Nascita di una madre
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Nascita di una madre

Come l'esperienza della maternità cambia una donna

  1. 238 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Nascita di una madre

Come l'esperienza della maternità cambia una donna

Informazioni su questo libro

Nascita di una madre, basato sull'analisi di casi individuali e sui contributi personali di molte donne, è prima di tutto un'opera che affronta con puntualità sia gli aspetti psicologici della maternità sia i temi a essa strettamente collegati come la paternità, le nascite premature, l'adozione. Ma si tratta anche di un partecipe e riuscito tentativo di dare per la prima volta voce alle emozioni più profonde che animano la vita interiore delle donne in attesa: i sogni sul bambino che sta per arrivare, l'intensità del rapporto con il nuovo nato, il senso di responsabilità nei confronti di una nuova vita che reclama il nostro amore e la nostra dedizione.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
Print ISBN
9788804680178
eBook ISBN
9788852080692
Parte seconda

È NATA UNA MADRE

IV

Assicurare la sopravvivenza del bambino

Quando tornate a casa con il bambino appena nato, che vi sentiate pronte oppure no, dovete subito fare i conti con i compiti basilari della maternità. Tutte le madri vi fanno fronte e riescono nell’impresa: il bambino deve vivere e crescere robusto. È proprio questo incontro con le responsabilità primarie di genitore che permette infine la nascita psicologica della vostra nuova identità. Grazie agli atti concreti compiuti per adempiere a queste responsabilità diventate, finalmente, una vera mamma.
Il primo compito essenziale della maternità è quello di mantenere in vita il bambino: da un momento all’altro siete chiamate ad assicurare la sopravvivenza fisica e la crescita della vostra prole. La nostra società tende a dimenticare questa ovvia e dura realtà, a dare per scontate la drammaticità e la portata del compito, che invece non passano inosservate al cuore di una madre. Vivendo a contatto con il piccolo, vi renderete conto giorno per giorno che la sua fragile esistenza dipende da voi e vi chiederete continuamente se sarete in grado non solo di mantenerlo in vita, ma anche di aiutarlo a crescere.
Perché diciamo che questo è il vostro compito principale e perché è così denso di implicazioni? La sopravvivenza del singolo e dei suoi geni (sotto forma di prole) è la maggiore responsabilità imposta dalla natura a tutti gli animali. È questo l’impulso di base che sta dietro al nostro bisogno di riprodurre e propagare la specie. Tutte le teorie biologiche e psicologiche sostengono che, in quanto esseri animali, anche noi siamo dotati di istinti che garantiscono la trasmissione dei nostri geni alla generazione successiva.
In primo luogo siamo provvisti dell’istinto di autoconservazione, grazie al quale riusciamo a restare in vita abbastanza a lungo per poterci riprodurre. In secondo luogo abbiamo istinti sociali, i quali ci permettono di entrare in contatto con qualche esponente del sesso opposto e avviare così il processo del corteggiamento e della riproduzione. Infine, siamo dotati dei ben noti istinti sessuali che assicurano la continuazione della specie.
Immaginiamo che tutti e tre questi percorsi istintuali vadano a buon fine. Qual è il risultato? Abbiamo un bambino, frutto dell’intero processo. Ma tutti i nostri istinti profondamente connaturati sarebbero inutili se non fossimo anche equipaggiati di istruzioni geneticamente codificate su come prenderci cura del bambino finché il suo istinto di sopravvivenza non entra in azione e comincia a svolgere un ruolo apprezzabile nella sua vita. In quanto madre, costituite automaticamente un anello essenziale nella preziosa catena dell’evoluzione: una madre che, con le sue paure, la sua fatica e i banali atti quotidiani tesi a proteggere il bambino e a fornirgli le necessarie cure, rappresenta una figura centrale nel grande disegno della natura.
Finora siamo rimasti su un piano teorico, ma tutto diventa molto reale quando entra in scena l’esperienza quotidiana della madre con il suo bambino. Uno dei motivi per cui l’esperienza della maternità è così singolare consiste nel fatto che essa costringe una donna ad avere preoccupazioni del tutto nuove e la porta ad agire sulla scorta di impulsi che non aveva mai sperimentato in precedenza.
Trovarsi di fronte alla responsabilità della sopravvivenza del proprio bambino ha sulla maggior parte delle madri un impatto molto forte. Malgrado l’appoggio di medici e familiari e nonostante il fatto che una parte delle cure venga condivisa da vostro marito, la cultura vigente affida a voi, la madre, il compito di essere il supremo custode del bambino. Se qualcosa non funziona, è molto probabile che la responsabilità finale ricada su di voi. Questa realtà è il primo, ineludibile dato di cui una neomamma fa esperienza.
Per alcune, questa presa di coscienza avviene già in ospedale, dopo il parto; per altre, all’incirca una settimana più tardi, quando la bambinaia che le ha seguite nei primissimi giorni o la madre le lasciano per tornare a casa propria. La percezione di questa nuova realtà può scattare in momenti del tutto normali: mentre tenete in braccio il bambino e vi accorgete di quanto sia piccolo e vulnerabile, oppure mentre lo guardate nel sonno e vedete il minuscolo torace che si alza e si abbassa ritmicamente. In ogni caso, qualunque sia il momento in cui si farà strada dentro di voi la consapevolezza di questa spaventosa responsabilità, essa cambierà per sempre il vostro mondo.
Guardiamo ora più da vicino queste prime responsabilità e le preoccupazioni che le accompagnano.

Tenere in vita il bambino

La prima e principale preoccupazione della neomamma è che il bambino smetta di respirare. Subito dopo il rientro a casa, ma spesso per un periodo più lungo, questa preoccupazione spinge la neomamma ad accostarsi al lettino del piccolo più e più volte durante la notte. È possibile scherzarci sopra la mattina dopo, ma l’impellente necessità che vi spinge verso quel lettino è mortalmente seria e non può essere ignorata se non a patto di profonde angosce.
Ecco che cosa mi disse una madre poco dopo la nascita del figlio, avvenuta a breve distanza dalla morte improvvisa del nipotino, anch’esso neonato:
Quando arrivò il piccolo, comprammo subito un interfono per poter ascoltare ciò che accadeva nella sua stanza, forse anche a causa di quello che era successo a mia sorella. Ricordo che, dopo averlo messo a letto perché facesse il suo sonnellino, portavo l’apparecchio con me in cucina. Non credo di essere particolarmente ansiosa, ma evidentemente a livello inconscio registravo il ritmo del suo respiro perché di colpo, quando non lo sentivo più o diventava irregolare, correvo su per le scale per andare a controllare di persona. Col tempo presi ad appoggiargli una mano sulla schiena o ad accostare un orecchio al viso per essere certa che respirasse. A volte facevo fatica a sentirlo perché avevo il fiatone per aver fatto tutta la scala di corsa.
Molte neomamme hanno paura che il bambino morirà o si farà male per colpa della loro sbadataggine o della loro inadeguatezza. Non avete mai temuto che il piccolo cadesse dal fasciatoio, picchiando la testa, mentre non stavate guardando o che vi scivolasse tra le mani insaponate e annegasse nell’acqua del bagnetto? Ma potrebbe anche battere la testa contro la vasca mentre lo sollevate, o magari soffocare perché si è impigliato nelle coperte con la testa sotto il cuscino. Probabilmente avete anche temuto, quando il piccolo dormiva nel vostro letto, che voi o vostro marito poteste schiacciargli un braccio muovendovi nel sonno, oppure si surriscaldasse per via delle troppe coperte e dell’eccesso di vestiario, o viceversa che non fosse abbastanza coperto e rischiasse di buscarsi un raffreddore durante la notte, soprattutto se avete l’abitudine di dormire con la finestra aperta.
Queste sono le naturali paure che impediscono alle neomamme di abbassare la guardia e le aiutano a proteggere il bambino e a interiorizzare, a far proprie, le loro nuove responsabilità. Possono manifestarsi nei modi più strani, come per esempio con una forte preoccupazione rispetto a chi avrà il permesso di tenere in braccio il piccolo o di toccarlo. È naturale che, in quanto responsabili di questa nuova vita, siate in allerta e vi chiediate se una determinata persona sia sicura oppure rappresenti una possibile minaccia per il bambino. Potreste anche scoprire con sorpresa che questi sentimenti sono tanto forti da costringervi a metter da parte l’abituale cortesia nei confronti di parenti e amici. La decisione su chi includere nella stretta cerchia di persone che sono ammesse a tenere in braccio il bambino si basa sul senso di sicurezza che esse vi ispirano, e non sul grado di parentela. Questo giudizio, fondamentalmente intuitivo, crea talvolta situazioni imbarazzanti all’interno della famiglia.
Ecco come una madre racconta un piccolo incidente a lei capitato:
Abbiamo un’amica di famiglia, la signora Morse, che parla molto e giocherella nervosamente con le mani. Il marito è un pezzo grosso qui in città, così tutti sono molto gentili con lei, anche se è una tipa difficile da sopportare. Bene, un giorno si presentò a casa di mia madre mentre ero là anch’io con il bambino e subito volle prenderlo in braccio. Lo stava tenendo mia madre, che glielo diede. Il piccolo guardò in su, la fissò con i suoi occhioni, poi corrugò il viso e scoppiò a piangere. La signora Morse si mise a scuoterlo dicendo: «Non devi piangere, non devi piangere».
«Ha fame» mi intromisi, togliendoglielo bruscamente dalle braccia per portarlo nell’altra stanza. Ero stata molto villana, ma non me ne importava nulla. Non volevo che quella donna tenesse in braccio mio figlio.
L’ansia di protezione nei confronti del bambino, che può rasentare l’ossessività, è perfettamente comprensibile, anche nelle situazioni che presentano probabilità di rischio molto esigue. La maggioranza delle donne afferma del resto di non aver mai provato in precedenza un sentimento tanto potente come l’amore per i figli e il bisogno di proteggerli.
Quando mia figlia aveva tre settimane, la misi nel marsupio e uscii a pranzo. Viviamo in città e i marciapiedi erano affollati di gente che andava e veniva in gran fretta. Mi fermai all’angolo in attesa del semaforo verde, poi scesi dal marciapiede. C’era parecchia gente che attraversava la strada in senso opposto e tra di loro un uomo colpì la mia attenzione. Camminava molto velocemente e all’improvviso mi sembrò che stesse per venirmi addosso, che stesse per abbattersi sulla bambina. Alzai immediatamente le braccia per far scudo a mia figlia e afferrare l’uomo alla gola. Un attimo dopo se n’era già andato, ma in quei pochi secondi avevo provato un’emozione violentissima, compresa la sensazione di essere pronta a uccidere se fosse stato necessario.
Queste apprensioni sono inevitabili. Agli occhi inesperti della neomadre che si sente investita della responsabilità di mantenere in vita il bambino, questi appare sempre fragile e vulnerabile. Solo con l’esperienza vi renderete conto di quanto in realtà sia robusto. Durante i primi anni di studio alla facoltà di medicina scoprii quante cose possono guastarsi e quante sono le malattie che rischiamo di contrarre: sembrava un miracolo che qualcuno riuscisse effettivamente a restare vivo per molti anni. In seguito, quando lasciai le aule universitarie e cominciai ad avere esperienze cliniche, mi sembrò ancora più stupefacente quanto il corpo umano fosse resistente, solido e ben adattato. La malattia e la morte non hanno partita facile con il possente disegno dell’essere umano, ma per una neomamma è difficile rendersene conto.
Le paure per la sopravvivenza del bambino diminuiscono con il trascorrere del tempo, ma non spariscono mai del tutto. Semplicemente passano in secondo piano per lasciar posto ad altre preoccupazioni, si trasformano per adeguarsi all’età del bambino. La mamma di un piccolo di due anni che non sta mai fermo avrà il terrore che possa strangolarsi con una corda oppure che infili le dita in una presa di corrente, mentre la mamma di una ragazzina temerà rapitori e incidenti stradali. Un certo livello di paura rimane comunque sempre latente, pronto a riemergere non appena le circostanze lo richiedano.

Far crescere il bambino sano e robusto

Un secondo gruppo di preoccupazioni che affliggono le mamme riguarda la loro capacità di far acquisire peso al bambino e di mantenerlo in buona salute, dubbi che si manifestano in domande del tipo: Saprò allattarlo nel modo migliore? Avrò abbastanza latte? Mi renderò conto quando il bambino avrà mangiato abbastanza? Capirò i segnali che mi manda così che la poppata vada per il verso giusto? I capezzoli si adattano bene alla bocca del bambino? E se fosse allergico al mio latte? Il latte poi non uscirà troppo in fretta con il rischio di soffocarlo, oppure troppo lentamente, provocandogli continue frustrazioni? Non si disidraterà? Dovrà tornare in ospedale? Sono tutte domande che vi porrete sia che allattiate al seno, sia che facciate ricorso al biberon, e dubbi simili riemergeranno quando vostro figlio o vostra figlia saranno pronti a passare a un’alimentazione solida.
Anche nel caso dell’allattamento, come già in quello della sopravvivenza fisica, siete in balia di forze su cui avete un controllo molto ridotto. In primo luogo, c’è la vostra accentuata reattività ai segnali del bambino (i pianti senza fine o i suoi sorrisi accattivanti). Di fronte a questi segnali, non potete smorzare la vostra sensibilità né abbassare il volume: non potete fare a meno di ascoltare il richiamo dei vostri sensi, perfettamente sintonizzati sulla lunghezza d’onda del bambino. In secondo luogo, ci sono spinte innate che vi portano a compiere determinati gesti, come sorreggere la testa del piccolo, accarezzarlo in un dato modo, o rivolgerlo verso il seno. Infine, ci sono le potenti aspettative imposte dalla società e quelle che avete nei confronti di voi stesse. Quando tutte queste forze operano all’unisono, non c’è da stupirsi se vi alzate a qualsiasi ora della notte, pronte a rispettare gli orari del bambino, e questo per settimane e settimane, indipendentemente dalla vostra stanchezza. Non stupitevi neppure se la vostra giornata ruoterà intorno ai cicli di fame e di sonno del bambino, indipendentemente da tutto il resto. Ha un senso molto profondo il fatto che quanto riguarda l’allattamento e l’aumento di peso sia vissuto con grande emozione e considerazione. Dopo tutto, la sopravvivenza del bambino dipende dal fatto che gli venga assicurata la crescita.
Ecco il resoconto di una mamma:
Quando mio figlio aveva solo una settimana, cominciò a perdere peso. C’era un tono preoccupato nella voce del dottore quando mi disse che doveva aumentare, e questo mi gettò nel panico. Più mi agitavo, meno latte avevo e in breve il bambino tornò al peso che aveva al momento della nascita. Ciò destò ulteriori preoccupazioni nel dottore, il quale mi fece integrare l’allattamento al seno con latte artificiale. Non mi ero mai sentita così impotente. Mi aggrappavo al bambino come una disperata, pensando solo a quanto latte gli dovevo dare, cercando di farlo mangiare e di provocare il ruttino, con in testa l’ossessione del peso.
Quando ebbe il suo primo rigurgito, ne fui atterrita. Forse non era in grado di alimentarsi, forse rischiava di morire di consunzione. Lo chiamavano «deficit di crescita» e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era a come fargli acquistare peso. Mi è sempre piaciuto avere i capelli in ordine e curare l’abbigliamento, ma in quel periodo il mio aspetto era trascurato. Me ne stavo per giorni e giorni con addosso la stessa roba, sempre attaccata al bambino. Quando finalmente raggiunse i tre chili e sei etti, non ressi più e scoppiai a piangere nello studio del dottore. Il resto non contava niente, mi importava solo che quel bambino mangiasse.
Non sorprende che decisioni apparentemente semplici, come scegliere tra l’allattamento al seno o con il biberon, oppure se aumentare la frequenza dei pasti, risultino spesso sovraccariche di emotività. Per lo stesso motivo, commenti apparentemente insignificanti di vostra madre, del tipo: «Non è un po’ magrolino?», oppure: «Come mai non ha le guanciotte più piene?», trovano un terreno fertile su cui far presa. Magari cercate di riderne, ma in realtà vanno a colpire le vostre ansie più profonde e non potete fare a meno di vivere queste osservazioni come un grave appunto alle vostre capacità di madre. A volte i commenti di questo tipo lasciano ferite profonde o danno inizio a conflitti familiari che rischiano di non sanarsi per anni. È in gioco qualcosa di importanza vitale e qualsiasi segnale che mini la fiducia in voi stesse mentre siete impegnate in un compito del tutto nuovo è visto come destabilizzante e quindi non può essere sopportato.
Subito dopo la nascita della figlia, nel giro di un pomeriggio una madre si trovò alle prese con una serie quasi ridicola di avvenimenti che mise a dura prova le sue sicurezze:
All’inizio, quando uscivo con mia figlia per fare qualche commissione, avevo l’abitudine di metterla nel marsupio. Nella prima giornata tiepida dell’anno la presi dunque con me, tutta eccitata per quell’uscita sotto il sole con la mia bambina. Mentre mi trovavo in biblioteca, mi si avvicinò una signora che non conoscevo, dicendo: «Mi scusi, ma non sa che la piccola può prender freddo? Le metta subito le calzine». In preda al nervosismo, mi misi a rovistare nella borsa finché le trovai e gliele infilai immediatamente.
Più tardi, mentre stavamo tornando verso casa, mi fermai a un incrocio in attesa del verde. Stavo ormai cominciando ad abituarmi agli sguardi degli sconosciuti che fissavano la piccola e ai loro sorrisi, ma quella volta notai un uomo vicino a me che aveva un’aria particolarmente interessata. Alla fine si chinò verso di me e disse: «Scommetto che è il suo primo bambino. Le conviene toglierle le calzine, fa troppo caldo». Di nuovo innervosita, gliele sfilai in tutta fretta prima ancora di attraversare la strada.
Una volta a casa, mi sentii al riparo dai consigli di gente sconosciuta. Misi la bambina sul mio letto perché si facesse un sonne...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. NASCITA DI UNA MADRE
  4. Introduzione. L’assetto materno
  5. Parte prima. PREPARARSI A DIVENTARE MADRE
  6. Parte seconda. È NATA UNA MADRE
  7. Parte terza. ADATTAMENTI NECESSARI
  8. Una parola di congedo
  9. Ringraziamenti
  10. Copyright