
- 340 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La nuova colonia. Lazzaro. I giganti della montagna
Informazioni su questo libro
Dall'atmosfera brechtiana della Nuova colonia alla materia religiosa di Lazzaro, fino all'incompiuto I giganti della montagna: le opere raccolte in questo volume - la cosiddetta "trilogia del mito" - concludono la parabola artistica e ideologica di Luigi Pirandello. Tra le pagine ritroviamo tratti comuni a tutta la produzione teatrale dell'autore, come l'arte di disegnare le figure con vivide tinte e tratto graffiante, e nuove sfumature di pensiero, declinate nei tre piani simbolici dell'utopia socio-politica, della fede e dell'arte. La curatela di Elena Sbrojavacca, appositamente rinnovata per questa edizione, dona valore aggiunto all'opera e conduce il lettore alla scoperta delle più tipiche suggestioni del teatro pirandelliano.
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Informazioni
LA NUOVA COLONIA
INTRODUZIONE
Genesi, storia e fortuna
Pirandello scrive La nuova colonia tra l’estate del 1926 e i primi mesi del 1928, nella fase conclusiva dell’esperienza con la compagnia del Teatro d’Arte. Il soggetto però si trova nelle sue linee essenziali già in Suo marito – pubblicato nel 1911 ma scritto nel 1909 e concepito nel 1905 –, come un dramma della protagonista del romanzo, Silvia Roncella; tuttavia, il rapporto fra i due testi si esaurisce nello spunto: la trama e gli esiti sono estremamente diversi. Una parte della critica vi ha individuato dei punti di contatto con La figlia di Iorio di d’Annunzio, che Pirandello metterà in scena nel 1934, soprattutto per la caratterizzazione della figura femminile, la peccatrice redenta, che presenta, come la Mila dannunziana, una propensione al sacrificio e al servizio.
Dal 1921 Pirandello comincia a parlarne nelle interviste come di un’opera in elaborazione; la fase conclusiva della sua stesura risale comunque al 1928, in un periodo di pausa dalle attività della Compagnia. Nelle settimane precedenti la prima, che avrà luogo il 24 marzo 1928 al Teatro Argentina di Roma, viene montata un’importante campagna stampa: i giornalisti sono invitati a vedere le prove, e inizia a crearsi una grande aspettativa nei confronti dello spettacolo, anche per la fuoriuscita di indiscrezioni sui lavori della Compagnia – per esempio, sulle scenate di Pirandello ai tecnici e agli attori. Per le scenografie, Pirandello si affida a Virgilio Marchi, fra i più grandi esperti di architettura teatrale dell’epoca. La messinscena è costosissima e molto complicata, perché Pirandello esige una resa massimamente realistica di tutti gli ambienti del dramma. I prezzi dei biglietti sono alle stelle, e ciononostante lo spettacolo sbanca al botteghino. In un’intervista con Giuseppe Patanè, a due mesi dalla prima, Pirandello anticipava l’intenzione di portare in scena un se stesso inedito, meno allusivo e cerebrale, in una storia piena di passioni (cfr. IP: 392). Questi gli attori dei ruoli principali: Marta Abba interpreta La Spera, Lamberto Picasso Currao, Fernando Solieri Crocco, Arnaldo Martelli Tobba, Rina Franchetti Dorò. Le aspettative del pubblico vengono in parte disattese, e all’indomani dell’andata in scena non mancano le critiche: il biasimo va alla recitazione degli attori, in maniera particolare a Marta Abba; nonostante in quel periodo l’attrice sia fra le più amate della scena nazionale, infatti, la sua performance nel ruolo di protagonista non convince. Non viene inoltre apprezzata la concitazione dei momenti corali, e, soprattutto, lascia perplessi la resa scenotecnica del cataclisma finale, con l’inabissamento dell’isola: Pietro Solari la definisce «misera e grottesca», ma specifica che non ne attribuisce la colpa a Marchi (sottintendendo che la negligenza sia della regia pirandelliana; cfr. MN III: 765-766). In effetti, Marchi aveva suggerito a Pirandello di rendere l’effetto del terremoto in maniera simbolica, usando strategicamente le luci e il calo del sipario. Questi aveva però rifiutato la soluzione, che non soddisfaceva il suo desiderio di realismo. In ogni caso, lo spettacolo segna una svolta nella storia della compagnia del Teatro d’Arte per l’attenzione dedicata all’impianto scenografico. Inoltre, la critica nota da subito una nuova vena nella drammaturgia di Pirandello, in questa pièce giudicato «più poeta che filosofo» (così Renato Simoni, cfr. MN III: 767) – parere non condiviso da Pietro Melandri, che vi rinviene il «vecchio Pirandello [...] anche se meno astruso» (MN III: 768).
La nuova colonia avrà modesta fortuna scenica, anche e soprattutto per il costo della sua messinscena, ingente per le maestose scenografie e l’elevato numero di attori. Torna in teatro soltanto dieci anni dopo, al San Marco di Livorno, a opera del Dopolavoro Filodrammatico Labronico e dei cantori del Dopolavoro Pietro Mascagni, con regia di Riccardo Marchi (fratello di Virgilio) e scene di Giorgio Del Giudice. Andranno poi ricordate la realizzazione del 1940 di Anton Giulio Bragaglia al Teatro delle Arti di Roma e quella di Vittorio Viviani del 1958, per la quale Marta Abba torna a interpretare il ruolo della Spera. Nel 1975 Virginio Puecher offre una versione della pièce che mette al centro l’aspetto socio-politico del mito, con pareri contrastanti della critica. Apprezzatissima è invece la messinscena allestita nel cortile antistante la casa natale di Pirandello ad Agrigento da Andrea Camilleri, nell’agosto del 1982, durante le manifestazioni della Settimana Pirandelliana...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- LA NUOVA COLONIA
- LAZZARO
- I GIGANTI DELLA MONTAGNA
- Bibliografia
- Cronologia di Luigi Pirandello
- Copyright