L'uomo della sabbia e altri racconti
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L'uomo della sabbia e altri racconti

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'uomo della sabbia e altri racconti

Informazioni su questo libro

Sogni, allucinazioni, angosce, follie frantumano la realtà, rivelando le forze oscure della psiche. È il mondo di Hoffmann, grande figura del romanticismo tedesco, amato da Freud, Baudelaire, Dostoevskij.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804297307
eBook ISBN
9788852010804

MASTRO MARTINO IL BOTTAIO E I SUOI GARZONI

Benevolo lettore, quando vai passeggiando per una città dove i magnifici monumenti ti mostrano le eloquenti testimonianze dello splendore, della devota solerzia, della veracità di un’epoca ormai trascorsa, certo anche a te si aprirà il cuore a una mestizia piena di strane sensazioni.
Non hai l’impressione forse di entrare in una casa abbandonata?
Lì, sul tavolo c’è ancora aperta la Sacra Bibbia che il padre di famiglia era solito leggere, alla parete è ancora appeso il tessuto riccamente lavorato che la padrona di casa aveva portato a termine; preziosi doni dell’ingegnosità umana, relegati nelle solennità, stanno sparsi nei lindi armadi. Sembra che da un momento all’altro stia per apparire una padrona di casa pronta a farti un’accoglienza cordiale. Ma invano attendi coloro che l’inarrestabile ruota del tempo ha travolto e allora ti abbandoni al dolce sogno che ti rimette in contatto con gli antichi maestri, i quali con meravigliosa efficacia ti comunicano cose che penetrano nel profondo dell’anima. E così tu puoi finalmente comprendere il significato profondo delle loro opere giacché vivi nella loro epoca ed essa, che ha saputo creare quei maestri e quelle opere, ti è divenuta familiare.
Ma ahimè, non avviene forse che le belle immagini di sogno, proprio nel momento in cui credi di stringerle con braccia amorose, se ne fuggono timidamente sulle luminose nubi del mattino dinanzi alla rumorosa attività del giorno e tu allora insegui con gli occhi bruciati dalle lacrime quello splendore tremolante che sempre più va impallidendo? Così, al duro contatto della vita che fluttua attorno a te, ti svegli come da un bel sogno e null’altro rimane in te se non la profonda nostalgia che con un dolce brivido scuote il tuo petto.
Tali erano le sensazioni, carissimo lettore, che si affollavano in colui che per te scrive questi fogli ogniqualvolta si metteva a passeggiare per la famosa città di Norimberga. Ora indugiando dinanzi alla mirabile architettura della fontana in piazza Mercato, ora ammirando il sepolcro in S. Sebaldo, o il tabernacolo in S. Lorenzo, oppure contemplando al castello o al palazzo comunale i grandi capolavori di Albrecht Dürer, egli sempre si sentiva afferrare dal dolce sogno che lo trasportava entro la magnificenza dell’antica città imperiale. E pensava ai candidi versi di Padre Rosenblüth:
O Norimberga, nobile contrada,
la freccia del tuo onore ha colto nel segno,
dalla tua saggezza essa è scoccata
e la verità è germogliata in te.
E in tal modo parecchi quadretti della bella vita cittadina di quel tempo, dove l’arte e l’industria si davano felicemente la mano, emersero limpidi in tutta la loro luminosità e gli si impressero nell’anima.
Permetti ora, carissimo lettore, che io ti offra uno di questi quadretti. Forse seguirai la descrizione con vero piacere e forse tu stesso avrai l’impressione di essere di casa presso mastro Martino e sosterai volentieri presso i suoi tini e i suoi bricchi. In questo caso accadrà davvero ciò che l’autore di questi fogli desidera di tutto cuore.
In qual modo il signor Martino fu eletto decano e come ringraziò
Il primo maggio del 1580, l’onorevole corporazione dei bottai e tinai della libera città di Norimberga aveva tenuto, secondo le antiche abitudini e costumanze, la sua solenne adunanza. Poco tempo prima era morto uno dei decani per cui bisognava eleggerne uno nuovo. La scelta cadde su mastro Martino.
In verità nessuno poteva eguagliarlo nella costruzione delle botti, robuste e leggiadre nello stesso tempo, nessuno era più bravo di lui nel conservare il vino nelle cantine, per cui tra i suoi clienti vi erano i più distinti signori della città: egli viveva perciò in pieno benessere per non dire nella ricchezza.
Come mastro Martino fu eletto, il consigliere municipale Jakobus Paumgartner, rettore della corporazione così parlò:
«Avete fatto molto bene, amici miei, a eleggere mastro Martino a vostro capo: la carica infatti non poteva capitare in migliori mani. Mastro Martino è altamente stimato da tutti quelli che conoscono la sua abilità e la sua vasta esperienza nell’arte di conservare e di fare invecchiare il vino. La sua attività, la sua vita semplice e pia nonostante le ricchezze possono certo essere prese a modello. A voi perciò, mastro Martino, nostro degno decano, infiniti complimenti!»
E così dicendo Paumgartner si alzò e fece alcuni passi avanti a braccia tese aspettando che mastro Martino gli venisse incontro. Questi appoggiandosi con forza sui braccioli della sedia si alzò con quella lentezza e con quella fatica che il suo ben nutrito corpo imponeva. Poi con altrettanta lentezza si mosse verso l’abbraccio affettuoso di Paumgartner, contraccambiandolo però appena appena.
«Beh» fece Paumgartner un poco sorpreso «c’è qualcosa che non va in questa vostra elezione a nostro decano?»
Mastro Martino, con un gesto che gli era solito, incassò la testa nelle spalle, tamburellò con le dita sul grosso ventre, si guardò attorno con occhi furbi, il labbro inferiore sporgente, poi rivolgendosi a Paumgartner disse:
«Mio degno signore, come può essere che io non giudichi giusto ciò che mi spetta? Chi mai può rinunciare alla ricompensa dovutagli per un lavoro ben fatto, chi mai scaccerà il debitore che si fa vivo per saldare finalmente il suo debito?... Ehi, voi, cari amici» (e così dicendo si volse verso i maestri che sedevano tutto attorno) «vi è venuta finalmente l’idea che lo debba essere il decano della vostra onorabile corporazione!... Che volete voi da un decano? Deve essere veramente il più abile nel suo mestiere? Allora andate a vedere quella mia enorme botte tutta tirata a martello e senza fuoco, il mio vero capolavoro, e ditemi se qualcuno di voi può vantarsi di avere mai fatto qualcosa di altrettanto bello e robusto... Desiderate poi che il decano possegga denaro e beni? Venite allora a casa mia e io vi aprirò tutte le mie casse e vi diletterete alla visione dell’oro e dell’argento... Il decano deve essere onorato da tutti, signori e umili? Chiedetelo allora al nostro consigliere, chiedetelo ai principi e ai signori che abitano attorno alla nostra città di Norimberga, chiedetelo al vescovo di Bamberg, chiedetelo a tutti costoro che cosa pensano di mastro Martino. Bene! Penso che difficilmente sentirete note di biasimo.»
Detto questo il signor Martino si batté piacevolmente il grosso ventre e sorridendo di compiacimento con gli occhi socchiusi, mentre il silenzio generale era interrotto soltanto qua e là da significative tossettine, continuò: «Ma io so benissimo che non devo solo congratularmi con voi perché il Signore al momento dell’elezione vi ha illuminato la mente... Infatti quando io ricevo la ricompensa per il lavoro, quando il debitore mi paga, allora firmo la ricevuta m questo modo: “Tommaso Martino, mastro bottaio, pagato, ringrazia”. Perciò siate con tutto il cuore ringraziati, in quanto, eleggendomi vostro decano, avete estinto un debito. Per il resto vi prometto che reggerò la mia carica con tutta fedeltà e onestà. Se sarà necessario, sarò pronto a portare con il consiglio e con l’azione il mio aiuto alla corporazione e a ognuno di voi per quanto me lo permettano le mie forze. Mi preoccuperò di mantenere la nostra rinomata istituzione in quell’onore e in quella dignità in cui si trova oggi... Vi invito, illustre consigliere, amici e maestri, a un allegro pranzo per la prossima domenica. Ora con animo allegro e con in mano un buon bicchiere di Hocheimer o di Johannisberger o di qualsiasi altro vino della mia fornita cantina riflettiamo sulle cose più immediate che dobbiamo fare per il bene comune. Di tutto cuore siete invitati».
I visi degli onorevoli maestri, che si erano notevolmente oscurati durante l’orgoglioso discorso di mastro Martino, ora si rasserenarono e al profondo silenzio seguì un gioioso cicaleccio in mezzo a cui risaltarono gli alti meriti del signor Martino e della sua scelta cantina.
Tutti promisero di essere presenti la domenica successiva, tesero la mano al neoeletto decano che cordialmente la strinse premendosi anche un po’ al ventre questo o quel maestro come se volesse abbracciarlo.
Ciò che in seguito accadde nella casa di mastro Martino
Il consigliere Jakobus Paumgartner per tornare a casa sua doveva passare dinanzi alla dimora di mastro Martino. Quando, trovandosi dinanzi alla porta di casa di quest’ultimo, Paumgartner fece l’atto di proseguire, mastro Martino si tolse il piccolo berretto e con tutta riverenza inchinandosi nel limite del possibile disse al consigliere:
«Mio caro e degno consigliere, non disdegnate, vi prego, di entrare un’oretta nella mia povera casa. Permettete che io mi diletti e mi edifichi ai vostri saggi discorsi.»
«Eh, caro mastro Martino» rispose Paumgartner ridendo «mi trattengo volentieri da voi, ma perché dite che la vostra casa è povera? So benissimo che in fatto di sfarzo e di preziose suppellettili, nessuno dei più ricchi cittadini vi supera. Non avete forse costruito poco tempo fa un bellissimo edificio che è l’ornamento della nostra famosa città? Non parlo poi dell’arredamento, giacché nessun patrizio avrebbe da vergognarsene.»
Il vecchio Paumgartner aveva ragione: aperta infatti la porta lucente di ricche finiture in ottone, apparve uno spazioso vestibolo con il pavimento intarsiato, bei quadri alle pareti, armadi e sedie artisticamente lavorati, quasi fosse un salone. Ben volentieri ognuno seguiva l’indicazione scritta sopra una tavoletta, appesa, secondo le antiche abitudini, presso la porta:
Chi dentro vuole entrare
le scarpe deve nettare
o innanzi se le tolga
ne per questo se ne dolga.
Come deve comportarsi,
la persona intelligente
se lo porti sempre in mente.
Il giorno era caldo, l’aria nelle camere, ora che era sceso il crepuscolo, soffocante e umida: per cui mastro Martino introdusse il suo nobile ospite in una vasta e fresca stanza di soggiorno. Era quel luogo delle case dei ricchi borghesi che era ammobiliato come una cucina, ma non per essere usata bensì per essere ammirata con tutte quelle preziose suppellettili che venivano messe in mostra.
Appena entrato mastro Martino a voce alta chiamò. «Rosa, Rosa»; la porta subito si aprì e Rosa, l’unica figlia di mastro Martino, fece il suo ingresso.
Carissimo lettore, a questo punto cerca di ricordarti nel modo più vivo possibile i capolavori del nostro grande Albrecht Dürer. Possano dinanzi ai tuoi occhi animarsi a un tratto quelle meravigliose fanciulle, ricche di tanta grazia e di tanta dolcezza, così come appaiono nei suoi quadri. Pensa alla loro nobile e delicata figura, alla loro fronte arcuata, bianca come un giglio, a quell’incarnato che aleggia sopra le guance come un alito di rosa, a quelle fini labbra ardenti di un rosso ciliegia, a quegli occhi ombreggiati dalle scure ciglia che guardano attorno con espressione nostalgica come il raggio della luna attraverso il cupo fogliame; pensa ai capelli di seta ingegnosamente annodati in graziose trecce, pensa alla bellezza celestiale di quelle fanciulle, e avrai dinanzi a te la soave Rosa.
Come potrebbe il narratore descriverti altrimenti questa creatura celeste? Gli sia anche concesso di ricordare qui un giovane e valente artista nella cui anima è penetrata una scintilla ardente del buon tempo antico. Si tratta del pittore tedesco che a Roma viene chiamato Cornelius.
«Non sono né signorina né bella!» Come nei disegni di Cornelius per quella magnifica opera che è il Faust di Goethe, Margherita ci appare in atto di dire queste parole, tale era Rosa quando in atteggiamento timido e pudico doveva arginare richieste troppo ardite.
Rosa si inchinò con umiltà tutta infantile dinanzi a Paumgartner, gli prese la mano e se la portò alle labbra. Le pallide guance del vecchio signore si colorirono intensamente, e come gli ultimi raggi del sole al tramonto indorano improvvisamente il nero fogliame, così il fuoco di una gioventù ormai lontana brillò nei suoi occhi.
«Ah» disse con voce chiara Paumgartner «mio caro signor Martino, voi siete certo un benestante, un uomo ricco, ma il più bel regalo che il Signore vi ha fatto è senza dubbio la vostra deliziosa figliola Rosa. Se alla vista di questa fanciulla si dischiude il cuore a noi vecchi consiglieri, e non riusciamo a distogliere da lei i nostri deboli occhi, chi potrebbe fare una colpa ai giovani se rimangono lì di sasso quando incontrano vostra figlia per strada, oppure se in chiesa si accorgono della sua presenza e non di quella del prete o se nelle feste con gran dispetto delle altre ragazze corteggiano solo lei con sospiri, con sguardi d’amore, con paroline dolci come il miele? Insomma, mastro Martino, potete scegliervi il genero fra i nostri giovani patrizi o dovunque vogliate.»
Mastro Martino fece il viso scuro, ordinò alla figlia di portare del buon vino vecchio e appena questa tutta rossa in volto e con lo sguardo chino a terra se ne fu andata, disse al vecchio Paumgartner:
«Mio caro signore, è fuori dubbio che mia figlia sia adorna di una bellezza eccezionale e che anche in questo il cielo mi abbia fatto ricco, ma come potete dire queste cose proprio in presenza della fanciulla, soprattutto quando a me non interessa affatto avere per genero un patrizio?»
«Tacete» rispose Paumgartner ridendo «tacete, mastro Martino, quello che è nel cuore viene poi sempre in bocca... Non credete voi che anche a me il pigro sangue possa cominciare a martellare nel vecchio cuore quando vedo Rosa e voi non dovete prendervela se io apertamente vi dichiaro ciò che essa del resto già sa.»
Rosa portò il vino e due grandi bicchieri. Martino spinse nel mezzo della stanza il tavolo riccamente intarsiato. I due vecchi signori si erano appena seduti e mastro Martino aveva appena riempito i bicchieri, quando si sentì davanti alla porta uno scalpiccio di cavalli. Si ebbe l’impressione che un cavaliere si fermasse e subito infatti si sentì la sua voce nel vestibolo. Rosa scese in fretta e ritornò dicendo che si trattava del vecchio cavaliere Heinrich von Spangenberg che desiderava parlare con mastro Martino.
«Stasera siamo veramente fortunati perché è arrivato anche il più vecchio e illustre dei miei clienti. Certo avrà delle nuove ordinazioni e io dovrò fare nuove provviste.» Detto questo egli si affrettò, per quanto poteva, incontro all’ospite benvenuto.
In qual modo mastro Martino elevò l’arte sua su tutte le altre
Il vino scintillava nei bei bicchieri finemente molati e scioglieva ai tre vecchi la lingua e il cuore. L’anziano Spangenberg, che nonostante l’età era ancora animato da una giovanile vitalità, si divertiva a raccontare qualche aneddoto della sua lieta giovinezza, cosicché il ventre di mastro Martino sobbalzava per il gran ridere ed era costretto ad asciugarsi continuamente le lacrime. Anche il signor Paumgartner dimenticò più del solito la sua dignità di consigliere e se la spassava con il buon vino e con l’allegra conversazione. Ma riapparve Rosa, portando sotto il braccio una linda cesta da cui trasse la tovaglia candida e brillante come neve caduta di fresco e, spostandosi velocemente di qua e di la, allestì la tavola con ogni sorta di scelte vivande e poi con un dolce sorriso invitò i signori a non disdegnare tutte quelle pietanze che aveva frettolosamente preparato. Allora cessarono i discorsi e le risate: Paumgartner e Spangenberg non riuscivano a distogliere gli occhi dalla bella fanciulla e anche mastro Martino, affondato nella poltrona, con le mani incrociate, guardava con un sorriso compiaciuto quel suo affaccendarsi da padrona di casa. Rosa stava per allontanarsi quando il vecchio Spangenberg, come fosse stato un ragazzino, saltò su, prese la fanciulla alle spalle ed esclamò mentre le lacrime gli scendevano dagli occhi:
«O tu, deliziosa creatura del cielo, tu cara e dolce fanciulla...» e la baciò due o tre volte in fronte, poi ritornò al suo posto come assorto in profondi pensieri.
Paumgartner bevve alla salute di Rosa.
«Certo» disse Spangenberg appena Rosa fu uscita «certo, mastro Martino, il cielo vi ha dato in vostra figlia un gioiello che voi non sapete apprezzare abbastanza. Essa vi torna a grande onore e chi, a qualunque stato sociale appartenga, non ci terrebbe a diventare vostro genero?»
«Vedete» continuò Paumgartner «vedete, mastro Martino, che il nobile signore Spangenberg la pensa proprio come me?... Io vedo gia la mia bella Rosa moglie di un patrizio con un ricco diadema di perle nei suoi bei capelli biondi!»
«Cari signori» cominciò a dire mastro Martino piuttosto seccato «come potete continuare a parlare di un argomento al quale per il momento io non penso affatto? La mia Rosa ha appena diciotto anni e tenerella come è non deve ancora pensare al fidanzato Per il futuro poi mi rimetto completamente nelle mani del Signore: ma una cosa è certa, che né un patrizio né qualsiasi altro toccherà la mano di mia figlia all’infuori di quel bottaio che avrà dato prova di essere il più bravo fra tutti i maestri, naturalmente se piacerà a mia figlia, perché io non vorrei costringerla per nessuna ragione al mondo a fare qualcosa e tanto meno un matrimonio che non sia di suo gradimento.»
Paumgartner e Spangenberg si guardarono meravigliati da una tale affermazione. Alla fine Spangenberg, raschiatasi la gola, cominciò:
«Dunque vostra figlia non può sposare chi non appartenga alla vostra categoria?»
«Che Dio la guardi da ciò» rispose Martino.
«Ma» continuò Spangenberg «se un bravo e giovane maestro di una nobile arte, come per esempio un orefice o qualunque altro valente artista, volesse sposare vostra figlia e a lei piacesse enormemente, allora che fareste voi?»
E Martino gettando il capo all’indietro:
«Fatemi vedere, gli direi, mio caro giovanotto, una grande botte che voi considerate come il vostro capolavoro... e se non fosse in grado di mostrarmela gli aprirei gentilmente la porta e lo pregherei di cercare altrove.»
«Ma se» continuò Spangenberg «quel giovane amico vi dicesse: una così piccola opera non ve la posso mostrare, ma venite con me sulla piazza del mercato e guardate quella magnifica casa che innalza superbamente nei cieli le sue slanciate guglie – ebbene quello è il mio capolavoro.»
«Ah, caro signore» interruppe impaziente mastro Martino «perché vi preoccupate tanto a volermi persuadere di un’altra cosa? Mio genero deve assolutamente praticare la mia attività perché lo giudico la mia arte come la più nobile su questa terra. Credete forse che sia sufficiente per mettere assieme una botte inserire i cerchioni sopra le doghe? Non è forse già una cosa straordinaria che la nostra arte presupponga che si sappia custodire e curare quel vero dono celeste che è il buon vino affinché esso si arricchisca di tutta la forza e di tutta la dolcezza che entra in noi come un ardente spirito vitale? E ora passiamo alla costruzione vera e propria. E non dobbiamo prima prendere tutte le misure con il compasso perché l’opera riesca bene? Dobbiamo essere contemporaneamente maestri di aritmetica e artisti di geometria. Perché come potremmo altrimenti considerare la proporzione e il volume della botte? Eh, signori, mi sento ridere il cuore in petto quando metto insieme una bella botte; quando le doghe sono state opportunamente preparate e i garzoni picchiano allegramente sui cunei con le mazze: clip, clap... clip, clap... questa sì che è musica! E la mia bella costruzione eccola lì, ed è giusto che io mi guardi attorno con una punta di orgoglio quando prendo in mano lo stiletto e incido sul fondo della botte il mio onorato marchio di fabbrica, conosciuto da tutti i più bravi vinaioli. Voi parlate, caro signore, di architetti, e una bella casa è sempre un ottimo lavoro, ma se io fossi un architetto e passassi dinanzi alla mia opera e vedessi affacciato al balcone un losco individuo, un cialtrone buono a nulla, che ha acquistato la casa, proverei una vergogna immensa e per la rabbia e il dispetto mi verrebbe voglia di distruggere l’opera mia. Ma una cosa simile non può accadere per le mie costruzioni. Lì dentro vi abita lo spirito più puro che ci sia sulla terra: il nobile vino. Dio benedica i...

Indice dei contenuti

  1. L'uomo della sabbia
  2. Le avventure della notte di S. Silvestro
  3. Il consigliere Krespel
  4. La sfida dei cantori
  5. Mastro Martino il bottaio e i suoi garzoni
  6. Indice