PROLOGO
Signori imperadori, re e duci, e tutte altre gente che volete sapere le diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d’Erminia, di Persia e di Tarteria, d’India e di molte altre provincie. E questo vi conterà il libro ordinatamente siccome messer Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v’ha di quelle cose le quali egli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e l’altre per udita, acciò che ’l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna. Ma io voglio che voi sappiate che poi che Iddio fece Adam nostro primo padre insino al dí d’oggi, né cristiano, né pagano, saracino o tartero, né niuno uomo di niuna generazione non vide né cercò tante maravigliose cose del mondo come fece messer Marco Polo. E però disse intra se medesimo che troppo sarebbe grande male s’egli non mettesse in iscritto tutte le maraviglie ch’egli ha vedute, perché chi non le sa l’appari per questo libro. E sí vi dico ched egli dimorò in que’ paesi bene ventisei anni. Lo quale poi, stando nella prigione di Genova, fece mettere in iscritto tutte queste cose a messere Rustico da Pisa, lo quale era preso in quelle medesime carcere ne gli anni di Cristo 1298.
I.
Furono due nobili cittadini di Vinegia, ch’ebbe nome l’uno messer Matteo e l’altro messere Nicolao, i quali andâro al Gran Cane signore di tutti i Tartari; e le molti novitadi che trovâro si diranno piú innanzi. E quali, giunti che fûro alla terra dov’era il Grande Cane, sentendo la loro venuta, fecesegli venire innanzi, e fecene grande allegrezza e festa, però che non avea mai piú veduto niuno latino; e domandògli dello imperatore, e che signore era, e di sua vita e di sua iustizia, e di molte altre cose di qua; e domandòli del papa e della Chiesa di Roma, e tutti i fatti e Stati di cristiani. E i due fratelli gli rispuosono bene e saviamente ad ogni sua domanda, però che sapeano bene il tartaresco.
II.
Quando lo grande signore, che Cablai (Cublai) avea nome, ch’era signore di tutti li Tartari del mondo e di tutte le provincie e regni di quelle grandissime parti, ebbe udito de’ fatti de’ latini dagli due frategli, molto gli pregò; e disse fra se stesso di volere mandare messagi a messer lo papa; e chiamò gli due frategli, pregandoli che dovessero fornire questa ambasciata a messer lo papa. Gli due frategli rispuosero: – Volentieri –. Allora lo signore fece chiamare uno suo barone che avea nome Coghotal (Cogatal) e disseli che volea ch’andasse co’ li due frategli al papa. Quegli rispose: – Volentieri, – sí come per signore. Allotta lo signore fece fare carte bollate, come li due frategli e il suo barone potessero venire per questo viaggio, e impuosegli l’ambasciata che volea che dicessero, tra le quali mandava dicendo al papa che gli mandasse sei1 uomini savi, e che sapessero bene mostrare a l’idoli e a tutte altre generazione di là che la loro legge era tutta altramenti e come ella era tutta opera di diavolo, e che sapessero mostrare per ragioni come la cristiana legge era migliore. Ancora pregò li due frategli che li dovessero recar l’olio de la lampana ch’arde al Sepolcro in Gerusalemme.
III.
COME IL GRANDE CANE
DONÒ A LI DUE FRATEGLI LA TAVOLA DE L’ORO.
Quando lo Grande Cane ebbe isposta l’ambasciata a li due frategli e al barone suo, sí li diede una tavola d’oro, ove si contenea che gli messagi, in tutte parti ove andassero, li fosse fatto ciò che loro bisognasse; e quando li messagi fûro apparecchiati di ciò che bisognava, presero comiato e missersi in via. Quando fûro cavalcati alquanti die, lo barone ch’era co’ gli frategli non potte piú cavalcare, ch’era malato, e rimase a una città [ch’ha nome Alau]2. Li due frategli lo lasciâro e missersi in via; e in tutte le parti ov’egli giugneano gli era fatto lo maggiore onore del mondo, per amore de la tavola: sí che gli due frategli giunsero a Laias. E sí vi dico ch’egli penâro a cavalcare tre anni; e questo venne, ché non poteano cavalcare per lo malo tempo e per li fiumi ch’erano grandi.
IV.
COME LI DUE FRATEGLI
VENNERO ALLA CITTÀ D’ACRI.
Or si partîro da Laias, e vennero ad Acri del mese d’aprile, nell’anno 12723, e quivi seppero che ’l papa era morto, lo quale avea nome papa Clemente. Li due frategli andâro a uno savio legato, ch’era legato per la Chiesa di Roma nelle terre d’Egitto, e era uomo di grande autoritade, e avea nome messer Odaldo (Teobaldo) da Piacenza. E quando li due frategli li dissero la cagione perché andavano al papa, lo legato se ne diede grande meraviglia; e pensando che questo era grande bene e grande onore de la cristianitade, sí disse che il papa era morto, e che elli si soferissero tanto che papa fosse chiamato, che sarebbe tosto; poscia potrebbero fornire loro ambasciata. Li due frategli, udendo ciò, pensâro d’andare in questo mezzo a Vinegia per vedere loro famiglie: allora si partîro d’Acri, e vennero a Negroponte e poscia a Vinegia. E quivi trovò messer Nicolao che la sua moglie era morta, e erane rimasto uno figliuolo di quindici anni, ch’avea nome Marco; e questi è quello messer Marco di cui questo libro parla. Li due frategli istettero a Vinegia due anni, aspettando che papa si chiamasse.
V.
COME LI DUE FRATEGLI SI PARTÎRO DA VINEGIA
PER TORNARE AL GRANDE CANE.
Quando li due frategli videro che papa no’ si facea, mossersi per andare al Grande Cane, e menârne co’ loro questo Marco, figliuolo di messer Nicolao. Partîrsi da Vinegia tutti e tre, e venero ad Acri al savio legato che v’aveano lasciato, e disseli, poscia che papa non si facea, voleano ritornare al Grande Cane, ché troppo erano istati; ma prima voleano la sua parola d’andare in Gerusalemme, per portare al Grande Cane de l’olio de la lampana del Sepolcro: e ’l legato gliele diede loro. Andâro al Sepolcro, e ebbero di quello olio, e ritornâro a lo legato. Vedendo lo legato che pure voleano andare, fece loro grande lettere al Grande Cane, come li due frategli erano istati cotanto tempo per aspettare che papa si facesse, per loro testimonianza.
VI.
COME GLI DUE FRATELLI SI PARTIRONO DA ACRI.
Ora si partirono li due fratelli d’Acri colle lettere del legato, e giunsero ad Layas. E stando in Layas vennoro novelle come questo legato, lo quale aveano lasciato in Acri, era chiamato papa: ebbe nome papa Gregorio de Piagienza. E in questo stando, questo legato mandò un messo a Layas, dietro a questi due fratelli, che tornassono adrietro. Quegli con grande allegrezza tornarono adietro in su ’n una galea armata, che fece loro apparecchiare lo re d’Ermenia. Or si tornarono gli due fratelli al legato.
VII.
COME GLI DUE FRATELLI VANNO AL PAPA.
Quando gli due fratelli vennoro ad Acri, lo papa chiamato fece loro grande onore, e ricevetteli graziosamente, e diede loro due frati, di quegli del monte del Carmine, i piue savi che fossono in quel paese, – l’uno avea nome frate Niccolaio da Vinegia4, e l’altro frate Guiglielmo da Tripoli, – e che dovessono andare con loro al Gran Cane; e diede loro carte e privilegi, e inpuose loro l’ambasciata che voleva che faciessono al Gran Cane. Data la sua benedizione a questi cinque, cioè agli due frati e agli due fratelli e a Marco figliuolo di messer Niccolò, partironsi da Acri e vennoro a Layas. Come quivi furono giunti, uno che avea nome Bondocdaire, soldano di Bambellonia, venne con grande oste sopra quella contrada, e facciendo grande guerra. Per la qual cosa li due frati ebbero paura di andare piue innanzi, e diedero le carte e brivilegi agli due fratelli, e non andarono piú oltre: e andaronsene al signore del tempio quegli due frati.
VIII.
COME GLI DUE FRATELLI
VENGONO ALLA CITTÀ DI CLEMENFU (CHEMENFU),
OV’È LO GRAN CANE.
Messer Niccolò e messer Matteo e Marco figliuolo di messer Niccolò si missono ad andare, tanto che funno giunti là ov’era il Gran Cane, ch’era inn’una città che ha nome Clemeinsu (Chemenfu), cittade molto ricca e grande. Quello che trovarono nel camino non si conta ora, perocché si conterà innanzi. E penarono ad andare tre anni, per lo mal tempo e per gli fiumi, ch’erano grandi e di verno e di state, sicché non poterono cavalcare. E quando il Gran Cane seppe che gli due fratelli venivano, egli ne menò grande gioia, e mandò loro messo incontro, bene quaranta giornate; e molto furono serviti e onorati.
IX.
COME GLI DUE FRATELLI VENNORO AL GRAN CANE.
Quando gli due fratelli e Marco giunsero alla gran città ov’era il Gran Cane, andarono al mastro palagio, ov’egli era con molti baroni, e inginocchiaronsi dinanzi da lui, cioè al Gran Cane, e molto s’umiliarono a lui. Egli li fece levare suso, e molto mostrò grande allegrezza, e domandò loro chi era quello giovane ch’era con loro. Disse messer Niccolò: – Egli è vostro uomo e mio figliuolo –. Disse il Gran Cane: – Egli sia il ben venuto, e molto mi piace –. Date ch’ebbero le carte e privilegi che recavano dal papa, lo Gran Cane ne fece grande allegrezza e domandò com’erano istati. Rispuoseno: – Messer, bene, dapoi che vi abbiamo trovato sano ed allegro –. Quivi fu grande allegrezza della loro venuta; e quanto istettero di tempo nella corte, ebbono onore piue d’altro barone.
X.
COME LO GRAN CANE MANDÒ MARCO
FIGLIUOLO DI MESSER NICCOLÒ
PER SUO MESSAGGIO.
Ora avvenne che questo Marco figliuolo di messer Niccolò, poco istando nella corte, apparò gli costumi tarteri e loro lingue e loro lettere, e diventò uomo savio e di grande valore oltra misura. E quando lo Gran Cane vide in questo giovane tanta bontà, mandollo per suo messaggio ad una terra, ove penò ad andare sei mesi. Lo giovane ritornò bene, e saviamente ridisse la ’mbasciata ed altre novelle di ciò che gli domandò, perché il giovane avea veduto altri ambasciadori tornare d’altre terre e non sapeano dire d’altre novelle delle contrade fuori che l’ambasciata; egli gli avea il signore per folli, e diceva che piue amava gli diversi costumi delle terre sapere che sapere quello per che gli avea mandato. E Marco, sappiendo questo, apparò bene ogni cosa per sapere ridire al Gran Cane.
XI.
COME MESSER MARCO TORNÒ AL GRAN CANE.
Or torna messer Marco al Gran Cane colla sua ambasciata, e bene seppe ridire quello per che egli era ito, e ancora tutte le maraviglie e le grandi e le nove cose che avea trovate. Sicché piacque al Gran Cane e a tutti i suoi baroni, e tutti lo commendarono di gran senno e di grande bontà; e dissero, se vivesse, diverrebbe uomo di grandissimo valore. Venuto di questa ambasciata, sí ’l chiamò il Gran Cane sopra tutte le sue ambasciate: e sappiate che stette col Gran Cane bene ventisette5 anni. E in tutto questo tempo non finò d’andare in ambasciate per lo Gran Cane, poiché recò cosí bene la prima ambasciata. E faceagli tanto d’onore lo signore, che gli altri baroni n’aveano grande invidia; e questa è la ragione perché messer Marco seppe piú di quelle cose, che nessuno uomo che nascesse unque.
XII.
COME MESSER NICCOLÒ
E MESSER MATTEO E MESSER MARCO
DOMANDÂRO COMMIATO AL GRAN CANE.
Quando messer Niccolò e messer Matteo e messer Marco furono tanto istati col Gran Cane, vollero lo suo commiato per tornare alle loro famiglie. Tanto piaceva il loro fatto al Gran Cane, che per nulla ragione lo voleva loro dare commiato. Ora avenne che la reina Bolgara (Bolgana), ch’era moglie d’Arcon (Argon), si morío, e la reina sí lasciò che Arcon (Argon) non potesse tôrre moglie se non di suo lignaggio; e mandò ambasciadori al Gran Cane, e furono tre, de’ quali aveano l’uno nome Oulaurai (Oulatai), e l’altro Pusciai (Apusca), l’altro Coja, con grande compagnia, che gli dovesse mandare moglie del legnaggio della reina Bolgara (Bolgana); imperocché la reina era morta e lasciò che non potesse prendere moglie altra che di suo lignaggio. E ’l Gran Cane gli mandò una giovine di quello lignaggio, e fornío l’ambasciata di coloro con grande festa e allegrezza. In quella messer Marco ...