LETTERA OTTAVA
NORME O REGOLA PER LE MONACHE
Abbiamo esaudito, come ci è stato possibile, la tua prima richiesta. Ora dobbiamo, se piace a Dio, occuparci della seconda, in modo da esaudire completamente il desiderio tuo e delle tue figlie.
Seguendo l’ordine in cui avete formulato le vostre richieste, dobbiamo scrivere e poi consegnarvi delle norme per la vostra vita monastica, quasi una Regola. Così potrete avere e seguire una giusta Regola fissata sulla carta, in modo più sicuro che basandovi sulla consuetudine. Abbiamo deciso di riunire tutte le norme, raccolte grazie al luminoso appoggio della ragione in parte tra le buone consuetudini, in parte tra le testimonianze della Scrittura, in una sola Regola perché vogliamo decorare il tempio spirituale di Dio, cioè voi, adornarlo con splendide pitture e unire parti incomplete fino a comporre una singola opera.1 Imiteremo il pittore Zeusi:2 affrescheremo questo tempio spirituale come quel pittore affrescò il tempio materiale. Gli abitanti di Crotone, come ricorda Cicerone nella sua Rhetorica,3 vollero proprio Zeusi per decorare con splendidi affreschi un tempio che veneravano con devozione. Questo pittore scelse tra il popolo cinque donne giovani e bellissime, che gli stessero vicine mentre dipingeva per aiutarlo a svolgere meglio il suo compito. Infatti, guardando le cinque modelle avrebbe potuto ispirarsi alla loro bellezza. Due motivi rendono credibile questo racconto: il primo perché, come ricorda Cicerone, quel pittore era molto abile nel dipingere le donne. Inoltre, la figura di una giovane donna è ritenuta per natura più elegante e più amabile di quella di un uomo. Zeusi scelse diverse giovani donne perché, come dice ancora Cicerone, era sicuro di non poter trovare una sola giovane ugualmente bella in ogni parte del suo corpo. La natura, infatti, non riunisce mai in una sola donna così tanta bellezza da renderla ugualmente perfetta sia nel viso che nel fisico. La natura non dona mai uguale perfezione ad ogni parte di uno stesso corpo quasi che, dando ad una sola persona ogni bellezza, poi non ne avesse più da donare agli altri esseri umani.
Noi vogliamo dipingere la bellezza dell’anima e descrivere la perfezione della sposa di Cristo. Se terrete sempre davanti ai vostri occhi quest’affresco, potrete riconoscervi la vostra virtù oppure i vostri peccati, come nello specchio di una vergine spirituale. Così abbiamo deciso di regolare la vostra vita comunitaria scegliendo tra i molti scritti dei santi Padri e tra le migliori consuetudini dei monasteri alcune norme. Le sceglierò così, come mi verranno in mente e raccoglierò in un unico mazzo tutto ciò che mi sembrerà adatto alla vostra vita religiosa. Non sceglierò le norme destinate a voi solo tra le Regole dei monasteri femminili ma anche tra quelle dei monasteri maschili. Infatti, tutti i precetti ai quali siamo vincolati noi uomini riguardano anche voi, poiché siete unite a noi dal nome e dal voto di castità. Allora, con questi precetti, come se scegliessimo dei fiori coi quali adornare i molti gigli della vostra castità, ci impegneremo per descrivere la vergine di Cristo molto più di quanto fece Zeusi per dipingere l’immagine di un idolo. Quel pittore credette che cinque vergini fossero sufficienti per imitarne la bellezza. Noi invece, fiduciosi nell’aiuto divino, speriamo di potervi mandare una breve opera migliore di quella di Zeusi poiché possediamo una grande quantità di scritti dei Padri. Speriamo che attraverso quest’opera voi possiate eguagliare il destino e il carattere di quelle cinque vergini sagge che il Signore ci presenta nel Suo Vangelo per descrivere con una metafora le virtù delle monache, cioè delle vergini di Cristo. Grazie alle vostre preghiere, riusciremo a portare a termine questo compito proprio come vogliamo. State bene in Cristo, spose di Cristo.
Per descrivere la vostra vita monastica, renderla più salda e ordinare le norme e i tempi degli uffici divini, abbiamo deciso di dividere il nostro trattato, la nostra Regola, in tre parti che, ritengo, sono le più importanti di tutta la fede monastica; il vivere in castità e in povertà e lo sforzarsi di mantenere il silenzio. Cioè, secondo la disciplina del Signore, la regola evangelica; cingere i fianchi,4 rinunziare ad ogni cosa,5 evitare parole inutili.6
La castità è quella virtù alla quale ci vuole esortare l’apostolo Paolo con queste parole:
«Colei che non ha marito ed è vergine, pensi alle cose che appartengono a Dio per essere santa in corpo e in spirito».7
Egli parla di tutto il corpo e questo per evitare che, con parole o azioni, anche una sola parte del corpo di una vergine cada nel peccato. La santità di una vergine è spirituale solo quando la sua mente non è inquinata dal consenso al peccato e non è gonfiata dalla superbia, come invece accadde a quelle cinque vergini stolte che, uscite per vendere l’olio, rimasero chiuse fuori dalla porta.8 Quando la porta si era già chiusa, le cinque vergini stolte bussarono e gridarono:
«Signore, Signore, aprici!»,
lo sposo, senza pietà, rispose:
«In verità, vi dico che non vi conosco».9
Poi, abbandonata ogni cosa, seguiamo nudi Cristo nudo come fecero i santi apostoli, i quali non solo rinunciarono ad ogni proprietà terrena e agli affetti umani, ma rinunciarono persino alla loro volontà affinché anche noi vivessimo non seguendo il nostro arbitrio, ma governati dall’autorità dei nostri superiori e sottomessi a chi ci governa nel nome di Cristo, come fosse Cristo stesso e proprio per Cristo. Infatti Egli disse agli apostoli:
«Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me».10
Se i superiori, Dio non voglia, vivono male ma danno ordini giusti, non bisogna disprezzare la legge di Dio per il peccato di un uomo. Dio stesso, a proposito di queste cose, ordina:
«Ubbidite e fate ciò che vi viene detto; non basatevi sulle loro azioni».11
Il Signore descrive così la conversione dello Spirito dal secolo a Dio:
«Solo coloro che hanno rinunciato a tutto ciò che possiedono possono essere miei discepoli».12
E ancora:
«Se qualcuno viene da me e non odia suo padre e sua madre, la moglie e i figli, i fratelli e le sorelle e persino la sua anima, non può essere un mio discepolo».13
Odiare il padre e la madre e gli altri parenti significa non voler più seguire gli affetti terreni, così come odiare la propria anima significa non voler più seguire la propria volontà. In un altro passo Cristo dà questo insegnamento:
«Se qualcuno vuole venire con me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».14
Se infatti, dopo esserci avvicinati a Lui, desideriamo seguirLo, possiamo seguirLo soprattutto imitando l’esempio di Colui che disse:
«Non sono venuto per fare la mia volontà, ma quella di chi mi ha mandato».15
Ed è come se dicesse che ogni Sua azione è frutto della Sua obbedienza. Rinnegare se stessi significa rinunciare agli affetti terreni e alla propria volontà per sottomettersi alla volontà e alle decisioni di un altro, non più alle proprie. Significa non ricevere la propria croce da un altro, ma prenderla con le proprie mani, quella croce attraverso la quale
«il mondo è crocifisso per noi e noi lo siamo per il mondo».16
Scegliere spontaneamente di professare la fede significa proibirsi i desideri mondani e terreni, cioè proibirsi di seguire la propria volontà. Infatti gli uomini ancora legati al mondo non desiderano altro che fare ciò che vogliono. Cos’altro è la felicità terrena se non soddisfare i propri desideri, anche quando ottenere ciò che vogliamo significa affrontare grandi fatiche o pericoli? E cosa può significare portare la propria croce, cioè sopportare le difficoltà, se non fare qualcosa contro la nostra volontà quando farlo è facile e utile per noi? Un altro Gesù,17 molto inferiore a Cristo, ci ricorda queste cose, ammonendoci nell’Ecclesiastico:
«Non seguire le tue passioni e frena i tuoi desideri. Se l’avidità domina la tua anima, sarai schernito dai tuoi nemici».18
Quando rinunziamo completamente sia alle nostre...