Professione reporter
eBook - ePub

Professione reporter

Il giornalismo d'inchiesta nell'Italia del dopoguerra

  1. 650 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Professione reporter

Il giornalismo d'inchiesta nell'Italia del dopoguerra

Informazioni su questo libro

Un ritratto talora imprevedibile del nostro Paese, e al tempo stesso un'impietosa denuncia di antichi vizi e inedite magagne: cos'è cambiato in Italia e quali sono invece i problemi a cui pare non esserci rimedio? Corruzione, cattiva amministrazione, disastri ecologici, criminalità, morti bianche. La cronaca dettagliata si fa racconto in questa antologia di inchieste realizzate negli ultimi cinquant'anni da giornalisti e scrittori italiani e, attraverso i suoi testimoni, diventa storia. Dalla politica all'economia, al costume, una cruda radiografia di abusi, inefficienze e potenzialità inespresse.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Professione reporter di AA.VV. in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817026321
eBook ISBN
9788858651582
Quarta parte
1968-1980
La notte del 15 gennaio 1968 un terremoto devasta la valle del Belice, all’incrocio delle provincie di Palermo, Trapani e Agrigento. Negli stessi giorni, al Nord, iniziano le occupazioni delle università e cresce il malcontento in fabbrica.
Le elezioni politiche del 19 maggio non portano bene ai socialisti che, appena riunificati, perdono più di cinque punti percentuali. Ritirano quindi il sostegno a Moro, prima di divedersi l’anno seguente sotto le due vecchie insegne (Psdi-Psi). Tocca al democristiano Giovanni Leone formare un governo monocolore che resta in carica qualche mese, per poi lasciare spazio al primo esecutivo di Mariano Rumor, di centrosinistra.
In agosto i cingolati sovietici entrano a Praga per reprimere la rivolta cecoslovacca. Il 2 dicembre la polizia spara ad Avola su un gruppo di braccianti: due le vittime. E poi arrivano le prime bombe. Il 25 aprile del 1969 un ordigno esplode al padiglione della Fiat alla Fiera campionaria di Milano. Accade lo stesso tra l’8 e il 9 agosto su otto treni diretti in diverse zone d’Italia. Il Parlamento ha già istituito la scuola materna, Giorgio Almirante è eletto segretario del Msi al posto di Arturo Michelini e alcuni dissidenti comunisti (tra i quali, Rossana Rossanda, Luigi Pintor e Valentino Parlato), in polemica con la linea filosovietica fondano «il manifesto». Accusati di frazionismo, sono espulsi dal partito. La Corte costituzionale sentenzia che l’adulterio della donna non è più punibile. È depennato anche il reato di concubinato e di adulterio e per la prima volta tutti i diplomati possono accedere all’università.
Datata 12 dicembre 1969, la strage di Piazza Fontana, che segna l’inizio della cosiddetta strategia della tensione. Alla banca dell’Agricoltura di Milano una bomba fa 17 morti e 90 feriti. Tra gli altri, la polizia interroga gli anarchici Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli, che dopo un lungo interrogatorio precipita da una finestra. Alla notizia della morte, si scatena una violenta campagna-stampa, che accusa il commissario Luigi Calabresi di esserne l’assassino. Un’inchiesta della magistratura proverà la sua innocenza. Calabresi sarà ucciso il 17 maggio di tre anni dopo. Il 20 maggio del 1970 è approvato lo Statuto dei lavoratori. Dopo due governi Rumor, Emilio Colombo forma un altro esecutivo di centro-sinistra e a dicembre è approvata la legge sul divorzio (che sarà confermata dal referendum del maggio 1974). Dello stesso mese, il tentativo di colpo di Stato di Juno Valerio Borghese, ex comandante della X Mas. Al Quirinale è eletto il democristiano Giovanni Leone; a Palazzo Chigi Giulio Andreotti succede a Emilio Colombo. Il 14 marzo 1972, durante la preparazione di un’azione di sabotaggio ai piedi di un traliccio di Segrate, muore l’editore Giangiacomo Feltrinelli. Enrico Berlinguer è nominato segretario di un Pci che nei mesi successivi sarà sempre più critico nei confronti di Mosca, fino a dichiarare di sentirsi più protetto sotto lo scudo Nato. È la premessa alla svolta dell’anno dopo, quando il leader comunista teorizzerà «il compromesso storico», abbandonando ogni velleità «alternativista».
Tra la primavera e l’estate del 1972 si avvicendano due governi Andreotti e a Peteano, nel goriziano, in un attentato di matrice fascista muoiono tre carabinieri. Rumor è per la quarta volta premier, precipitano gli investimenti (-40%), la produttività e l’occupazione. Ed è austerity.
Mentre a Napoli scoppia il colera (agosto 1973), a Fiumicino – è il 17 dicembre – un gruppo di palestinesi attacca un aereo del Panam. Catturano quattordici ostaggi, poi fuggono a bordo di un velivolo della Lufthansa con destinazione il Kuwait (trentadue, i morti).
Dopo il varo del quinto esecutivo Rumor, il 18 aprile 1974 le Br sequestrano il giudice genovese Mario Sossi. Chiedono il rilascio dei componenti del «XXII ottobre», un gruppo a metà strada tra eversione e criminalità. Lo Stato tratta, Sossi viene liberato ma il procuratore generale Francesco Coco si oppone (morirà per mano brigatista l’8 giugno 1976).
Di quell’anno sono altre due stragi. Il 28 maggio una bomba a Piazza della Loggia di Brescia fa 8 morti e un centinaio di feriti. Il 3 agosto un ordigno esplode sul treno Italicus della linea Roma-Monaco, nei pressi di Bologna (12 le vittime).
L’8 settembre l’unità antiterroristica guidata dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa arresta i capi Br Renato Curcio (che evaderà dal carcere il 14 del mese successivo, prima di essere nuovamente catturato a gennaio del 1976) e Alberto Franceschini.
Rumor si dimette, viene spiccato mandato di cattura contro il banchiere Michele Sindona e si forma il quarto governo Moro (Dc-Pri, con appoggio di socialisti e socialdemocratici). Mentre continuano le aggressioni tra gli studenti di estrema destra e del Movimento studentesco, il Parlamento approva il nuovo diritto di famiglia e la legge «Reale», con la quale sono concessi poteri più ampi a polizia e magistratura. In casa democristiana, il moroteo Benigno Zaccagnini sostituisce Amintore Fanfani alla segreteria, il 10 novembre l’Italia firma il Trattato di Osimo con la Jugoslavia (chiudendo un’annosa controversia) e, dopo un quindicennio, Guido Carli lascia l’incarico di governatore della Banca d’Italia.
Dopo le battaglie per il divorzio, i radicali di Marco Pannella raccolgono le firme per legalizzare, con un referendum, l’aborto. Il Parlamento approva la depenalizzazione di droghe leggere (ma solo per uso personale). Nel febbraio del 1976, Moro vara il suo quinto governo (monocolore Dc) e l’ex presidente della Repubblica Giuseppe Saragat riprende le redini dello Psdi, subentrando a Mario Tanassi, coinvolto nell’affaire Lockheed insieme ai democristiani Luigi Gui, Mariano Rumor e Giovanni Leone. Il Parlamento autorizza la Corte costituzionale a processare Gui (che sarà assolto con formula piena) e Tanassi (che invece verrà condannato a 2 anni e 4 mesi per corruzione). Nessuna incriminazione né per Rumor né per Leone, che comunque il 15 giugno 1978 si dimette dalla presidenza della Repubblica.
Nel frattempo è caduto l’ultimo governo Moro ed è di nuovo l’ora di Giulio Andreotti, che vara un esecutivo con l’astensione congiunta di comunisti (che alle elezioni politiche del 1976 toccano il loro massimo storico), socialisti e repubblicani. Il 6 maggio, in Friuli, un terremoto provoca più di mille morti. A luglio Bettino Craxi diventa segretario dei socialisti, due mesi dopo Moro è eletto presidente della Dc.
A Torino – siamo già nel 1977 – il processo contro le Br viene sospeso dopo la morte del presidente dell’Ordine degli avvocati torinesi Fulvio Croce e delle minacce a giudici e i difensori d’ufficio. Nel mese di giugno i brigatisti gambizzano dodici giornalisti. Il 15 agosto l’ufficiale delle SS Herbert Kappler, responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, riesce a fuggire dall’ospedale Celio di Roma. Il Parlamento vara la riforma servizi segreti ed il 16 gennaio del 1978 si dimette il governo Andreotti, per formarne un nuovo, appoggiato, dopo più di trent’anni, dai comunisti. È quasi «compromesso storico». Il 16 marzo, durante il voto di fiducia, un commando delle Br rapisce Moro e uccide gli uomini della scorta. Vince il fronte della fermezza: lo Stato non tratta. Il 9 maggio una telefonata anonima informa che il corpo del presidente della Dc si trova in una Renault rossa parcheggiata in via Caetani, tra Piazza del Gesù (sede della Dc) e via delle Botteghe Oscure (sede del Pci).
Qualche giorno dopo entra in vigore la legge sull’aborto, che è legalizzato per motivi di salute, condizioni economiche, sociali, familiari, e che sarà confermato dal referendum del maggio 1981. Al Quirinale è eletto il socialista Sandro Pertini, che subentra al dimissionario Giovanni Leone. Nella città santa, si succedono tre pontefici nel giro di pochi mesi. Alla scomparsa di Paolo VI, sale al soglio Giovanni Paolo I, che muore un mese dopo la sua elezione. Il Conclave elegge Giovanni Paolo II, primo pontefice straniero dopo quasi mezzo secolo. L’Italia entra nel Sistema monetario europeo e il 20 marzo Giulio Andreotti presenta il suo quinto governo.
Il 1979 è l’anno delle prime elezioni europee – che vedono in flessione sia Dc che Pci – dell’assassinio del giornalista Mino Pecorelli e dell’operaio comunista Guido Rossa, che nei mesi precedenti aveva denunciato le infiltrazioni brigatiste in fabbrica. Il 1° gennaio 1980 scompare Pietro Nenni; cinque giorni dopo la mafia uccide il presidente della regione Sicilia, il democristiano Piersanti Mattarella. Nello stesso anno, muoiono Giorgio Amendola (storico leader della destra comunista) e Luigi Longo. Il 2 agosto, a Bologna, è di nuovo strage. Un ordigno esplode alla stazione, uccidendo 85 persone e ferendone più di 200. Un mese prima, il 27 giugno, un Dc-9 con 81 passeggeri a bordo è esploso tra Ustica e Ponza, in circostanze mai del tutto chiarite. Il 1980 si chiude con il terremoto dell’Irpinia, che il 23 novembre provoca poco meno di tremila vittime.
L’ultima giornata degli occupanti
di Franco Giustolisi
«Il Giorno», 2 marzo 1968
Roma, 1 marzo 1968. A Valle Giulia, tra Villa Borghese e la Collina dei Parioli, ha sede la facoltà di Architettura. Insieme a Lettere, è scenario di proteste ed occupazioni da diverse settimane. Il rettore decide per lo sgombero forzato. È «la battaglia di Valle Giulia»: 150 i feriti tra le forze dell’ordine, 478 tra gli studenti. 4 gli arrestati, poco più di 200 gli studenti sottoposti a fermo.
Vediamo di fare un pezzo sugli studenti, ma un pezzo «in», cioè dentro, in una loro facoltà. La facoltà è quella di Architettura considerata da sempre la più battagliera. Vado con il fotografo, «siamo del “Giorno”, ci fate entrare?» chiedo al picchetto studentesco al di là della vetrata. «Non si può» risponde a muso duro l’universitario più vicino alla porta. Tiene sulle gambe un cestino, metallico, chi entra depone la sua offerta, in monete o sigarette, per lo più cento o duecento lire. Ma quando arriva il «ricco» o ritenuto tale, si alza il coro delle pressioni «dai che tu i soldi li hai», e allora nel cestino cade la cinquecento o la mille. «Perché non si può entrare?» chiedo, deponendo a mia volta un pacchetto di sigarette nel raccogli-offerte. «Lo ha deciso l’assemblea» risponde un altro.
«Ma perché vai parlando? Lo sai che non si può» lo interrompono gli altri del picchetto. «Posso discutere con qualcuno?» «Qualcuno chi? Qui non ci sono capi.» Passa uno che conosco, riesco a tirarlo di lato, gli domando il perché del divieto: «Se n’è discusso in assemblea, io mi sono battuto per far entrare i giornali, ma la maggioranza non ha voluto, sostiene che tutti i giornali sono asserviti al capitale. Per me sono fesserie, ma l’assemblea ha deciso così. Possono entrare solo i fotografi dei giornali non reazionari, ma a pagamento: 25 mila lire». «Ma anche i fotografi saranno asserviti al capitale, non ti pare?» «Te l’ho detto, per me queste sono fesserie di fantacretini, ma la differenziazione è logica: i giornalisti possono deformare le notizie, le fotografie non possono essere deformate. E poi lo facciamo anche per evitare una speculazione interna, qualcuno degli occupanti s’è messo a fare foto che poi abbiamo visto sui giornali reazionari.» «E se cercassi di entrare passando come un fotografo? Mi metto una macchina al collo…» «Vedi un po’ tu, io non ti conosco.»
La mattina dopo un gruppo di ragazzi è sulla terrazza che gira intorno alla facoltà. Stanno facendo un gigantesco graffito sul muro rosso della facciata, dei tralci di vite, un grappolo d’uva; una mano che si tende per raccoglierlo, una figura d’uomo ancora incompiuta. Renato Guttuso è con loro, dà dei consigli, prende martello e scalpello per qualche ritocco. Sembra che l’idea sia partita dagli «Uccelli». Uno di loro, Martino Branca, 30 anni, due figli, fuori corso, prossimo alla laurea, figlio di un giudice costituzionale, è sulla scala, sta rifinendo il grappolo d’uva. Si sa molto poco sul gruppo degli «Uccelli», si dice che siano tre (ed erano tre infatti quelli che rimasero per un paio di giorni, senza che nessuno sapesse neanche il loro nome, sulla torre della Sapienza, per richiamare l’attenzione sui problemi dell’Università): Martino, Gianfranco e un terzo di cui non ricordo il nome (non potevo prendere appunti, ero lì nella mia nuova veste di fotografo, occhi sospettosi mi vigilavano). Loro tre, capelli lunghi, barba e baffi, più una decina di seguaci ancora alla fase di apprendistato. Si chiamano tra loro modulando il fischio, come un cinguettìo, battono le braccia come ali, il primo giorno di occupazione hanno dormito in un nido di frasche, sotto un albero.
Sono feriti di idee, parlano raramente: quando vedono che in assemblea si discute un po’ troppo aprono un ombrello per proteggersi dalla pioggia delle parole. Fanno gruppo a parte, «hanno finanziamenti autonomi» mi dice uno che non li vede con troppa simpatia.
L’ingresso della facoltà è tappezzato di manifesti: «Polizia non disturbare, qui si lavora», c’è un incitamento alla «guerriglia cittadina», si spiega che l’occupazione «ha carattere di lotta, non di protesta», e che si oppone un netto rifiuto «verso ogni tentativo di condizionamento e di utilizzazione da parte del potere accademico, del potere politico, degli organi di informazione di massa». Un cartello riporta un versetto del Vangelo: «… e fatta una sferza di cordicelle li scacciò tutti dal tempio, con le pecore e i buoi, sparpagliò il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i tavoli». Tre richiami avvertono che i cambiamonete sono i professori, i buoi gli assistenti e le pecore gli studenti, ovviamente quelli che non partecipano alle agitazioni.
Ma i giudizi sull’esame occupano un posto di tutto rilievo, viene definito: «una frode», «una rappresaglia», «un atto terroristico», «uno strumento di potere», «un ricatto».
Il costo di uno studente
di Giuseppe Prezzolini
«Il Resto del Carlino», 7 aprile 1968
Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, il numero degli iscritti alle università raddoppia, ma aumentano anche i costi e le contraddizioni dell’istruzione. Prezzolini ne analizza le conseguenze in un articolo in pieno 1968.
Chiesi per lettera al commercialista Padellaro: «Quanto costa, in media, uno studente di università allo Stato?». Nella polemica sugli studenti questo dato mi pareva che fosse stato trascurato. Secondo i dati che mi fornì, la spesa corrente media sostenuta per ogni studente era di lire 255.500.
Questa media proviene da dati molto disparati e si hanno per conseguenza degli estremi assai curiosi. «A titolo di esempio, nelle facoltà di Veterinaria il costo medio giungeva a 2.657 mila, mentre nella facoltà di Magistero era appena di lire 75 mila». Certamente fa impressione pensare con quanto poco denaro si possa educare un educatore e quanto ce ne voglia invece per laureare un veterinario. «Per quanto riguarda la quota di spesa media coperta dalle tasse e dai contributi, questa variava in proporzione inversa al costo medio e andava da circa il 50% delle facoltà di Magistero e di Economia e commercio al 4,6% della facoltà di Veterinaria…» Evidentemente negli ultimi dieci anni la spesa che lo Stato fa per gli studenti (ossia il regalo che lo Stato fa ad ogni studente) dev’esser diventata maggiore, sia per l’aumento dei salari sia per il deprezzamento della moneta. A questo regalo si debbono aggiungere le spese che ogni famiglia fa per mantenere lo studente agli studi. Chiedere una statistica esatta di quanti siano gli studenti che si mantengono da soli agli studi, magari facendo i servitori alla mensa degli studenti più agiati, come in America, mi pare inutile. Non ci deve essere. Ma la mia impressione fondata su osservazioni e ragionamenti è che questi studenti, che si mantengono col proprio lavoro, non sono molto numerosi. I più fanno gli impiegati, non vanno quasi mai alle lezioni, si presentano agli esami ogni tanto e prendono un diploma in molti anni. Ma la maggior parte viene mantenuta dai genitori. E anche nel caso di impiegati-studenti si tratta sempre di classe borghese o imborghesita.
Gli scioperi, le manifestazioni, le dimostrazioni, le occupazioni di sede praticate in questi tempi dagli studenti furono possibili soltanto perché gli studenti erano mantenuti in parte dallo Stato e in parte da genitori o parenti. Gli studenti sono scioperanti privilegiati. Quando l’operaio o il contadino sciopera, se non ha alle spalle una ricca organizzazione, come accade in America, deve correre il rischio di non mangiare, deve fare dei debiti, deve preoccuparsi che il padrone di casa lo butti fuori se non paga in tempo l’affitto. In molti casi lo sciopero della classe operaia o contadina è un atto eroico.
Quello degli studenti non ha nulla di eroico: è goliardico. Non mi meraviglia che in Polonia, con molta abilità, il governo comunista abbia fatto appello alle classi che lavorano con le mani contro quelli che si preparano a lavorare con la testa.
Il concetto che l’università appartenga agli studenti è un’affermazione della «nuova morale» che si sente affermata anche dai paesi sottosviluppati, i quali appena possono s’impadroniscono delle aziende che vi hanno impiantato i capitalisti e i tecnici dei paesi più progrediti. In un caso come nell’altro si reclama la proprietà di una cosa che non si è fatta per cavarne fuori un profitto. Nelle università medioevali lo studente pagava il docente. Ora le tasse (che son pagate quasi sempre dalla famiglia dello studente e non, come in molti casi in America, dallo studente stesso), non bastano a pagare le spese dell’insegnante e dell’insegnamento. Il Ministero della Pubblica istruzione non è molto bene fornito di statistiche, come abbiamo visto di sopra. Come si è saputo, il maggior difetto delle università è stato quello dei locali. Gli studenti si sono moltiplicati e le aule sono state soltanto addizionate. Quelli crescevano in ragione geometrica e queste in ragione aritmetica.
Pare che i ministri della Pubblica istruzione abbiano invitato un enorme numero di studenti che uscivano dalla scuola dell’obbligo senza preparare le aule e, aggiungiamo, i laboratori, gli strumenti, il materiale, le biblioteche corrispondenti. Forse la gestione dei ministeri sarebbe migliore se affidata a uomini pratici d’affari. Nelle università private d’America, che sono considerate le migliori, il numerus clausus è la regola generale in tutte quelle facoltà in cui il locale e il laboratorio hanno importanza. Quella frasetta latina significa soltanto questo: non invitare a pranzo otto persone se hai posto a tavola soltanto per sei. Una università che non può fornire di pestello e di mortaio (che non sono quelli di cucina) gli studenti di Chimica, non insegna chimica. Se ha posto per cinquecento studenti di Medicina, ammalati da far esaminare, aule per sentire, chiude le iscrizioni dopo cinquecento. E sceglie i cinquecento in base ai punti che hanno avuto nella scuola preparatoria. È un provvedimento aristocratico e di buon senso adottato in un paese molto più democratico dell’Italia. I diplomi delle università con numerus clausus sono più stimati di quelle che largheggiano e non scelgono i migliori studenti. Un giorno quand’ero a New York vennero a trovarmi dei laureati italiani in Medicina, che avevano ottenuto un posto di interno in alcuni degli ospedali della grande città. Uno di essi mi raccontò che appena laureato a Roma e stanco dello studio che aveva fatto, era...

Indice dei contenuti

  1. Professione reporter
  2. Copyright
  3. Un’inchiesta lunga mezzo secolo - di Beppe Benvenuto
  4. PRIMA PARTE: 1946-1954
  5. SECONDA PARTE: 1955-1962
  6. TERZA PARTE: 1963-1967
  7. QUARTA PARTE: 1968-1980
  8. QUINTA PARTE: 1981-1989
  9. Breve dizionario biografico
  10. Cenni bibliografici
  11. Indice