Quello era certo un fiero pannaiolo
La cui fama durerà per sempre.
THOMAS DELONEY
La grande e prospera attività della fabbricazione della stoffa ha lasciato molte tracce nella vita dell’Inghilterra, nel campo architettonico, letterario e sociale. Ha riempito la nostra provincia di magnifiche chiese gotiche e di eleganti case dalle travi di quercia. Ha riempito la nostra letteratura popolare di racconti leggendari sugli uomini illustri d’Inghilterra, nei quali i pannaioli Thomas di Reading e Jack di Newbury hanno trovato posto accanto a Fra’ Bacone e Robin Hood. Ha riempito le nostre contee di gentiluomini; poiché, come ha fatto notare Defoe, al principio del Settecento «molte delle grandi famiglie che adesso vantano origini nobiliari nelle contee occidentali hanno la loro origine e traggono la loro grandezza da questa nobilissima industria». Ha riempito le nostre liste anagrafiche di cognomi – Weaver, Webber, Webb, Sherman, Fuller, Walker, Dyera – e ha dato a ogni donna nubile l’appellativo di spinsterb. E da quando il commercio del panno soppiantò quello della lana come il piú importante commercio di esportazione inglese, prima di essere a sua volta soppiantato dall’acciaio e dal cotone, ha costituito il fondamento della grandezza commerciale inglese. «Fra tutti i mestieri – dice il vecchio Deloney, – fu proprio questo il piú importante, perché forní la maggior quantità di merce mediante la quale il nostro Paese divenne famoso fra tutte le Nazioni»1.
Già verso la fine del trecento i pannaioli inglesi incominciavano a rivaleggiare con quelli dei Paesi Bassi nella fabbricazione di stoffe pregiate, come testimonia la Donna di Bath di Chaucer:
Aveva una tale abilità nel fabbricare la stoffa
Da superare quelli di Ypres e di Gand.
E verso la fine del Cinquecento qualsiasi effettiva rivalità era cessata, perché l’industria manifatturiera inglese era incontestabilmente vincitrice. La manifattura, sviluppandosi, aveva richiesto anche un cambiamento nella sua organizzazione. Non era mai stato un problema facile organizzarla su base corporativa, perché la fabbricazione di una pezza di stoffa comportava tutta una serie di procedimenti diversi. I procedimenti preliminari della filatura e della cardatura erano sempre considerati lavori accessori, compiuti dalle donne e dai bambini a casa loro; ma i tessitori, che acquistavano il filato, avevano la loro corporazione; e ce l’avevano anche i follatori che feltravano il tessuto; e cosí pure i cimatori che compivano le operazioni di finitura; e i tintori che lo tingevano. La pezza di stoffa finita non poteva essere venduta da tutti, e nel gruppo di questi mestieri interdipendenti, ognuno con la sua corporazione, troviamo a volte i tessitori che lavorano alle dipendenze dei follatori, e a volte i follatori che lavorano per conto dei tessitori. Inoltre, poiché tessere è un procedimento molto piú rapido che filare, il tessitore restava spesso disoccupato e aveva difficoltà a raccogliere una quantità sufficiente di filato per alimentare il suo telaio; e siccome il mercato della stoffa si allargava sempre piú, e non era piú limitato alla città del tessitore, si sentiva la necessità di qualche intermediario che si specializzasse nella vendita della stoffa lavorata. Cosí a poco a poco si formò una categoria di persone che compravano lana in grandi quantità e la vendevano ai tessitori, e che poi, per naturale evoluzione, non si limitarono piú a venderla, ma incominciarono ad affidarla ai tessitori per la tessitura, ai follatori per la feltratura e ai cimatori per la finitura, pagando loro un salario e facendosela riconsegnare a lavoro ultimato. Queste persone divennero ricche, accumularono capitali, ottennero la possibilità di far lavorare molta gente. Ben presto incominciarono a far lavorare tutte le varie categorie di artigiani che occorrevano per fabbricare una pezza di stoffa. I loro servi portavano la lana nelle casupole per farla cardare e filare dalle donne, e poi portavano il filato ai tintori, ai tessitori, ai follatori, ai cimatori, ognuno al suo turno, e riportavano la pezza finita all’intermediario industriale, chiamato il pannaiolo (the clothier), che a sua volta la vendeva all’intermediario commerciale, il mercante di stoffe. I pannaioli crebbero rapidamente di ricchezza e d’importanza, e in certe zone divennero la spina dorsale della classe media. Esplicavano la loro attività nei villaggi di campagna piuttosto che nelle vecchie città comunali, per sottrarsi ai vincoli posti dalle corporazioni di mestiere, cosicché a poco a poco l’industria della stoffa emigrò quasi completamente nella campagna. Nell’Inghilterra occidentale e nell’East Anglia (ma non nello Yorkshire) i pannaioli continuarono a usare il sistema di far fare il lavoro «fuori sede» fino al momento in cui la rivoluzione industriale non lo spostò dalle case alle fabbriche, e dal Sud al Nord. Allora i fiorenti villaggi si vuotarono, e per questo adesso siamo costretti a basarci su qualche traccia sparsa e su vecchi edifici, o su nomi ancora piú vecchi, per ricostruire ex-novo le figure un tempo familiari del pannaiolo dell’East Anglia e dello sciame dei suoi indaffarati operai.
Una di queste figure familiari era quella del vecchio Thomas Paycocke, pannaiolo di Coggeshall nell’Essex, che morí carico d’anni e di onori nel 1518. La sua famiglia era originaria di Clare, nel Suffolk, ma verso la metà del Quattrocento un ramo si era trasferito a Coggeshall, un paese non molto distante. Suo nonno e suo padre, a quanto risulta, erano macellai e allevatori di bestiame, ma lui, suo fratello e i loro discendenti si dedicarono alla «nobile industria» della fabbricazione della stoffa, e lasciarono un’impronta indelebile sul paese in cui abitarono. Coggeshall si trova nel grande distretto tessile dell’Essex, che Fuller cosí descrive: «Di questa regione si può dire come di Betsabea: “Essa posa la sua mano sul fuso e le sue mani tengono la rocca”... Sarà quindi opportuno pregare che l’aratro proceda e la ruota del filatore giri, in modo che (essendo nutriti dal primo e rivestiti dalla seconda) non possa esserci, con la benedizione di Dio, alcun pericolo di trovarsi nel bisogno per la nostra nazione»2. In tutto l’Essex c’erano paesi famosi per la fabbricazione della stoffa, Coggeshall e Braintree, Bocking e Halstead, Shalford e Dedham, e soprattutto Colchester, il grande centro e mercato di questa produzione. I paesi si arricchivano lavorando per essa e non c’era casa da cui non uscisse il ronzio della ruota del filatore, o strada in cui non si potessero contare le botteghe dei tessitori, le cucine dove il rozzo telaio era posato accanto al muro per occupare le ore di lavoro del padrone di casa. Non c’era settimana in cui lo zoccolio del cavallo da soma non si udisse nelle strade che si diramavano verso la campagna, annunciando l’arrivo di nuovi rifornimenti di lana da lavorare e il prelevamento delle pezze di stoffa da consegnare ai pannaioli di Colchester e dei paesi circostanti. Per tutto il xv secolo Coggeshall fu un centro importante, secondo solo alle grandi città di Norwich, Colchester e Sudbury, e ancora oggi i due alberghi del paese si chiamano «La balla di lana» e «Il tosone». Ora dobbiamo, come ho detto, ricostruire il ritratto di Thomas Paycocke e dei suoi colleghi sulla base di tracce rimaste qua e là; ma fortunatamente queste tracce sono abbastanza frequenti in moltissimi villaggi inglesi, e nella stessa Coggeshall le abbiamo a nostra disposizione. Possiamo richiamarlo in vita servendoci di tre cose: la sua casa che si affaccia sulla strada nel paese, le lapidi delle tombe di famiglia nella navata della chiesa del paese, e il suo testamento conservato nella Somerset House. Una casa, una lapide, un testamento: sembrano ben poca cosa, ma contengono tutta la sua storia. È un errore grandissimo pensare che la storia debba consistere necessariamente in qualcosa di scritto: può consistere benissimo in qualcosa di costruito, e chiese, case, ponti, anfiteatri possono raccontare le loro vicende con la chiarezza di un libro stampato, se si hanno occhi per vedere. La villa romana riportata alla luce dopo essere rimasta invisibile per secoli sotto il piede dell’inconscio aratore, col suo spazioso pianterreno, i suoi pavimenti ricchi di mosaici, il suo complicato sistema di riscaldamento, e i suoi vasi ridotti in pezzi, dimostra piú chiaramente di qualsiasi trattato il vero senso dell’impero romano, i cui cittadini vivevano cosí in un’isola nebbiosa, agli estremi confini del loro mondo. Il castello normanno, col fossato e il ponte levatoio, la guardiola, la cinta delle mura, i...