Non fatevi spaventare dal titolo di questo capitolo. Non siete erroneamente inciampati in un testo di botanica e non vi siete paracadutati sul set di Avatar. Vi assicuro che questo libro vi insegnerà a essere più magri e pieni di energie e vi aiuterà a gettare le basi di una vita sana e longeva. Se vi state domandando perché dovrebbe interessarvi imparare come funzionano le piante – o se addirittura sono dotate di un qualche proposito consapevole – allacciate la cintura e lasciatevi stupire da questo piccolo viaggio attraverso quattrocento milioni di anni di storia. Strada facendo, imparerete che le verdure, la frutta, i cereali e altri alimenti di origine vegetale non se ne sono rimasti lì a braccia incrociate, rassegnati a diventare la vostra cena. Hanno sviluppato tecniche sofisticate (comprese sostanze chimiche tossiche) per difendersi da predatori come voi.
Ma prima chiariamo una cosa. Non c’è dubbio che consumare certi vegetali sia essenziale per godere di buona salute – ed è proprio questo il paradosso. Questi vegetali forniscono al vostro organismo centinaia di vitamine, minerali, antiossidanti e altre sostanze nutritive necessarie non solo per sopravvivere, ma per vivere bene. Durante gli ultimi quindici anni sono più di diecimila i pazienti che, grazie al mio programma, sono riusciti non solo a dimagrire ma anche a far regredire in modo significativo numerose patologie. E chi invece soffriva di problemi di digestione e continuava a dimagrire, finalmente è riuscito a raggiungere e a mantenere un peso sano. A differenza della Paleodieta e di altre diete povere di carboidrati o addirittura delle diete chetogeniche, che prevedono un forte consumo di carne, i vostri pasti prevederanno soprattutto alimenti di origine vegetale, piccole quantità di pesce selvaggio, frutti di mare e ogni tanto una porzione di carne di animali allevati al pascolo. Inoltre, vi offrirò anche alternative vegane e vegetariane.
Ora però iniziamo la rieducazione con il primo shock: più frutta eliminavo dalla dieta dei miei pazienti, più la loro salute migliorava e i valori del colesterolo e quelli epatici si abbassavano. Più eliminavo le verdure che contengono semi, come i cetrioli e la zucca, più loro si sentivano bene, perdevano peso e il colesterolo migliorava! (A proposito, botanicamente parlando, tutte le cosiddette verdure che contengono semi, come i pomodori, i cetrioli o la zucca, e perfino i fagiolini, sono frutta.) Inoltre, più i miei pazienti consumavano frutti di mare e tuorli, e più il colesterolo diminuiva. Proprio così. Mangiare molluschi, frutti di mare e tuorli diminuisce drasticamente i livelli di colesterolo totale. Come dicevo nell’introduzione, dimenticate tutto ciò che vi hanno sempre fatto credere fino a oggi.
È tutta una questione di sopravvivenza
Ogni essere vivente possiede l’istinto di sopravvivenza e l’impulso a trasmettere i propri geni alle generazioni future. Noi consideriamo nostre amiche le piante perché ci nutrono, ma le piante considerano tutti i predatori, esseri umani compresi, dei nemici. Tuttavia, anche i nemici possono servire a qualcosa. Ed è questo il dilemma che dobbiamo affrontare noi onnivori: proprio il cibo che ci nutre adotta metodi per scoraggiarci a mangiarlo. Il risultato è una battaglia senza tregua tra il regno animale e quello vegetale.
Non tutte le piante però sono state create uguali. Alcuni degli ortaggi e dei frutti di cui ci nutriamo contengono sostanze che possono nuocerci. Abbiamo sorvolato su questo paradosso per diecimila anni. Il glutine, per esempio, è una sostanza che può dare problemi ad alcune persone, come ha evidenziato la recente moda dei prodotti gluten free. Ma il glutine non è che una delle sostanze che costituiscono il paradosso vegetale di cui stiamo parlando; sostanze che ci hanno letteralmente menato per il naso, come apprenderete tra poco. In questo capitolo, infatti, vi presenterò il vasto mondo delle lectine.
Il programma che vi illustro in questo libro offre una panoramica ampia, articolata e completa su come le piante possono nuocerci e svela il legame tra le lectine (e altre sostanze chimiche), l’aumento di peso e le malattie. L’uomo e gli erbivori in generale non sono le uniche creature con un loro obiettivo. Le piante, per esempio, non vogliono farsi mangiare – e chi può biasimarle? Come ogni creatura vivente, il loro istinto è garantire la sopravvivenza della specie. Per questo motivo, le piante hanno escogitato metodi diabolicamente ingegnosi per proteggere dai predatori se stesse e la loro discendenza. Di nuovo, mettiamo in chiaro che io non ho nulla contro le piante. Se vi capitasse mai di pranzare con me, vedreste che sono un gran predatore di ortaggi! Detto questo, vi guiderò attraverso questo gigantesco orto per indicarvi le specie amiche, le specie nemiche e, tra queste ultime, quali possono essere conquistate grazie a certi metodi di preparazione o semplicemente consumandole quando sono di stagione.
Nel gioco mortale tra preda e predatore, una gazzella adulta può sfuggire a un’affamata leonessa, un passerotto sveglio può farla in barba a un gatto che gli tende un agguato e una moffetta può liberare uno spruzzo di liquido tossico per accecare temporaneamente una volpe. I pronostici non sono sempre a sfavore della preda. Ma quando la preda è una pianta, poverina, parliamo di una creatura indifesa, giusto? Neanche per sogno!
Le piante sono comparse sulla Terra circa quattrocentocinquanta milioni di anni fa. Molto prima dei primi insetti, arrivati solo novanta milioni di anni fa. Fino a quel momento, la Terra doveva essere davvero un paradiso, per le piante. Non c’era nessun bisogno di scappare, nascondersi o combattere. Potevano crescere e prosperare in pace, producendo indisturbate i semi da cui sarebbe nata la nuova generazione della loro specie. Ma quando sono arrivati gli insetti e gli animali (e per ultimi i nostri antenati), la guerra è cominciata. Le nuove specie hanno deciso che quelle gustose piante sarebbero diventate la loro cena. E anche se le piante non desideravano venire mangiate più di quanto lo desideriate voi, gli animali sembravano avere la vittoria in pugno, con quelle zampe e quelle ali, che permettevano loro di raggiungere qualsiasi cespuglio e ingoiarselo.
Piano però. Perché le piante in realtà hanno sviluppato un incredibile arsenale per proteggere se stesse o, quanto meno, i loro semi, dagli animali di ogni forma e taglia, esseri umani compresi. Le piante possono infatti approfittare di una gran quantità di deterrenti fisici: il colore, per mimetizzarsi con il paesaggio; una consistenza sgradevole; resina e linfa che imprigionano gli insetti, creano una specie di rivestimento protettivo inglobando sabbia o terra, o attraggono terriccio che rende la pianta poco appetitosa; un guscio coriaceo, come la noce di cocco, o foglie spinose, come il carciofo.
Altre strategie difensive, però, possono essere molto più astute. Le piante sono dei chimici esperti – e alchimisti, se è per quello, visto che riescono a trasformare i raggi del Sole in materia! Nel corso della loro evoluzione hanno imparato a usare armi biologiche per respingere i predatori, avvelenandoli, paralizzandoli e disorientandoli, o per rendersi più indigeste, salvando così la pelle… e i semi necessari per la continuità della specie. Entrambe queste strategie difensive, quella fisica e quella chimica, sono molto efficaci per tenere lontano i predatori e, talvolta, per assoggettarli al proprio volere.
Poiché i loro primi nemici sono stati gli insetti, le piante hanno sviluppato delle lectine in grado di paralizzare quelli che tentavano di pasteggiare a loro spese. Ovviamente, c’è una differenza abissale tra le dimensioni di un insetto e quelle di un mammifero, ma in entrambi gli effetti sono gli stessi. (Se soffrite di una qualsiasi forma di neuropatia, prendete nota!) Chiaramente, quando mangiate un ortaggio, la maggior parte di voi non resterà paralizzata dalle sostanze chimiche che questo produce, anche se una nocciolina può in effetti risultare fatale. Tuttavia, nessuno di noi è immune agli effetti a lungo termine di certe sostanze vegetali. Visti i miliardi di cellule che compongono il nostro organismo, però, non ci accorgiamo subito dei danni che derivano da un loro consumo prolungato. E anche voi probabilmente non ve ne siete ancora resi conto.
Io stesso ho scoperto questo legame grazie a centinaia di pazienti che invece hanno reazioni quasi immediate e spesso affascinanti non appena ingeriscono queste sostanze chimiche vegetali. Ecco perché li ho soprannominati i miei “canarini”. I minatori una volta portavano con sé, nelle miniere di carbone, dei canarini in gabbia, perché questi uccelli sono particolarmente sensibili agli effetti letali del monossido di carbonio e del metano. Se i canarini cinguettavano, i minatori si sentivano al sicuro, ma se il cinguettio si interrompeva, significava che bisognava evacuare in fretta il cunicolo. I miei “canarini” hanno una sensibilità superiore alla media nei confronti di certe lectine, il che è di sicuro un vantaggio per chiedere aiuto quando ancora c’è tempo. Leggerete di loro in alcune testimonianze disseminate in tutto il libro (e tranne in alcuni casi, i nomi sono stati tutti sostituiti da pseudonimi per tutelare la loro privacy).
La testimonianza
IL CANARINO TRISTE CHE HA RICOMINCIATO A CANTARE
Paul G. è un programmatore trentaduenne, amante della vita all’aria aperta. Aveva il morbo di Pott (la pressione arteriosa gli si abbassava improvvisamente) ed era allergico praticamente a tutto. Poiché soffriva di violente orticarie, non poteva uscire di casa per andare dai suoi genitori senza che questo scatenasse reazioni violente. Paul aveva anche il cortisolo pericolosamente alto e soffriva di un grave stato infiammatorio generale. Dato che era allergico alla maggior parte dei cibi, era anche molto denutrito. Ma dopo dieci mesi del mio programma, il morbo di Pott è completamente regredito e il cortisolo è rientrato nei valori normali, proprio come i marcatori dell’infiammazione. Ora Paul non prende più medicine ed è tornato a fare campeggio e a godersi tutte le attività all’aperto di prima. Sta recuperando peso e può uscire per andare dai suoi genitori senza soffrire più di alcuna reazione allergica.
Le piante sono campionesse di manipolazione
Una piccola lezione di botanica: i semi sono i “bebè” delle piante, che diventeranno la nuova generazione di ogni specie vegetale. (No, non sto facendo il sentimentale o l’antropomorfista. I botanici e gli altri scienziati quando parlano dei semi li chiamano bebè.) Ma poiché i semi se la devono vedere con un mondo difficile, ne vengono prodotti molti più di quanti riusciranno a mettere davvero radici. Le tipologie principali di seme sono due. Alcuni sono bebè che le piante vogliono che i predatori mangino. Sono avvolti da un involucro resistente, progettato per far sopravvivere il seme lungo tutto il tubo digerente del predatore, anche se un nocciolo di pesca, per esempio, può non venire inghiottito ma lasciato a terra. Poi ci sono i bebè “nudi”, privi di involucro, che la pianta non vuole vengano mangiati (su questi ultimi torneremo tra poco).
I semi degli alberi da frutto, racchiusi in un guscio, rappresentano un esempio del primo tipo. La pianta originaria vuole che gli animali mangino i semi prima che questi cadano a terra. Lo scopo è fare in modo che i bebè si allontanino abbastanza da non dover competere con lei per il Sole, l’acqua e le sostanze nutritive. Questo aumenta le probabilità di sopravvivenza della specie e la sua diffusione. Se il seme, una volta ingoiato, rimane intatto, emergerà dal corpo dell’animale insieme a un bel mucchietto di feci, che ne favorirà la germogliazione.
Grazie al guscio protettivo, queste piante non hanno bisogno di ricorrere a strategie di difesa chimiche. Anzi! Le piante adottano diversi stratagemmi per attirare l’attenzione dei predatori e incoraggiarli a mangiare la loro prole. Uno è il colore. (Per questo motivo, tutti gli animali che mangiano frutta riescono a distinguere i colori.) Ma la pianta non vuole che i suoi bambini vengano mangiati prima che il guscio protettivo si sia completamente indurito, perciò utilizza il colore della frutta acerba (di solito il verde) per inviare al predatore il messaggio “non ancora”. Nel timore però che il predatore non riesca a interpretare il segnale, la pianta spesso aumenta anche i livelli di tossine nel frutto acerbo per chiarire senza ombra di dubbio che non è il momento giusto per mangiarlo. Prima che da noi arrivassero le mele Granny Smith, i ragazzini della mia generazione che mangiavano le mele acerbe hanno imparato a loro spese, e a suon di mal di pancia, a non mangiare la frutta prima che fosse matura.
Quindi, quando è il momento giusto per consumare la frutta? Anche in questo caso, la pianta utilizza i colori per comunicare ai predatori che la frutta è matura – cioè il guscio del seme si è indurito – e gli zuccheri hanno raggiunto il picco massimo. Intelligentemente, le piante hanno scelto di produrre fruttosio e non glucosio, come zucchero. Il glucosio infatti innalza i livelli di insulina nei primati e negli esseri umani, il che aumenta i livelli di leptina, l’ormone blocca fame, il fruttosio invece no. Per questo il cervello del predatore non recepisce il messaggio di sazietà che lo induce a smettere di mangiare. (Vi sorprenderebbe scoprire che le scimmie antropomorfe ingrassano solo nei periodi in cui la frutta è matura?) Questo è un meccanismo vincente sia per il predatore che per la preda. L’animale introduce nel suo organismo più calorie e poiché tutta quella frutta significa tanti semi, la pianta ha maggiori possibilità di spargere nell’ambiente tantissimi bebè. Certo, il meccanismo non è altrettanto vincente per noi esseri umani di oggi, che non abbiamo bisogno delle calorie in più contenute nella frutta matura, così essenziali per la sopravvivenza dei nostri antenati cacciatori e dei nostri parenti primati. E anche se così fosse, fino a qualche decennio fa la maggior parte della frutta era disponibile solo in estate. Come vedrete fra poco, poter mangiare frutta tutto l’anno è il motivo per cui ci ammaliamo e ingrassiamo!
Il tempismo è tutto… ma l’apparenza inganna
Come abbiamo imparato, dunque, le piante utilizzano i colori per comunicare il messaggio che i loro frutti sono pronti per essere colti, il che significa che il guscio attorno ai semi si è indurito e può sperare di attraversare intatto l’apparato digerente dei predatori. In questo caso, verde significa “stop” mentre rosso (o arancio o giallo) significa “via libera”. Rosso, arancio e giallo comunicano al cervello che il frutto è dolce e appetitoso, un concetto che gli esperti di packaging conoscono e adottano da tempo. La prossima volta che vi trovate nella corsia degli snack, al supermercato, fate caso alle confezioni e ai cartelli che vedete, e noterete che nella maggior parte dei casi dominano questi colori caldi.
Da tempo le piante ci hanno insegnato ad associare il rosso, il giallo e l’arancio al momento di massima maturazione della frutta; tuttavia, quando compriamo la frutta a dicembre, molto spesso si tratta di prodotti coltivati in Cile o in altri paesi di quell’emisfero, che sono stati raccolti ancora acerbi e ai quali, una volta a destinazione, è stata iniettata una dose di ossido di etilene. L’ossido di etilene cambia il colore al frutto che così sembra maturo e pronto per essere mangiato, ma al suo interno il contenuto di lectine rimane alto perché il guscio del seme non è maturato completamente e il frutto non ha mai ricevuto dalla pianta il messaggio di abbassare i livelli di tossine. Quando la frutta è maturata naturalmente, infatti, la pianta rid...