La Gerusalemme liberata
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La Gerusalemme liberata

  1. 1,289 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La Gerusalemme liberata

Informazioni su questo libro

Ideale rappresentante dell'autunno del Rinascimento, la Gerusalemme liberata divenne ben presto uno tra i libri più letti e amati in tutta Europa. Tasso seppe descrivere con il suo poema un mondo umano e narrativo chiaroscurale, ricco di una tensione mai completamente risolta tra etica e desiderio, tra doveri nei confronti di una giustizia superiore e umanissimi cedimenti alle debolezze. Nel contrasto allargato alle grandi forze del Cielo e dell'Inferno, la Liberata comunica un profondo senso di crisi attraverso tutto il racconto, lasciando sempre al lettore un indefinibile sentimento di incertezza. Franco Tomasi nella sua introduzione analizza l'orizzonte ideologico e la genesi del poema. Il ricco commento scioglie ogni difficoltà testuale e mette in luce il fitto dialogo poetico con la tradizione epica e lirica di cui è tramato il poema.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
Print ISBN
9788817029094
eBook ISBN
9788858601884

CANTO VENTESIMO

L’ultimo canto del poema ha una natura prettamente corale: in luogo di un unico duello risolutore, così tipico della grande tradizione epica, troviamo una serie di scene che permettono di seguire il concorrere delle diverse forze crociate al conseguimento della vittoria finale. L’arrivo dell’esercito egiziano presso Gerusalemme (1-5), con il quale si apre il canto, allerta i cristiani che si dispongono immediatamente per la battaglia. Poco prima dell’esplodere dello scontro i due capitani rivolgono il loro accorato discorso alle truppe: Goffredo, le cui parole riecheggiano il discorso pronunciato da Cesare nella Farsaglia, incita i suoi a combattere con il consueto ardore (12-20), mentre Emireno, il comandante egiziano, è costretto, a causa delle varie etnie che compongono le sue forze, a parlare attraverso interpreti, con assai meno vigore. Si profila quindi nettamente la differenza tra le due forze in campo: coesa e compatta, quasi un unico corpo, quella cristiana, immensa ma composita e spesso imbelle, quella egiziana.
Con una spettacolare visione d’insieme prende avvio la battaglia che vede opporsi i due eserciti su tre fronti e nella mischia furibonda che si scatena si stagliano alcuni episodi: il valoroso comportamento della coppia Gildippe e Odoardo (31-37), le prodezze del capitano egizio Altamoro (38-43), il fallito attentato di Ormondo ai danni di Goffredo (44-46). A Rinaldo spetta il compito di evitare il rischio dell’accerchiamento delle truppe cristiane, missione che assolve con la consueta prodezza (54-60), per poi spingersi al centro della battaglia dove, per la prima volta, incontra Armida. Si consuma, nel cupo clima guerresco, un primo intermezzo di natura lirica e madrigalistica, con i tentativi vani di Armida di colpire Rinaldo, tentativi che hanno solo la funzione di rendere consapevole la maga del grande amore che ancora nutre, travestito da desiderio di vendetta, per il cavaliere cristiano (61-72).
Mentre i destini della battaglia sono incerti, la scena si sposta all’interno di Gerusalemme, in particolare nella rocca di David, dalla quale Solimano osserva il sanguinoso svolgersi degli eventi: è un momento intenso, nel quale il cavaliere riflette sull’«aspra tragedia de lo stato umano» (73, 6), una condizione miserevole e dolorosa cui tutti gli uomini sembrano essere condannati. Rotto ogni indugio, Solimano, che pure aveva sempre saputo valutare con attenzione le ragioni complessive dello scontro, decide di lanciarsi in battaglia, abbandonando così la difesa della rocca, senza alcun piano e forse con il solo desiderio di trovare la morte (73-82). Ben presto la situazione sembra volgere a vantaggio dei cristiani: Raimondo, aiutato da un Tancredi sorretto solo dalla forza del suo valore, conquista la rocca e uccide il re Aladino (87-91); Rinaldo trova nel campo di battaglia Solimano, che ha appena ucciso Gildippe e Odoardo, e lo sconfigge, vendicando così anche il principe Sveno (92-107) e provocando la rotta dell’esercito egiziano, vistosi ormai privo di una vera guida. Ma il cavaliere cristiano, che disdegna di infierire sui fuggitivi, si lancia all’inseguimento di Armida e, proprio quando questa sta per togliersi la vita, la salva: segue una scena patetica nella quale, pur in un indistinto e ancora aurorale inizio d’amore, si profila una riconciliazione tra i due e, forse, una possibile conversione della donna (121-136).
La guerra però volge ormai al termine; Goffredo fiacca le ultime resistenze egiziane uccidendo il capitano Emireno e facendo poi prigioniero Altamoro. Stanco, ancora lordo del sangue della battaglia, va presso il Santo Sepolcro a sciogliere il voto che aveva mosso, lui e tutto l’esercito, verso la città santa. Si chiude con perfetta circolarità il poema, anche se tutto l’ultimo canto è attraversato più che da un senso di serena e pacificata vittoria, da un cupo e doloroso trionfo del sangue, del lutto e del dolore.
1
Già il sole avea desti i mortali a l’opre,
già diece ore del giorno eran trascorse,
quando lo stuol ch’a la gran torre è sopre
un non so che da lunge ombroso scorse,
quasi nebbia ch’a sera il mondo copre,
e ch’era il campo amico al fin s’accorse,
che tutto intorno il ciel di polve adombra
e i colli sotto e le campagne ingombra.
2
Alzano allor da l’alta cima i gridi
insino al ciel l’assediate genti,
con quel romor con che da i traci lidi
vanno a stormi le gru ne’ giorni algenti
e tra le nubi a più tiepidi lidi
fuggon stridendo inanzi a i freddi venti,
ch’or la giunta speranza in lor fa pronte
la mano al saettar, la lingua a l’onte.
3
Ben s’avisaro i Franchi onde de l’ire
l’impeto novo e ’l minacciar procede,
e miran d’alta parte; ed apparire
il poderoso campo indi si vede.
Subito avampa il generoso ardire
in que’ petti feroci e pugna chiede.
La gioventute altera accolta insieme:
«Da’» grida «il segno, invitto duce», e freme.
4
Ma nega il saggio offrir battaglia inante
a i novi albori e tien gli audaci a freno,
né pur con pugna instabile e vagante
vuol che si tentin gl’inimici almeno.
«Ben è ragion» dicea «che dopo tante
fatiche un giorno io vi ristori a pieno.»
Forse ne’ suoi nemici anco la folle
credenza di se stessi ei nudrir volle.
5
Si prepara ciascun, de la novella
luce aspettando cupido il ritorno.
Non fu mai l’aria sì serena e bella
come a l’uscir del memorabil giorno:
l’alba lieta rideva, e parea ch’ella
tutti i raggi del sole avesse intorno;
e ’l lume usato accrebbe, e senza velo
volse mirar l’opere grandi il cielo.
6
Come vide spuntar l’aureo mattino,
mena fuori Goffredo il campo instrutto.
Ma pon Raimondo intorno al palestino
tiranno e de’ fedeli il popol tutto
che dal paese di Soria vicino
a’ suoi liberator s’era condutto:
numero grande; e pur non questo solo,
ma di Guasconi ancor lascia uno stuolo.
7
Vassene, e tal è in vista il sommo duce
ch’altri certa vittoria indi presume.
Novo favor del Cielo in lui riluce
e ’l fa grande ed augusto oltra il costume:
gli empie d’onor la faccia e vi riduce
di giovenezza il bel purpureo lume,
e ne l’atto de gli occhi e de le membra
altro che mortal cosa egli rassembra.
8
Ma non lunge se ’n va che giunge a fronte
de l’attendato essercito pagano,
e prender fa, ne l’arrivar, un monte
ch’egli ha da tergo e da sinistra mano;
e l’ordinanza poi, larga di fronte,
di fianchi angusta, spiega inverso il piano,
stringe in mezzo i pedoni e rende alati
con l’ale de’ cavalli entrambi i lati.
9
Nel corno manco, il qual s’appressa a l’erto
de l’occupato colle e s’assecura,
pon l’un e l’altro prencipe Roberto,
dà le parti di mezzo al frate in cura.
Egli a destra s’alluoga, ove è l’aperto
e ’l periglioso più de la pianura,
ove il nemico, che di gente avanza,
di circondarlo aver potea speranza.
10
E qui i suoi Loteringhi e qui dispone
le meglio armate genti e le più elette,
qui tra cavalli arcieri alcun pedone
uso a pugnar tra’ cavalier framette.
Poscia d’aventurier forma un squadrone
e d’altri altronde scelti, e presso il mette;
mette loro in disparte al lato destro,
e Rinaldo ne fa duce e maestro.
11
Ed a lui dice: «In te, signor, riposta
la vittoria e la somma è de le cose.
Tieni tu la tua schiera alquanto ascosta
dietro a queste ali grandi e spaziose.
Quando appressa il nemico, e tu di costa
l’assali e rendi van quanto e’ propose.
Proposto avrà, se ’l mio pensier non falle,
girando a i fianchi urtarci ed a le spalle».
12
Quindi sovra un corsier di schiera in schiera
parea volar tra’ cavalier, tra’ fanti.
Tutto il volto scopria per la visiera:
fulminava ne gli occhi e ne’ sembianti.
Confortò il dubbio e confermò chi spera
ed a l’audace rammentò i suoi vanti
e le sue prove al forte: a chi maggiori
gli stipendi promise, a chi gli onori.
13
Al fin colà fermossi ove le prime
e più nobili squadre erano accolte,
e cominciò da loco assai sublime
parlare, ond’è rapito ogn’uom ch’ascolte.
Come in torrenti da l’alpestri cime
soglion giù derivar le nevi sciolte,
così correan volubili e veloci
da la sua bocca le canore voci.
14
«O de’ nemici di Giesù flagello,
campo mio, domator de l’Oriente,
ecco l’ultimo giorno, ecco pur quello
che già tanto bramaste omai presente.
Né senza alta cagion ch’il suo rubello
popolo or si raccolga il Ciel consente:
ogni vostro nimico ha qui congiunto
per fornir molte guerre in un sol punto.
15
Noi raccorrem molte vittorie in una,
né fia maggiore il rischio o la fatica.
Non sia, non sia tra voi temenza alcuna
in veder così grande oste nimica,
ché discorde fra sé mal s...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR Rizzoli
  3. Frontespizio
  4. Sommario
  5. Introduzione
  6. Canto Primo
  7. Canto Secondo
  8. Canto Terzo
  9. Canto Quarto
  10. Canto Quinto
  11. Canto Sesto
  12. Canto Settimo
  13. Canto Ottavo
  14. Canto Nono
  15. Canto Decimo
  16. Canto Undicesimo
  17. Canto Dodicesimo
  18. Canto Tredicesimo
  19. Canto Quattordicesimo
  20. Canto Quindicesimo
  21. Canto Sedicesimo
  22. Canto Diciassettesimo
  23. Canto Diciottesimo
  24. Canto Diciannovesimo
  25. Canto Ventesimo
  26. Bibliografia Essenziale
  27. Tavola Delle Abbreviazioni Bibliografiche