Addio alle armi
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Addio alle armi

Ernest Hemingway, Fernanda Pivano

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  1. 364 pagine
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Addio alle armi

Ernest Hemingway, Fernanda Pivano

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Informazioni sul libro

I temi della guerra, dell'amore e della morte, che per diversi aspetti sono alla base di tutta l'opera di Hemingway, trovano in Addio alle armi uno spazio e un'articolazione particolari. È la vicenda stessa a stimolare emozioni e sentimenti collegati agli incanti, ma anche alle estreme precarietà dell'esistenza, alla rivolta contro la violenza e il sangue ingiustamente versato. La diserzione del giovane ufficiale americano conducente di autoambulanze, durante la ritirata di Caporetto, da atto apparentemente "inconsulto" viene rivelandosi, col ricongiungimento tra il protagonista e la donna della quale è innamorato, una condanna di quanto di inumano appartiene alla guerra. Ma anche l'amore, in questa vicenda segnata da una tragica sconfitta della felicità, rimane un'aspirazione che l'uomo insegue disperatamente, prigioniero di forze misteriose contro le quali sembra inutile lottare.

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Informazioni

LIBRO SECONDO

XIII

Arrivammo a Milano la mattina presto e ci scaricarono allo scalo merci. Un’ambulanza mi condusse all’ospedale americano. Andando in ambulanza coricato sulla barella non riuscivo a capire in che parte della città stessi passando, ma quando scaricarono la barella vidi la piazza di un mercato e una bottiglieria aperta con una ragazza che spazzava. Stavano lavando la strada e c’era odore di primo mattino. Posarono la barella ed entrarono. Il portiere uscì con loro. Aveva i baffi grigi, un berretto da portinaio ed era in maniche di camicia. La barella non entrava nell’ascensore e discussero se era meglio togliermi dalla barella e salire in ascensore o portare la barella su per le scale. Ascoltai la loro discussione. Decisero per l’ascensore. Mi levarono dalla barella. «Adagio» dissi. «Fate piano.»
In ascensore eravamo pigiati e quando mi piegarono le gambe il dolore fu molto forte. «Distendetemi le gambe» dissi.
«Non possiamo, signor tenente, non c’è spazio.» L’uomo che disse questo mi sorreggeva col braccio e il mio braccio era intorno al suo collo. Il suo alito mi arrivava in faccia acre di aglio e vino rosso.
«Fa’ piano» disse l’altro.
«Figlio di puttana chi non fa piano!»
«Fa’ piano ti dico» ripeté l’uomo che mi teneva i piedi.
Vidi il portiere chiudere le porte dell’ascensore e tirare il cancello e schiacciare il bottone del quarto piano. Il portiere aveva l’aria preoccupata. L’ascensore saliva lentamente.
«Pesante?» chiesi all’uomo dell’aglio.
«Per niente» disse. Aveva la faccia sudata e grugnì. L’ascensore continuò a salire e si fermò. L’uomo che mi teneva i piedi aprì la porta e uscì. Eravamo su un ballatoio. C’erano parecchie porte con le maniglie d’ottone. L’uomo che mi teneva i piedi schiacciò un bottone che fece suonare un campanello. Lo udimmo dentro la porta. Non venne nessuno. Poi arrivò il portiere dalle scale.
«Dove sono?» chiesero i portaferiti.
«Non lo so» disse il portiere. «Dormono di sotto.»
«Cerca qualcuno.»
Il portiere suonò il campanello, poi bussò alla porta, ed entrò. Quando ritornò c’era con lui una donna anziana con gli occhiali. Aveva i capelli spettinati e mal appuntati ed era vestita da infermiera.
«Non capisco» disse. «Non capisco l’italiano.»
«Io so l’inglese» dissi. «Vogliono mettermi in qualche posto.»
«Non ci sono stanze pronte. Non si aspettavano pazienti.» Si ravviò i capelli e mi guardò con lo sguardo miope.
«Dica in che stanza mi possono mettere.»
«Non lo so» disse. «Non si aspettavano pazienti. Non posso metterla in nessuna stanza.»
«Qualunque stanza va bene» dissi. Poi al portiere, in italiano: «Cerca una stanza vuota».
«Sono tutte vuote» disse il portiere. «Lei è il primo paziente.» Teneva il berretto in mano e guardò l’infermiera anziana.
«Per l’amor del buon Dio mettetemi in una stanza.» Con le gambe piegate il dolore era via via cresciuto e me lo sentivo pulsare nell’osso. Il portiere entrò seguito dalla donna dai capelli grigi, poi tornò di corsa. «Seguitemi» disse. Mi portarono per un lungo corridoio in una stanza con le persiane chiuse. C’era odore di mobilia nuova. C’era un letto e un grande armadio con lo specchio. Mi posarono sul letto.
«Non posso mettere le lenzuola» disse la donna. «Le lenzuola sono chiuse a chiave.»
Non risposi. «C’è del denaro nella mia tasca» dissi al portiere. «Nella tasca abbottonata.» Il portiere prese il denaro. I due portaferiti erano in piedi accanto al letto col berretto in mano. «Prendi cinque lire per loro e cinque per te. I documenti sono nell’altra tasca. Dalli all’infermiera.»
I portaferiti salutarono e ringraziarono. «Arrivederci» dissi «e tante grazie.» Salutarono di nuovo e uscirono.
«Quei documenti» dissi all’infermiera «descrivono il mio caso e la cura già eseguita.»
La donna li prese e li guardò attraverso gli occhiali. C’erano tre fogli ed erano piegati. «Non so che cosa fare» disse. «Non so leggere l’italiano. Non posso far niente senza gli ordini del medico.» Incominciò a piangere e mise i fogli nella tasca del grembiule. «Lei è americano?» chiese piangendo.
«Sì. Per favore, metta i documenti sul tavolo vicino al letto.»
La stanza era scura e fresca. Dal letto vedevo il grande specchio dall’altra parte della stanza ma non potevo vedere ciò che rifletteva. Il portiere era in piedi accanto al letto. Aveva una faccia simpatica ed era molto gentile.
«Puoi andare» gli dissi. «Anche lei può andare» dissi all’infermiera. «Come si chiama?»
«Mrs Walker.»
«Può andare, Mrs Walker, credo che dormirò.»
Rimasi solo nella stanza. Era fresca e non aveva odore d’ospedale. Il materasso era sodo e comodo e rimasi disteso senza muovermi, respirando appena, felice nel sentir diminuire il dolore. Dopo un po’ avrei voluto un sorso d’acqua e trovai un campanello attaccato a un cordone accanto al letto e suonai. Ma non venne nessuno. Mi addormentai.
Quando mi svegliai mi guardai attorno. Dalle persiane entrava il sole. Vidi il grande armadio, le pareti nude e due seggiole. Le gambe nelle bende sudice sporgevano dal letto. Feci attenzione a non muoverle. Avevo sete e cercai il campanello e schiacciai il bottone. Udii aprirsi la porta e guardai ed era un’infermiera. Era giovane e carina.
«Buon giorno» dissi.
«Buon giorno» disse, e si avvicinò al letto. «Non siamo riuscite a trovare il dottore. È andato sul lago di Como. Nessuno sapeva che dovesse arrivare un paziente. Che cos’ha?»
«Sono ferito. Alle gambe e ai piedi e anche alla testa.»
«Come si chiama?»
«Henry. Frederic Henry.»
«Ora la lavo. Ma non possiamo far niente alle bende finché non viene il dottore.»
«Miss Barkley è qui?»
«No. Non c’è nessuno con questo nome.»
«Chi era la donna che piangeva quando sono arrivato?»
L’infermiera rise. «È Mrs Walker. Faceva il turno di notte e si era addormentata. Non aspettava nessuno.»
Mentre chiacchieravamo mi spogliava e, quando fui tutto spogliato tranne per le bende, mi lavò con grande garbo e delicatezza. Era molto bello sentirsi lavare. Sulla testa avevo una benda ma lei lavò tutto intorno all’orlo.
«Dove è stato ferito?»
«Sull’Isonzo, a nord di Plava.»
«Dov’è?»
«A nord di Gorizia.»
Mi accorsi che nessuno di questi luoghi aveva un significato per lei.
«Soffre molto?»
«No. Adesso non molto.»
Mi mise un termometro in bocca.
«Gli italiani lo mettono sotto il braccio» dissi.
«Non parli.»
Quando tolse il termometro lo lesse e poi lo scosse.
«Che temperatura ho?»
«Non dovrebbe saperlo.»
«Me lo dica.»
«È quasi normale.»
«Non ho mai la febbre. Ho anche le gambe piene di ferro vecchio.»
«Cosa vuole dire?»
«Sono piene di schegge di bombarda, vecchie viti e molle di letto e oggetti vari.»
Scosse il capo e sorrise.
«Se avesse corpi estranei nelle gambe darebbero infiammazione e avrebbe la febbre.»
«Bene» dissi. «Vediamo che cosa ne viene fuori.»
Uscì dalla stanza e ritornò con la vecchia infermiera del mattino presto. Fecero insieme il letto con me dentro. Mi riuscì nuovo, e mi parve un procedimento mirabile.
«Chi è la responsabile, qui?»
«Miss Van Campen.»
«Quante infermiere ci sono?»
«Solo noi due.»
«Non ce ne saranno altre?»
«Ne sta arrivando qualcuna.»
«Quando arrivano?»
«Non lo so. Fa molte domande, per essere malato.»
«Non sono malato» dissi. «Sono ferito.»
Avevano finito di rifare il letto e io ero disteso con un dolce lenzuolo pulito sotto di me e un altro lenzuolo sopra. Mrs Walker uscì e ritornò con una giacca di pigiama. Me la misero addosso e mi sentii molto pulito e molto vestito.
«Siete molto gentili con me» dissi. L’infermiera che si chiamava Miss Gage fece una risatina. «Potrei avere un sorso d’acqua?» chiesi.
«Certo. Poi avrà la colazione.»
«Non voglio la colazione. Volete aprirmi le imposte?»
La luce era fioca nella stanza e quando le imposte furono aperte c’era la luce ...

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