaio Tulliver vedono le loro strade dividersi drammaticamente quando l'impetuosa Maggie scopre che la società, e il suo stesso fratello, non le lasciano spazio per vivere e amare. Uno dei più vigorosi e sferzanti romanzi dell'epoca vittoriana, caratterizzato da una coraggiosa presa di posizione femminista di chiara matrice autobiografica.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804375692
eBook ISBN
9788852065804
LIBRO PRIMO

Un bimbo e una bimba

I

ESTERNO DEL MULINO DI DORLCOTE

Una vasta pianura, dove la Floss, allargandosi, si affretta al mare tra le verdi rive, e l’innamorata marea, precipitandosi ad incontrarla, le sbarra il corso con un abbraccio impetuoso. Portati da questa marea possente, i neri bastimenti – carichi di tavole d’abete dall’odore fresco, di semi oleosi in sacchi ricolmi, o di carbon fossile cupo e lucente – risalgono verso la città di St. Ogg’s, che scopre i suoi vecchi tetti rossi a scanalature e le ampie gettate dei suoi scali tra una bassa collina boschiva e il margine del fiume, tingendo l’acqua di un lieve color di porpora sotto il fuggitivo occhieggiare di questo sole di febbraio. Molto lontano, ai due lati, si distendono ricchi pascoli, interrotti da toppe di terra nera, pronta a ricevere il seme della verde messe fogliosa, o toccata dal colore del grano seminato nell’autunno, con i suoi teneri steli. Qua e là, oltre le siepi, ancora spuntano, ciuffi d’oro, i resti delle biche dell’anno passato, simili ad alveari; e dappertutto le siepi sono adorne di piante: le navi lontane paiono sollevare i loro alberi e piegare le loro vele rossobrune tra i rami degli agili frassini. Proprio vicino, alla città dei tetti rossi, l’affluente Ripple si butta con viva correntìa nella Floss. Com’è caro questo piccolo fiume, colle sue increspature cupe e cangianti! A me pare un vivo compagno, allorché m’aggiro lungo le rive e porgo orecchio alla sua placida voce, come a quella d’uno che ci ami e non ci ascolti. Ricordo i grandi salici che vi si tuffano. Ricordo il ponte di pietra.
Ed ecco il Mulino di Dorlcote. Bisogna ch’io mi fermi per qualche minuto qui sul ponte a guardarlo, ancorché le nuvole siano minacciose, ed il pomeriggio già tardo. Anche per questo tempo spoglio del finir di febbraio, è piacevole a vedersi: forse che la stagione un po’ fredda e umida aggiunge fascino alla casa civile ben tenuta ed accogliente, antica quanto gli olmi ed i castani, che la riparano dai soffi del settentrione. La corrente ora è gonfia, e invade questa breve piantagione di salici, e quasi sommerge il ciglio erboso del prato di fronte alla casa. Mentre guardo la corrente piena, l’erba vivida, la delicata incipriatura di muschio verdechiaro che sfuma il profilo dei grossi tronchi e delle frasche scintillanti di sotto ai nudi rami di porpora, sento di amare un’umidità leggiera, e invidio le bianche anatre, che tuffano la testa nell’acqua tra questi salici, senza preoccuparsi della goffa figura che fanno nel più asciutto mondo d’intorno.
La foga delle acque ed il frastuono del mulino persuadono ad un sognoso stupore, che sembra accrescere la pace della sera. Fanno come un grande velario sonoro, che ci divida dal mondo di fuori. Ed ecco, con un rumor di tuono, l’enorme carro coperto che torna a casa coi sacchi di grano. Il dabben carrettiere pensa alla propria cena che, a quest’ora tarda, starà miseramente bruciacchiandosi sul forno; pure non la toccherà finché non avrà dato l’avena ai suoi cavalli, – i forti e obbedienti animali dal mite sguardo; che, di tra i paraocchi, stanno fissandolo, mi immagino, con blando rimprovero, perché fa schioccare su di loro la sua frusta con sì terribile minaccia quasi che essi abbisognino di un tale incitamento!
Vedi come tendono le groppe sul pendio verso il ponte, con tutta la loro energia, ora che sono così vicini a casa. Guarda le loro grosse zampe villose, che paiono aggrapparsi alla solida terra, la forza paziente dei loro garresi curvati sotto il greve giogo, i muscoli gagliardi dei loro fianchi affaticati. Vorrei sentirli nitrire sulla loro avena duramente guadagnata, e vederli, sciolti dai finimenti i colli madidi, tuffare le froge bramose nel torbido stagno. Ecco sono sul ponte, ecco ne ridiscendono con passo più rapido, e l’arco del carro coperto dispare alla svolta dietro gli alberi.
Ora posso tornare a volgere gli occhi verso il mulino, ed osservare l’infaticabile ruota che spruzza via i suoi indiamantati getti d’acqua. Anche questa piccola bimba sta osservandola: è rimasta lì, sulla sponda del rio, sempre nello stesso luogo, da quando io mi sono fermato sul ponte. E questo curioso cane bianco dagli orecchi bruni par che balzi ed abbai in un inutile rabbuffo contro la ruota; forse ne è geloso, perché la sua compagna di giochi dal berretto di castoro è tanto assorta a guardarne il movimento. È tempo, credo, che la piccola compagna di giochi rientri in casa, dove una luminosa fiammata l’aspetta; la luce rossa splende sotto il grigio del cielo che incupisce. È tempo, anche per me, di cessar di posare le mie braccia sulla pietra fredda di questo ponte.
Ah, che le mie braccia sono proprio intorpidite. Sono rimasto coi gomiti puntati sui braccioli della mia poltrona, sognando ch’ero sul ponte di faccia al Mulino di Dorlcote, quale esso mi apparve in un pomeriggio di febbraio, molti anni fa. Prima di assopirmi, stavo per dirvi di che parlavano Mr. e Mrs. Tulliver, seduti accanto ad una luminosa fiammata nel salotto di sinistra, proprio in quel pomeriggio ch’io mi stavo sognando.
II

MR. TULLIVER, DEL MULINO DI DORLCOTE, ESPRIME LE PROPRIE VEDUTE SU TOM

«Quel ch’io voglio, sapete» disse Mr. Tulliver «quel ch’io voglio è dare a Tom una buona educazione: un’educazione che sia un pane per lui. Ecco ciò che avevo in mente, quando ho dato il preavviso ch’egli doveva lasciare l’accademia per il giorno dell’Assunta. Per la Mezz’estate voglio mandarlo ad una vera scuola come si deve. I due anni dell’accademia sarebbero stati più che sufficienti se io avessi l’intenzione di farne un mugnaio o un fattore: perché, di istruzione, ne avrebbe sempre avuta un bel poco più di me: tutte le spese che mio padre ha fatto per la mia istruzione sono state una buona frusta da una parte, e un sillabario dall’altra. Ma Tom vorrei che studiasse a dovere, per poter capire i trucchi di quei tipi che parlan pulito e scrivono con tanto di svolazzi. Così mi sarebbe d’aiuto, tra questi processi e arbitrati eccetera. Far del ragazzo un avvocato vero e proprio, no: mi spiacerebbe per lui che diventasse un furfante; ma qualcosa come un ingegnere, o un agrimensore, o un perito e venditore all’incanto, come Riley, o che facesse uno di quei mestieri furbi che son tutto guadagno, senz’altri sborsi che una grossa catena da orologio, ed uno sgabello. Mestieri che suppergiù si somiglian tutti; e non sono poi neppure molto diversi dall’avvocatura, credo; tanto è vero che Riley guarda dritto in faccia l’avvocato Wakem, come un gatto ne guarda un altro. Lui, di quello là, non ha paura.»
Mr. Tulliver stava parlando a sua moglie: donna bionda e di bell’aspetto, che portava una cuffia a ventaglio. (Mi fa spavento di pensare quanto tempo è passato, da quando usavano le cuffie a ventaglio: oramai devono essere prossime a tornar di moda. In quegli anni, quando Mrs. Tulliver era sulla quarantina, erano una novità per St. Ogg’s, ritenute delle galanterie.)
«Bene, Mr. Tulliver, tu la sai lunga: io non ho nulla a ridire. Ma non sarebbe meglio ch’io ammazzassi un paio di polli, e nella settimana entrante venissero a pranzo le zie e gli zii, così tu sentiresti quel che han da dire in proposito sorella Glegg e sorella Pullet? C’è proprio una coppia di polli che ha bisogno di essere ammazzata!»
«Puoi sgozzare tutti i polli del cortile, se ti pare, Bessy; ma io non domanderò né a zie né a zii quel che debbo fare di mio figlio» disse Mr. Tulliver, con aria di sfida.
«Buon Dio!» disse Mrs. Tulliver, urtata da questa retorica sanguinaria. «Come puoi dire così, Mr. Tulliver? Ma già, è il tuo sistema di parlar con disprezzo della mia famiglia; e sorella Glegg ne dà tutto il biasimo a me, quantunque io sia certa d’essere innocente come un bambino ancor da nascere. Perché a me nessuno m’ha mai sentito dire che non sia una fortuna per i miei figli d’aver degli zii e delle zie, che possono vivere indipendenti. Ad ogni modo, se Tom deve andare ad una nuova scuola, preferirei che fosse in un posto dove io potessi lavare e aggiustare la sua biancheria; altrimenti può ben averne di cotone o di lino, che diventerebbe gialla tutta ad un modo, prima di essere stata lavata una mezza dozzina di volte. E allora, mentre il cesto va avanti e indietro, potrei mandare al ragazzo una focaccia o un pasticcio di porco, o una mela; perché egli può ben permettersi un boccone di più, Dio lo benedica, che gli lesinino o no le pietanze. I miei figli possono mangiare almeno quanto gli altri, grazie a Dio.»
«Bene, bene, non lo manderemo in un posto che non ci arrivi il carro del conducente, se possiamo combinare per il resto» disse Mr. Tulliver «ma tu non devi mettermi dei bastoni tra le ruote per l’affare del bucato, se non si riesce a trovare una scuola abbastanza vicina. È il solo difetto che trovo in te, Bessy: se vedi un travicello sulla strada, eccoti subito lì, a pensare che non potrai passarci sopra. Non mi hai lasciato assumere un buon carrettiere, per via che aveva un porro sulla faccia.»
«Buon Dio!» disse Mrs. Tulliver, con mite sorpresa «quando mai ho fatto delle difficoltà contro un uomo perché aveva un porro sulla faccia? Anzi, ho una certa simpatia per i porri, perché mio fratello, quello che è morto, ne aveva uno sulla fronte. Ma non riesco proprio a ricordarmi che tu mi abbia proposto di assumere un carrettiere con un porro sulla faccia, Mr. Tulliver. C’era John Gibbs che, di porri sulla faccia, non ne aveva come non ne hai tu, e io ho fatto di tutto perché tu lo assumessi, e infatti lo avevi preso, e se non fosse morto d’infiammazione – che abbiam pagato il dottor Turnbull perché lo curasse – è probabile che condurrebbe il carro ancora adesso. Avrà forse avuto un porro in qualche parte che non si vede; ma come avrei potuto saperlo io, Mr. Tulliver?»
«No, no, Bessy: non volevo precisamente alludere al porro; dicevo così per accennare ad un mucchio di altre cose; ma non importa: parlare è sempre una faccenda imbrogliata. Quello che sto pensando, è come trovare la scuola che vada bene per mandarci Tom; perché potrei esser messo un’altra volta nel sacco, come lo sono stato con l’accademia: di accademie, non ne voglio più sapere. Qualunque sia la scuola dove mando Tom, accademia non ha da essere: un posto dev’essere, dove i ragazzi impieghino il loro tempo in qualcos’altro che lustrar le scarpe della famiglia e coltivar le patate. È una cosa straordinariamente imbrogliata, saper che scuola scegliere.»
Mr. Tulliver tacque un minuto o due: e cacciò le due mani nelle tasche dei calzoni, come se sperasse trovarvi consiglio. Evidentemente non fu deluso, perché disse subito: «So io quel che farò. Ne parlerò con Riley: viene domani, per decidere la questione dell’argine».
«Bene, Mr. Tulliver, ho messo fuori i lenzuoli per il letto più buono e Kezia li ha stesi davanti al fuoco. Non sono i lenzuoli migliori, ma per dormirci son buoni abbastanza per chiunque, sia chi si sia; perché quelli di tela fina di Olanda, mi pentirei di averli comprati, non fosse che serviranno ad avvolgerci da morti. Che se tu dovessi morir domani, Mr. Tulliver, sono stirati magnificamente, e tutti pronti, e odorano di lavanda, che sarebbe un piacere di mettercisi dentro; e stanno nell’angolo a mancina del grosso cofano di quercia per la biancheria, sul fondo; ma non mi fiderei di nessuno, fuorché di me, per tirarli fuori.»
Pronunciata quest’ultima frase, Mrs. Tulliver estrasse dalla tasca un lucente mazzo di chiavi, e ne scelse una, sfregandola tra il pollice e l’indice con placido sorriso, mentre guardava brillare il fuoco. Se Mr. Tulliver fosse stato un uomo suscettibile nei suoi rapporti coniugali, avrebbe potuto supporre ch’ella estraesse le chiavi per aiutar l’immaginazione a precorrere il momento in cui egli sarebbe stato in condizione da giustificare che si mettessero fuori i migliori lenzuoli d’Olanda. Fortunatamente non era così: e suscettibile era soltanto in tema dei suoi diritti sull’acqua motrice; per di più, aveva l’abitudine maritale di non porgere un orecchio troppo attento; sicché, dopo nominato il signor Riley, s’era apparentemente assorto in un esame tattile delle proprie calze di lana.
«Credo che l’ho indovinata, Bessy» fu la sua prima osservazione, dopo un breve silenzio. «Pochi uomini potrebbero, come Riley, indicarmi una scuola; è stato scolaro anche lui e se ne va in giro un po’ dappertutto, per i suoi arbitrati ed estimi e simili. E avremo tutto il tempo di parlarne prima di domani sera, una volta sbrigati i nostri affari. Voglio che Tom sia un uomo del tipo di Riley, capisci; che sappia parlare pulito, come se tutto gli stesse scritto davanti, e conosca una bella quantità di parole, di quelle che non voglion dir molto, ma intanto non ci si lascia mai gabbare dagli altri nei processi; e poi abbia una buona e solida pratica d’affari.»
«Bene» disse Mrs. Tulliver «se fosse solo per parlar bene, intendersi di tutto, e andarsene in giro colle spalle curve, e portare i capelli all’insù, non mi importerebbe niente che il ragazzo fosse allevato a questo. Ma quei bei parlatori delle grandi città usano quasi tutti dei falsi davanti di camicia; portano una gala finch’è ridotta a un cencio e allora la coprono con un baverino: so che Riley fa così. E poi se Tom deve andare a vivere a Mudport, come Riley, starà in una casa con una cucina che appena ci si rigira, e non avrà mai un uovo fresco per colazione, e dormirà ad un terzo piano, o ad un quarto per quel ch’io so, e potrà bruciare vivo prima di riuscire a scendere.»
«No, no» disse Mr. Tulliver «non son d’idea che vada a Mudport. Ho intenzione che stabilisca il suo ufficio a St. Ogg’s, qui vicino a noi, e abiti in casa. Ma» continuò Mr. Tulliver dopo una pausa «quel ch’io temo un po’ si è che Tom non abbia propriamente il cervello che ci vuole per riuscire un tipo in gamba. Dubito che sia un tantino tardo. Tiene dalla tua famiglia, Bessy.»
«Sì, proprio così» disse Mrs. Tulliver, accettando questo ultimo giudizio interamente a titolo di lode «è straordinario, la quantità di sale che vuole nella zuppa. Proprio i gusti di mio fratello e, prima ancora, di mio padre.»
«Mi sembra un po’ peccato, però» disse Mr. Tulliver «che sia il ragazzo ad aver preso dalla parte di sua madre, invece che la piccina. È questo il peggior guaio dell’incrocio di razze: non si può mai calcolar giusto cosa verrà fuori. La bambinetta tiene da me, intanto: è il doppio più sveglia che Tom. Troppo sveglia per una donna, ho paura» continuò Mr. Tulliver, scotendo dubbiosamente il capo prima da una parte poi dall’altra. «Non è un gran male fintanto ch’è piccolina, ma una donna troppo sveglia non val più che una pecora dalla coda lunga: non crescerà di prezzo per questo.»
«Sì, è un guaio anche mentre è piccola, Mr. Tulliver, perché la tira ad esser discola. Farle tener pulito un grembiule per due ore, passa la mia forza. E adesso mi fai venire in mente» continuò Mrs. Tulliver, alzandosi e andando alla finestra «che non so dove sia, ed è già quasi l’ora del tè. Ah, lo immaginavo; sta vagabondando presso l’acqua come una selvaggia. Un giorno o l’altro ci cascherà dentro.»
Mrs. Tulliver picchiò severamente contro i vetri, fece dei segni e scosse il capo: manovra che ripeté più di una volta avanti di tornarsene alla sua sedia.
«Tu parli di intelligenza, Mr. Tulliver» osservò quando si fu seduta «ma son sicura che in parecchie cose la bambina è mezza idiota: tanto è vero che se la mando di sopra a prendermi qualcosa, si dimentica perché è andata, e magari è capace di sedersi sul pavimento al sole e di starsene lì ad intrecciarsi i capelli, canticchiando tutta sola come una pazza del manicomio ed intanto io sono dabbasso che l’aspetto. Questo, grazie a Dio, non s’è mai visto nella mia famiglia, e nemmeno quella pelle bruna che la fa parere una mulatta. Non vorrei offendere la Provvidenza, ma mi par doloroso d’avere avuto solo una figlia, e per giunta così strana.»
«Bah, che sciocchezze!» disse Mr. Tulliver «è una bambina ben piantata con un par d’occhi neri che a chiunque fa piacere di vederla. Non so in che cosa stia indietro ai bambini degli altri; e sa leggere quasi ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Bibliografia essenziale
  5. Il mulino sulla Floss
  6. LIBRO PRIMO. Un bimbo e una bimba.
  7. LIBRO SECONDO. Anni di scuola.
  8. LIBRO TERZO. La catastrofe.
  9. LIBRO QUARTO. La valle dell’umiliazione.
  10. LIBRO QUINTO. Grano e loglio.
  11. LIBRO SESTO. La grande tentazione.
  12. LIBRO SETTIMO. Il riscatto finale.
  13. CONCLUSIONE
  14. Copyright