1. Se sai che qui c’è una mano1 allora ti concediamo tutto il resto.
(Il dire che questa proposizione cosí e cosí non si può provare non significa, naturalmente, che non la si può derivare da altre proposizioni; ogni proposizione si può derivare da altre. Ma può darsi che queste non siano piú sicure della proposizione stessa). (A questo proposito c’è una curiosa osservazione di H. Newman)2.
2. Dal fatto che a me – o a tutti – sembri cosí, non segue che sia cosí.
Però si può benissimo chiedere se di questo sia possibile dubitare sensatamente.
3. Se, per esempio, un tizio dice: «Io non so se qui ci sia una mano», gli si potrebbe replicare: «Guarda un po’ meglio». – Questa possibilità del convincersi fa parte del giuoco linguistico. È uno dei suoi tratti essenziali.
4. «Io so di essere un uomo». Per vedere quanto poco chiaro sia il senso di questa proposizione, considera la sua negazione. Al massimo la si potrebbe ancora concepire cosí: «Io so di avere gli organi propri di un essere umano». (Per esempio, un cervello, che tuttavia mai nessuno ha visto). Ma che dire di una proposizione come: «Io so di avere un cervello?» Posso dubitarne? Per dubitare mi mancano le ragioni. Tutto parla in favore di ciò; e nulla parla contro. Tuttavia si può immaginare che mi facciano un’operazione e si trovi che la mia scatola cranica è vuota.
5. Se alla fin fine una proposizione possa rivelarsi falsa, dipende dalle determinazioni che considero valide per questa proposizione.
6. Ora, si può enumerare quello che si sa (come fa Moore)? Cosí, sui due piedi, credo di no. – Altrimenti le parole «Io so» sarebbero usate malamente. E attraverso questo cattivo uso della parola sembra che si mostri uno stato mentale strano ed estremamente importante.
7. La mia vita mostra che so, ossia che sono sicuro, che là c’è una sedia, una porta, e cosí di seguito. – Per esempio, dico al mio amico: «Prendi quella sedia là», «Chiudi la porta», ecc. ecc.
8. La differenza tra il concetto ‘sapere’ e il concetto ‘essere sicuro’, non è per nulla di grande importanza, tranne là dove «Io so» dovrebbe voler dire: «Non posso sbagliarmi». Per esempio, in un’aula giudiziaria in ogni mia testimonianza, invece di «Io so» si potrebbe dire «Sono sicuro». Si potrebbe persino immaginare che l’«Io so» sia vietato. [Un passo del Wilhelm Meister dove «Tu sai», o «Tu sapevi», viene usato nel senso di «Tu eri sicuro», perché le cose sono andate diversamente da come lui sapeva].
9. Ora, nella vita, mi accerto di sapere che qui c’è una mano (cioè la mia)?
10. So che qui c’è un uomo ammalato? Insensato! Seggo al suo capezzale, scruto attentamente i tratti del suo volto. – Ma allora non so che qui c’è un uomo ammalato? – Né la domanda né l’enunciato hanno senso. Non piú di quanto ne abbia: «Io sono qui», che potrei impiegare in ogni momento quando se ne presentasse l’occasione adatta. – Dunque, allora anche «2 × 2 = 4» è un non-senso e non è una proposizione aritmetica vera, tranne che in occasioni ben determinate? «2 × 2 = 4» è una proposizione vera dell’aritmetica – non «in determinate occasioni», né «sempre» – ma in cinese i fonemi, o i grafemi, «2 × 2 = 4» potrebbero avere un significato diverso, oppure potrebbero essere un palese non-senso; e da questo si vede che soltanto nell’uso la proposizione ha senso. E «Io so che qui c’è un malato», usata nella situazione che non le si adatta, ci appare, non già come un non-senso, ma anzi come un’ovvietà, soltanto perché ci si può immaginare in modo relativamente facile una situazione che le si adatti, e perché si pensa che le parole «Io so che...» siano sempre al loro posto là dove non ci sono dubbi (e dunque anche là dove l’espressione del dubbio sarebbe incomprensibile).
11. Appunto: non si vede come altamente specializzato sia l’uso di «io so».
12. Infatti «Io so...» sembra descrivere uno stato di cose [Tatbestand] che garantisce che quello che si sa è un dato di fatto [Tatsache]. Si dimentica sempre l’espressione: «Io credevo di saperlo».
13. Infatti non è vero che dalla dichiarazione [Äußerung] dell’altro: «Io so che è cosí» si può concludere alla proposizione «È cosí». E neanche dalla dichiarazione, e dal fatto che non è una menzogna. – Ma dalla mia dichiarazione «Io so, ecc.», non posso concludere: «È cosí»? Certamente, e dalla proposizione «Lui sa che là c’è una mano», segue anche «Là c’è una mano». Ma dalla sua affermazione: «Io so che...» non segue che lo sa.
14. Prima si deve dimostrare che lo sa.
15. Che non fossero possibili errori, dev’essere dimostrato. La rassicurazione: «Io lo so» non è sufficiente. Infatti essa è soltanto la rassicurazione che non posso sbagliarmi (qui): e che qui non mi sbagli deve poter essere stabilito oggettivamente.
16. «Se so qualcosa, allora so anche di saperlo, ecc.» equivale a: «Io lo so» vuol dire: «In questo sono infallibile». Ma se io lo sia, deve potersi stabilire oggettivamente.
17. Supponiamo ora che io dica «Non posso sbagliarmi su questo: che lí c’è un libro», e cosí dicendo indichi un certo oggetto. Che aspetto avrebbe, qui, un errore? E ne ho un’idea chiara?
18. Spesso «Io lo so» vuol dire: ho buone ragioni per dire quello che dico. Quindi se l’altro conosce il giuoco linguistico dovrebbe ammettere che lo so. Se conosce il giuoco linguistico, l’altro dev’essere in grado d’immaginare come si possa sapere una cosa del genere.
19. L’enunciato «Io so che qui c’è una mano», si può dunque proseguire cosí: «Infatti quella che sto guardando è la mia mano». Allora un uomo dotato di ragione non dubiterà che lo so.—— E non lo dubiterà neanche l’idealista: però dirà che per lui non si trattava del dubbio pratico, che è stato rimosso, ma che dietro il dubbio pratico c’era ancora un dubbio. – Che questa sia un’illusione, si deve mostrare in altra maniera.
20. «Dubitare dell’esistenza del mondo esterno», non vuol dire, per esempio, dubitare dell’esistenza di un pianeta, che in seguito viene provata dall’osservazione. – Oppure Moore vuol dire che il sapere che qui c’è la sua mano è di una specie diversa dal sapere che c’è il pianeta Saturno? Altrimenti a chi dubita si potrebbe far presente la scoperta del pianeta Saturno e dire che la sua esistenza è stata provata, e dunque che è stata provata anche l’esistenza del mondo esterno.
21. Propriamente, il punto di vista di Moore mette capo a questo: Il concetto ‘sapere’ è analogo ai concetti ‘credere’, ‘congetturare’, ‘dubitare’, ‘essere convinti’, in questo: che l’enunciato «Io so...» non può essere un errore. E se è cosí, allora, da una dichiarazione si può concludere alla verità di un’asserzione. E qui si trascura la forma «Io credevo di sapere». – Ma se non si deve ammettere questa forma, allora anche nell’asserzione dovrà essere logicamente impossibile un errore. E di questo non può non accorgersi chi conosce il giuoco linguistico; qui l’assicurazione di uno degno di fede, che lui lo sa, non può aiutarlo.
22. Sarebbe certamente strano se dovessimo credere a uno degno di fede che dicesse: «Io non posso sbagliarmi», o a quello che dicesse: «Io non mi sbaglio».
23. Se non so se un tizio abbia due mani (per esempio, non so se le mani gli siano state amputate o no) posto che si tratti di una persona degna di fede crederò alla sua assicurazione di avere due mani. E se dice che lo sa, questo, per me, può significare soltanto che quel tizio è stato in grado di convincersene, e dunque, per esempio, che le sue braccia non sono piú nascoste da coperte e da bende, ecc. ecc. Il fatto che qui credo alla persona degna di fede proviene da questo: che gli concedo la possibilità di convincersi. Non gliela concede, però, chi dice che (forse) non esistono oggetti fisici.
24. La domanda dell’idealista potrebbe forse essere questa: «Con quale diritto non dubito dell’esistenza delle mie mani?» (E la risposta non può essere: «So che esistono»). Però, chi pone questa domanda trascura il fatto che il dubbio circa un’esistenza funziona soltanto in un giuoco linguistico. Che pertanto prima si dovrebbe chiedere: Che aspetto avrebbe un dubbio cosí? E questo non lo si capisce cosí, sui due piedi.
25. Anche in questo: «che qui c’è una mano», ci si può sbagliare. Solo in circostanze...