DA HEGEL A NIETZSCHE
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DA HEGEL A NIETZSCHE

La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX

  1. 592 pagine
  2. Italian
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DA HEGEL A NIETZSCHE

La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX

Informazioni su questo libro

Pubblicato per la prima volta a Zurigo nel 1941, questo libro fu il primo tentativo di rappresentare organicamente la dissoluzione dello hegelismo. Da allora tali tentativi si sono moltiplicati, ma nessuno ha raggiunto la robustezza strutturale di questo. Hegel è qui visto come l'ultimo erede e sistematore della tradizione cristiano-borghese, che i suoi successori - in un arco che va da Marx a Kierkegaard - si accingono a demolire in un processo culminante in Nietzsche. Questo processo appare insieme negativo, in quanto approda al nichilismo, e storicamente necessario affinché il pensiero occidentale viva fino in fondo il suo dramma. Uno schema siffatto può sembrare forzato e arbitrario - Marx, Kierkegaard e Nietzsche a prima vista non risultano collegati da un nesso particolare -, ma ha il grande merito di impostare in modo unitario la storia del pensiero post-hegeliano. La prospettiva di Löwith, sorta internamente dal compito di mettere a confronto i protagonisti riconosciuti del pensiero del secolo scorso, ed esternamente dall'esigenza di spiegare la genesi del nichilismo moderno e del suo rovesciamento, già implicito in Nietzsche, mantiene ancora oggi intatta la sua attualità.

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Informazioni

Parte prima

Studi sulla storia dello spirito germanico nel secolo XIX

Introduzione

Goethe e Hegel1

Goethe innalzò la letteratura tedesca a letteratura mondiale e Hegel la filosofia tedesca a filosofia mondiale. La loro potenza creatrice era però espressione di un perfetto equilibrio perché la loro volontà corrispondeva alle loro possibilità. Ciò che è venuto in seguito non può paragonarsi ad essi per larghezza d’idee o capacità di penetrazione; pecca infatti o di eccesso o di mancanza di energia e finisce o nell’esagerazione o nella mediocrità, promettendo piú di quanto mantiene.
Nello stesso anno, 1806, in cui Napoleone passò per Jena e per Weimar, Hegel portò a compimento la Fenomenologia dello Spirito e Goethe la prima parte del Faust: due opere in cui la lingua tedesca raggiunge la sua maggior pienezza e la sua piú profonda consistenza. Tuttavia, i rapporti fra Hegel e Goethe sono molto meno appariscenti di quelli esistiti fra altri pensatori e poeti tedeschi, e cosí nasce l’impressione che questi due grandi siano vissuti vicini senza che l’uno abbia influito sull’altro.
Mentre Schiller subí l’influsso di Kant, e i romantici quello di Fichte e di Schelling, la visione goethiana del mondo naturale e umano non fu determinata da nessuno dei filosofi classici. La sua attività poetica non aveva bisogno di una base filosofica, perché era già di per sé ricca di pensiero e le sue ricerche di scienza naturale erano guidate dalla stessa fantasia che si ritrova nel suo poetare.
L’espressione «Hegel e Goethe» non può quindi significare né che l’opera dell’uno sia indipendente da quella dell’altro, né che siano strettamente legate fra loro; deve invece esprimere semplicemente un rapporto, vale a dire mettere in rilievo come tra l’intuizione di Goethe e il concetto di Hegel esista una relazione, la quale indica tanto una vicinanza che una lontananza. Il riconoscimento che ognuno dei due tributò all’opera ed all’attività dell’altro riposa sulla distanza che venne mantenuta nei loro rapporti. Mentre però essi operavano ciascuno per proprio conto, lo spirito di questo loro operare era tuttavia il medesimo nelle cose d’importanza decisiva. La differenza che li distingue e li unisce risulterà chiara se si considera che il fenomeno primordiale di Goethe e l’assoluto di Hegel attuano, in quella che è la loro realtà, esattamente il medesimo rispettoso incontro che caratterizza i rapporti personali di Hegel e di Goethe nella loro vita2.
Tali rapporti si estendono per tre decenni. Alcune annotazioni di diario e qualche dichiarazione verbale di Goethe, oltre a poche lettere da essi scambiate, rappresentano tutta la documentazione al riguardo. Nelle opere di Hegel solo qualche volta e di passata si fa cenno a Goethe; e piú precisamente nelle due edizioni dell’Enciclopedia, a proposito della dottrina dei colori3. Dal canto suo, Goethe, nel quarto fascicolo di scienza naturale, ha riprodotto un passo di una lettera di Hegel sullo stesso argomento. Tuttavia i loro rapporti andarono oltre questo positivo interessamento.
Il 24 aprile 1825, Hegel scriveva a Goethe circa i motivi del «suo attaccamento e perfino venerazione»:
Poiché, se volgo lo sguardo al processo del mio sviluppo spirituale, vedo che Ella è dappertutto presente ed io posso dichiararmi figlio suo: la mia vita interiore ha ricevuto da Lei il nutrimento che le ha dato le forze per resistere all’astrazione, ed ha diretto il proprio corso guardando alle sue creazioni come a dei fari4.
A ciò fa riscontro la dichiarazione fatta da Goethe al Varnhagen dopo la morte di Hegel ch’egli sentiva un profondo rimpianto per la perdita di «quella ben dotata e importante guida», che era stato «uomo ed amico di tanto affidamento e di cosí varia attività. Il fondamento della sua dottrina rimase fuori del mio orizzonte; dove però il suo operare giunse fino a me o s’incontrò con le mie aspirazioni, ne ho ricevuto sempre un vero vantaggio spirituale»5.
Piú ancora che il fondamento dogmatico della dottrina hegeliana vera e propria, rimasero estranee al Goethe le successive costruzioni dei discepoli dello Hegel, sebbene egli ricordasse con parole di lode anche le solide cognizioni di costoro. Cosí, ancora all’età di settantotto anni, studiò un libro di Hinrichs sopra la tragedia antica e ne fece il punto di partenza di un importante dialogo6. A un altro discepolo di Hegel, L. von Henning, il quale all’Università di Berlino tenne delle lezioni sulla dottrina goethiana dei colori, egli forní il materiale occorrente.
Al piú indipendente degli hegeliani di quel tempo, E. Gans, studioso di filosofia del diritto, Goethe, secondo un’informazione da lui stesso fornita, dichiarò
di ritenere che la filosofia, se si fa un dovere di por mente anche alle cose e agli oggetti di cui si occupa, dovrebbe diventare tanto piú feconda quanto piú viene messa in rapporto anche con gli sperimentatori; senonché sorgerà sempre il problema se sia possibile essere grandi ricercatori e osservatori e avere insieme la capacità di generalizzare e ridurre a sistema. Riconobbe, è vero, che Hegel possedeva vaste cognizioni nel campo delle scienze naturali e della storia, non poté però fare a meno di domandarsi se le sue proposizioni filosofiche non avrebbero dovuto modificarsi continuamente, in relazione alle nuove scoperte che si sarebbero fatte, venendo cosí a perdere il loro rigore… Prese poi a considerare gli Annali7: gli dispiacque una certa pesantezza e prolissità che si troverebbero nelle singole dissertazioni; disapprovò la mia recensione dell’opera del Savigny sulla Storia del Diritto romano nel Medioevo, osservando che volevo costringer l’autore a fare qualcosa di diverso dalle sue intenzioni…8.
Allo stesso modo che qui respinge l’imposizione di un pensiero estraneo, cosí in una lettera a Hegel, Goethe fa notare, a proposito dei propri lavori di scienza naturale, come non si tratti di «un’opinione da far trionfare», bensí di «un metodo di cui fare parte», del quale ognuno potrebbe valersi a modo suo come di uno strumento9. Ma, subito dopo questa riserva, segue un riconoscimento delle aspirazioni di Hegel, da cui appare in qual misura anche Goethe fosse avverso a ogni indisciplinato arbitrio.
Apprendo con gioia da diverse fonti che i suoi sforzi miranti a una compiuta formazione dei giovani dànno i migliori frutti. È davvero necessario, in quest’epoca stravagante, che da un centro s’irradii una dottrina dalla quale si possa ricavare una vita come teoria e come prassi. Per certo non si potrà impedire alle teste vuote di perdersi in immaginazioni vaghe e in parole risonanti; ma anche le menti sane vengono a trovarsi male perché accorgendosi dei falsi metodi in cui furono irretite nella giovinezza, si ritirano in se medesime, diventano astruse o dogmatiche10.
L’esigenza di trovare un complesso di principî tali da potersi tramandare collegò Goethe direttamente con «l’azione» di Hegel, lasciando da parte la dottrina. Questa distinzione, importante per intendere i rapporti di Goethe con Hegel, è espressa in modo efficace in un dialogo col cancelliere Müller: «Della filosofia hegeliana non desidero saper di piú, sebbene apprezzi abbastanza Hegel in se stesso»11.
In tono piú conciliante Goethe scriveva allo stesso Hegel qualche tempo dopo: «Tengo il mio spirito aperto il piú possibile ai doni del filosofo e mi compiaccio ogni volta che posso far mio ciò che viene indagato in una maniera che a me la natura non ha voluto concedere»12. In tal modo, Goethe, durante tutta la sua vita, sentí al tempo stesso attrazione e repulsione per la filosofia hegeliana13, e tuttavia era fondamentalmente certo ch’essi s’incontravano in ispirito. Nella sua ultima lettera a Zelter, ciò è espresso mirabilmente:
È una fortuna che la tua ben dotata natura sappia adeguarsi al tono, cioè al momento. Invero, poiché una serie coerente di momenti è essa stessa una specie di eternità, ti è concesso di restare sempre immutato in mezzo a ciò che trascorre, e cosí riesci a soddisfare completamente sia me, sia il pensiero hegeliano, per quel tanto che ne comprendo14.

1.
L’intuizione goethiana dei fenomeni primordiali e il concetto hegeliano dell’Assoluto.

a) La comunanza del principio.

Ciò che Goethe attribuiva a Hegel era niente di meno che il principio della propria azione spirituale: la mediazione fra l’essere sé e l’essere altro, o per dirla con Goethe, l’essersi posto nel mezzo fra soggetto ed oggetto, mentre Schelling aveva messo in rilievo l’estensione della natura e Fichte l’estremo limite della soggettività15. «Dove soggetto ed oggetto si trovano a contatto, ivi è la vita; noi vogliamo lodare Hegel in quanto egli con la sua filosofia dell’identità si colloca fra soggetto ed oggetto e mantiene questa posizione»16. Anche Hegel però dovette sentire similmente la sostanziale soggettività di Goethe e il contenuto oggettivo della sua soggettività. All’acuta critica rivolta da Hegel contro la vuota soggettività dei romantici corrisponde esattamente la diagnosi fatta da Goethe della universale malattia del tempo, dicendo che «essa è incapace di spogliarsi in modo produttivo della propria soggettività e di entrare nel mondo oggettivo»17. Trovare e giustificare la posizione intermedia fra soggetto e oggetto, fra l’essere-per-sé e l’essere-in-sé, fra interiorità ed esteriorità, costituí per Hegel, dal primo frammento di sistema fino alla Logica ed all’Enciclopedia, il vero assunto della sua filosofia della mediazione, in virtú della quale la sostanza doveva diventar soggetto e il soggetto sostanzializzarsi. Anche l’istint...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione alla prima edizione
  4. Prefazione alla nuova edizione
  5. DA HEGEL A NIETZSCHE
  6. PARTE PRIMA. STUDI SULLA STORIA DELLO SPIRITO GERMANICO NEL SECOLO XIX
  7. PARTE SECONDA. STUDI SULLA STORIA DEL MONDO BORGHESE-CRISTIANO
  8. Nota bibliografica
  9. Tavola cronologica
  10. Elenco dei nomi
  11. Il libro
  12. L’autore
  13. Copyright