Il metodo delle scienze storico-sociali
eBook - ePub

Il metodo delle scienze storico-sociali

Nuova edizione

  1. 368 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il metodo delle scienze storico-sociali

Nuova edizione

Informazioni su questo libro

Questo volume raccoglie i principali saggi metodologici di Max Weber, pubblicati negli anni dal 1904 al 1917 e raccolti postumi nel 1922. Essi rappresentano il frutto piú maturo del dibattito sul compito e sul procedimento delle scienze storico-sociali e sui loro rapporti con le scienze della natura, che vide impegnati i maggiori esponenti della cultura tedesca tra Otto e Novecento. Ancora oggi essi sono un punto obbligato di riferimento per la riflessione sulla conoscenza della società, sul nesso tra ricerca storica e «teoria», sullo statuto scientifico della sociologia. Il volume, apparso per la prima volta nel 1958 nella «Biblioteca di cultura filosofica», si presenta ora in veste rinnovata, in una traduzione riveduta e corretta, corredato da una nuova Introduzione e da un nuovo apparato di note.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il metodo delle scienze storico-sociali di Max Weber in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Scienze sociali e Sociologia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
Print ISBN
9788806165550
eBook ISBN
9788858414026
Categoria
Sociologia

I. In polemica con Eduard Meyer1.

Quando si vede uno dei nostri piú insigni storici portato a render conto, a se stesso e ai suoi colleghi, dei fini e dei procedimenti del proprio lavoro, questo fatto deve per ciò stesso suscitare un interesse che va al di là dell’ambito degli specialisti, in quanto egli trascende il dominio della sua disciplina specifica per entrare nel campo delle considerazioni di teoria della conoscenza. Ciò comporta certo, in primo luogo, delle conseguenze di carattere negativo. Le categorie della logica, che nel suo odierno sviluppo è diventata ormai una disciplina specialistica al pari delle altre, richiedono, per essere impiegate in maniera realmente sicura, la stessa pratica quotidiana che è richiesta da quelle di qualsiasi altra disciplina; ed evidentemente Eduard Meyer – del cui scritto Zur Theorie und Methodik der Geschichte2 vogliamo qui parlare – non può né intende avanzare la pretesa a una tale costante familiarità intellettuale con i problemi logici, come non può né intende avanzarla l’autore di queste pagine. Le considerazioni critiche di quello scritto sono, per cosí dire, una specie di resoconto clinico scritto non dal medico ma dal paziente stesso, e devono essere valutate e intese come tali. Il logico e il teorico della conoscenza di mestiere saranno quindi urtati da molte formulazioni di Meyer, e forse non impareranno da questo scritto nulla di propriamente nuovo per i loro scopi. Ma ciò non diminuisce per nulla la sua importanza per le discipline particolari affini3. Proprio le opere piú significative della teoria della conoscenza specialistica lavorano con immagini «tipico-ideali» dei fini e dei procedimenti conoscitivi delle scienze particolari, e si elevano perciò talmente al di sopra di esse che qualche volta diventa difficile a queste riconoscersi a occhio nudo in quelle considerazioni. Le considerazioni metodologiche condotte all’interno delle singole discipline possono quindi risultare talvolta assai utili per la loro auto-riflessione nonostante e, in certo senso, proprio a causa della loro formulazione cosí imperfetta dal punto di vista della teoria della conoscenza. L’esposizione di Meyer, nella sua limpida comprensibilità, offre appunto agli specialisti delle discipline contigue la possibilità di ricollegarsi a un’intera serie di punti, per porre in luce certe questioni logiche che essi hanno in comune con gli «storici» nel senso stretto della parola. Tale è lo scopo delle considerazioni seguenti che, richiamandosi anzitutto allo scritto di Meyer, intendono illustrare in ordine un certo numero di problemi logici particolari e prendere quindi in esame, dal punto di vista cosí raggiunto, un certo numero di altri nuovi lavori sulla logica delle scienze della cultura. Perciò siamo qui partiti di proposito da problemi puramente storici, e soltanto nel corso successivo delle nostre considerazioni siamo passati a studiare le discipline che cercano «regole» e «leggi» della vita sociale, dopo che cosí sovente si è tentato di determinare la specificità delle scienze sociali delimitandole dalle «scienze della natura». In tale tentativo gioca sempre il presupposto tacito che la «storia» sia una disciplina che raccoglie soltanto del materiale, oppure una disciplina puramente «descrittiva», che nel caso piú favorevole mette insieme dei «fatti» i quali servono come pietre di costruzione per l’«autentico» lavoro scientifico, un lavoro che comincia soltanto dopo. E purtroppo anche gli storici di mestiere hanno contribuito in misura non minore, per il modo in cui hanno cercato di fondare la peculiarità della «storia» nel senso professionale del termine, a consolidare il pregiudizio che il lavoro «storico» sia qualcosa di qualitativamente diverso dal lavoro «scientifico», poiché «concetti» e «regole» non «riguarderebbero per nulla» la storia. Dal momento che anche la nostra disciplina riceve oggi di solito una fondazione «storica», sotto la permanente influenza della «scuola storica», e dal momento che la relazione con la teoria è rimasta sempre problematica, come venticinque anni or sono, sembra giusto chiederci in primo luogo che cosa si possa propriamente intendere per lavoro «storico» in senso logico, e affrontare questa questione anzitutto sul terreno di quello che è riconosciuto senza dubbio, e per generale consenso, come lavoro «storico» – quel lavoro di cui appunto si occupa lo scritto che verrà qui criticato per primo.
Eduard Meyer comincia con un avvertimento nei riguardi della sopravvalutazione dell’importanza degli studi metodologici per la prassi della storia: le conoscenze metodologiche piú ampie non fanno di nessuno uno storico, e prospettive metodologiche errate non comportano necessariamente una falsa prassi scientifica, ma dimostrano anzitutto soltanto che lo storico ha formulato o indicato erroneamente le sue corrette massime di lavoro. Con questo si può essere sostanzialmente d’accordo: la metodologia può sempre essere soltanto un’auto-riflessione sui mezzi che hanno trovato conferma nella prassi, e la loro esplicita consapevolezza non è presupposto di un lavoro fecondo piú di quanto la conoscenza dell’anatomia sia presupposto di una andatura «corretta». E infatti, come colui che volesse di continuo controllare il proprio modo di camminare in base a conoscenze anatomiche sarebbe in pericolo di inciampare, cosí qualcosa di analogo potrebbe capitare allo studioso di professione nel tentativo di determinare dal di fuori i fini del proprio lavoro sulla base di considerazioni metodologiche4. Quando il lavoro metodologico – come è naturalmente anche sua intenzione – può servire immediatamente in un punto qualsiasi alla prassi dello storico, ciò avviene proprio in quanto gli consente di non essere succube, una volta per sempre, di un dilettantismo adornato filosoficamente. Le scienze sono state fondate, e il loro metodo viene ulteriormente sviluppato, soltanto ponendo in rilievo e risolvendo problemi sostanziali; e mai finora hanno contribuito in maniera decisiva a tale scopo le pure considerazioni di teoria della conoscenza o di metodologia. Esse diventano di solito importanti per l’esercizio della scienza stessa solo quando, in seguito a forti mutamenti dei «punti di vista» da cui una certa materia diventa oggetto di rappresentazione, emerge la convinzione che i nuovi «punti di vista» comportino anche una revisione delle forme logiche in cui si era mosso l’«esercizio» tradizionale, e ne deriva quindi incertezza sull’«essenza» del proprio lavoro. Questa situazione è in ogni caso incontestabile nel presente per quanto riguarda la storia, e l’opinione di Meyer sulla fondamentale assenza di importanza della metodologia per la «prassi» non gli ha perciò impedito, a buon diritto, di fare oggi egli stesso della metodologia.
Egli procede in primo luogo a un’esposizione di quelle teorie che hanno di recente cercato di trasformare, dal punto di vista metodologico, la scienza storica, e formula la posizione, alla quale intende in particolare contrapporsi criticamente5, nella forma che segue:
1) per la storia sarebbero da considerarsi privi di importanza, e quindi estranei a una esposizione scientifica:
a) ciò che è «accidentale»,
b) la «libera» decisione volontaria di personalità concrete,
c) l’influenza delle «idee» sull’agire degli uomini;
2) al contrario dovrebbero costituire l’oggetto vero e proprio del conoscere scientifico:
a) i «fenomeni di massa» in contrapposizione all’agire individuale,
b) ciò che è «tipico» in contrapposizione a ciò che è «singolare»,
c) lo sviluppo delle «comunità», specialmente delle «classi» sociali o delle «nazioni», in contrapposizione all’agire politico degli individui;
3) di modo che infine lo sviluppo storico, in quanto può venir compreso scientificamente soltanto su base causale, dovrebbe essere concepito come un processo che si svolge «legalmente», e quindi scopo proprio del lavoro storico sarebbe la scoperta degli «stadi di sviluppo» delle comunità umane, quali si succedono necessariamente in maniera «tipica», e la subordinazione a esse della molteplicità storica.
Nelle pagine che seguono verranno provvisoriamente lasciati del tutto in disparte quei punti delle considerazioni di Meyer che servono in maniera specifica alla sua polemica con Karl Lamprecht6; e io mi prenderò anche la libertà di raggruppare in modo diverso gli argomenti di Meyer, e di riservarne alcuni per un esame a parte nelle sezioni successive, in quanto ciò può servire alle esigenze degli studi che seguono, i quali non hanno come scopo una mera critica dello scritto di Meyer.
La concezione da lui combattuta pone Meyer in primo luogo di fronte al compito di mostrare il ruolo preponderante che esercitano in genere, nella storia e nella vita, la «volontà libera» e il «caso» – due «concetti perfettamente definiti e chiari», secondo la sua opinione.
Per quanto riguarda anzitutto la discussione del concetto di «caso»7, Meyer lo intende ovviamente non già come oggettiva «assenza di causalità» (cioè come caso «assoluto» in senso metafisico), e neppure come assoluta impossibilità soggettiva di conoscenza delle condizioni causali, che necessariamente si rinnova in ogni caso specifico del fenomeno in questione, per esempio nel gioco dei dadi (cioè come caso «assoluto» in senso gnoseologico8), bensí come caso «relativo», nel senso di una relazione logica tra complessi di cause concepiti separatamente – cioè appunto nel senso, sebbene naturalmente non sempre espresso in una formulazione «corretta», in cui questo concetto è accettato dalla logica specialistica che si richiama in sostanza ancor oggi, nonostante vari progressi particolari, al primo scritto di Wilhelm Windelband9. Giustamente, in fondo, si distingue poi questa nozione causale del «caso» (il cosiddetto «caso relativo») – per il quale l’effetto «accidentale» sta in antitesi con quello che ci si poteva «aspettare» secondo quelle componenti causali di un avvenimento che abbiamo raccolto in un’unità concettuale, e per il quale «accidentale» è ciò che non è derivabile causalmente, secondo regole generali dell’accadere, da quelle condizioni le quali vengono prese esse sole in considerazione, ma che è stato invece causato in virtú del subentrare di una condizione che sta «al di fuori» di esse10 – dalla ben diversa nozione teleologica dell’«accidentale», la cui antitesi è ciò che è «essenziale», sia che si tratti della formazione di un concetto effettuata a scopi conoscitivi, escludendo gli elementi della realtà «inessenziali» per la conoscenza (ossia «accidentali» o «individuali»), sia che si compia una valutazione di certi oggetti reali o pensati come «mezzi» in vista di uno «scopo», considerando quindi praticamente rilevanti in quanto «mezzi» soltanto certe qualità, e le altre come praticamente «indifferenti»11. Certamente la formulazione (in particolare dove l’antitesi è presentata come antitesi tra «processi» e «cose»12) lascia molto a desiderare; e che il problema non sia stato approfondito logicamente nelle sue conseguenze risulterà inoltre dalla discussione della posizione di Meyer nei confronti del concetto di sviluppo (nella seconda sezione). Ma ciò che egli dice basta, del resto, ai bisogni della prassi storica. A noi interessa piuttosto il modo in cui, in una successiva pagina del suo scritto13, egli ritorna sul concetto di caso. «La scienza naturale – dice qui Meyer – può [...] asserire che, se viene accesa della dinamite, deve avvenire un’esplosione. Ma prevedere se e quando, nel caso specifico, questa esplosione avrà luogo, se perciò un determinato uomo sarà ferito o ucciso oppure si salverà, è a essa impossibile, poiché ciò dipende dal caso e dalla volontà libera, che essa non conosce, ma che conosce invece la storia». In primo luogo è qui sorprendente lo stretto accoppiamento del «caso» con la «volontà libera». Esso risulta ancor piú chiaramente allorché Meyer adduce come secondo esempio la possibilità di «calcolare in maniera sicura», con i mezzi dell’astronomia, una certa costellazione, sul presupposto del non-intervento di «disturbi» (quali potrebbero essere dati, per esempio, dall’intrusione di corpi estranei nel sistema solare), e di contro dichiara «non possibile» prevedere se quella costellazione cosí calcolata potrà anche essere «osservata». In primo luogo anche quell’«intrusione» di un corpo estraneo sarebbe, in base al presupposto di Meyer, «non calcolabile» – e infatti anche l’astronomia, non soltanto la storia, conosce il «caso» in questo senso; in secondo luogo essa è normalmente «calcolabile» con molta facilità, cosicché qualsiasi astronomo cercherà di «osservare» anche la costellazione calcolata e, se non si presenterà nessun disturbo «accidentale», la osserverà di fatto. Ne nasce l’impressione che Meyer, per quanto il «caso» sia da lui interpretato del tutto deterministicamente, assuma in silenzio, senza esprimerla in modo chiaro, un’affinità elettiva assai stretta tra il «caso» e una «libertà del volere», che avrebbe come conseguenza una specifica irrazionalità dell’accadere storico. Soffermiamoci ancora su questo punto.
Ciò che Meyer indica come «volontà libera» non implica affatto, secondo lui14, una contraddizione nei confronti dell’«assiomatico» e, a suo parere, incondizionatamente valido – anche per l’agire umano – «principio di ragion sufficiente». L’antitesi tra «libertà» e «necessità» dell’agire si risolverebbe piuttosto in una mera distinzione di modi di considerazione: nel secondo caso noi consideriamo ciò che è divenuto come «necessario», e ciò includendovi la decisione come di fatto ormai presa, mentre nel primo caso consideriamo il processo come «diveniente», e quindi come non ancora avvenuto e non ancora «necessario», bensí come una tra infinite «possibilità». Dal punto di vista di uno sviluppo «diveniente» non possiamo però mai affermare che una decisione umana non po...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il metodo delle scienze storico-sociali
  3. Introduzione
  4. Avvertenza
  5. Il metodo delle Scienze Storico-Sociali
  6. L’«oggettività» conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale
  7. Studi critici intorno alla logica delle scienze della cultura
  8. I. In polemica con Eduard Meyer.
  9. II. Possibilità oggettiva e causazione adeguata nella considerazione causale della storia
  10. Alcune categorie della sociologia comprendente
  11. Il senso della «avalutatività» delle scienze sociologiche ed economiche
  12. Elenchi
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright