Il mondo magico
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Il mondo magico

Prolegomeni a una storia del maoismo

  1. 384 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il mondo magico

Prolegomeni a una storia del maoismo

Informazioni su questo libro

Il mondo magico di Ernesto De Martino occupa un posto di rilievo tra i classici del pensiero europeo contemporaneo: pubblicato nel 1948, ha conosciuto un numero cospicuo di edizioni, che testimonia di un perdurante interesse per l'inedita valutazione della magia come istituzione culturale garante della presenza umana nel mondo. Ogni generazione di lettori si è cosí accostata al capolavoro demartiniano in modi conformi allo spirito del tempo, privilegiando determinati nuclei problematici e lasciandone altri nell'ombra. Oggi siamo piú inclini a riconoscere tutto il valore innovativo del metodo di ricerca di Ernesto De Martino, basato sull'intreccio tra prospettiva storica ed etnologica. L'asse portante del libro risiede nel confronto critico, funzionale alla presa di coscienza dei rispettivi caratteri individuanti, tra l'Occidente e l'Altro da sé, tra il nostro e l'altrui modo di «essere uomini in società». Profondamente radicato nel contesto storico in cui venne concepito, Il mondo magico va letto oggi alla luce dell'immane tragedia del secondo conflitto mondiale. De Martino si interroga sulle cause profonde della grande crisi dell'Occidente, di cui individua con sensibilità antropologica i germi nell'abbandono della tradizione storico-culturale di appartenenza: da qui l'urgenza di promuoverne una rinnovata consapevolezza critica. E proprio in relazione al conseguimento di tale obiettivo, che non potrebbe non riguardare anche il nostro presente, il confronto con il «culturalmente alieno» manifesta tutta la sua pregnanza.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2022
Print ISBN
9788806250164
eBook ISBN
9788858438473
Categoria
Antropologia
Capitolo primo

Il problema dei poteri magici

Appena lo studioso si volge al mondo magico, nell’intento di penetrarne il segreto, subito si imbatte in un problema pregiudiziale dal quale dipende in sostanza l’orientamento e il destino della ricerca: il problema dei poteri magici. Ordinariamente tale problema viene eluso con molta disinvoltura, in quanto si assume come ovvio presupposto che le pretese magiche siano tutte irreali e che le pratiche magiche siano tutte destinate all’insuccesso: onde sembra addirittura ozioso sottoporre a verifica il presupposto, e si ritiene assai piú proficuo stabilire come la magia possa sorgere e mantenersi ad onta della ovvia irrealtà delle sue pretese e ad onta degli inevitabili insuccessi a cui sono sottoposte le sue pratiche. Eppure proprio in questo presupposto «ovvio», non meritevole di verifica, si cela in realtà un intreccio di gravissimi problemi, tralasciati e occultati da una pigrizia mentale cosí stranamente tenace da costituire per se stessa un problema.
Nella nostra esplorazione del mondo magico noi dobbiamo dunque cominciare col sottoporre a verifica proprio il presupposto «ovvio» della irrealtà dei poteri magici, cioè dobbiamo determinare se e in quale misura tali poteri sono reali. Ma ecco che una nuova difficoltà si fa innanzi, complicando estremamente ciò che sembra in ultima analisi una modesta quistione di fatto, un semplice problema di accertamento. Quando ci si pone il problema della realtà dei poteri magici, si è tentati di presupporre per ovvio che cosa si debba intendere per realtà, quasi si trattasse di un concetto tranquillamente posseduto dalla mente, al riparo da ogni aporia, e che il ricercatore debba «applicare» o meno come predicato al soggetto del giudizio da formulare. Ma per poco che l’indagine venga iniziata e condotta innanzi, si finisce prima o poi col rendersi conto che il problema della realtà dei poteri magici non ha per oggetto soltanto la qualità di tali poteri, ma anche il nostro stesso concetto di realtà, e che l’indagine coinvolge non soltanto il soggetto del giudizio (i poteri magici), ma anche la stessa categoria giudicante (il concetto di realtà). Basta la semplice enunciazione di questo legame per rendere esperti della singolare complessità del problema affrontato e per imprimere all’indagine un indirizzo scevro da qualsiasi presupposto che non sia giustificabile dinanzi al tribunale della ragione giudicante. Questo legame si rivelerà tuttavia solo gradualmente nel corso della ricerca, e potrà essere chiarito nel suo esatto significato solo al termine di essa. E l’incremento della nostra stessa categoria giudicante, cioè del concetto di realtà, emergerà come risultato necessario di un pensiero in atto, che non tralascia occasione per svolgersi liberamente e che si fa sensibile a tutti gli scandali che minacciano di arrestarlo.
Una serie di documenti etnologici relativi a poteri magici che sembrano reali costituisce il miglior modo per iniziare l’indagine, e per aprire il dramma del nostro giudizio, chiamato a prender partito. Noi qui cominciamo ad allineare tali documenti, che formano in certo senso il primo scandalo della ricerca:
In stato di grande concentrazione gli sciamani (tungusi), come altre persone, possono entrare in comunicazione con altri sciamani e con individui comuni. Presso tutti i gruppi tungusi questo si fa del tutto intenzionalmente per necessità di carattere pratico, specialmente in casi urgenti... Nel pratico intento di ottenere una comunicazione del genere, la persona deve pensare senza interruzione a un’altra persona, ed esprimere un desiderio, come, p. es.: «Per favore, vieni qui (in un dato luogo)». Ciò deve essere ripetuto finché si vede la persona chiamata o finché si apprende che la persona ha inteso il richiamo. Si può vedere la persona fisicamente, nel suo ambiente naturale. Piú tardi, quando si incontra la persona chiamata, si può chiederle conferma dell’ambiente e del luogo nel momento della chiamata. La persona può anche rispondere (comparendo) sotto forma di uccello o di un animale parlante con voce umana. Lo stesso animale non potrebbe farlo nel suo stato normale, e pertanto siffatti animali non sono ritenuti reali. I Tungusi fra cui sussistono rapporti di parentela, come p. es. bambino e genitori, ovvero rapporti di amicizia e di mutua comprensione – p. es. gli sciamani in lotta fra di loro possono essere ostili l’uno all’altro, ma desiderano comprendersi a vicenda – possono comunicare piú agevolmente delle persone che non si conoscono. Inoltre alcuni sono assolutamente incapaci di fare ciò, e di questi i Tungusi dicono che «ignorano il modo per farlo», sebbene siano poi incapaci di spiegare come essi stessi ci riescano. Gli sciamani usano questo metodo nella loro pratica ordinaria, quando desiderano incontrare determinate persone o altri sciamani. Talora essi non sanno rendersi ragione del motivo per cui lasciano un luogo e vanno in un altro dove incontrano la persona che li ha chiamati: essi vanno perché «sentono che debbono andare». Il periodo migliore per chiamate del genere è quando il tempo è calmo, e di notte. V. K. Arseniev mi riferí un caso da lui personalmente osservato: uno sciamano invitò due altri sciamani da luoghi lontani in una particolare circostanza (malattia improvvisa di un giovane), ed essi arrivarono entro un lasso di tempo tale da escludere materialmente la possibilità che fossero stati avvertiti da un messaggero. I Tungusi parlano di casi del genere come di cosa ordinaria, e impiegano questo mezzo quando non hanno tempo di inviare un messaggero. Questa serie di osservazioni è interpretata (dai Tungusi) nel senso che vi è un elemento che si esteriorizza in forma di sostanza immateriale – l’anima –, e che comunica con le anime delle altre persone. Nello stesso gruppo di prove dell’esistenza dell’anima i Tungusi comprendono i casi di «visione a distanza» (cioè di «chiaroveggenza»), il cui meccanismo è forse lo stesso di quello della telepatia... Secondo alcune dichiarazioni dei Tungusi, quando, in generale, taluno è colpito da qualche disgrazia, se ne può avere conoscenza a distanza mercé una caratteristica sensazione al cuore. Tre giorni dopo l’arrivo del nonno del mio informatore, un nipote (o fratello) si era ucciso impiccandosi. Il vecchio non riusciva a restar lontano, perché sentiva una inquietudine che lo costringeva a tornare. Egli non fu sorpreso quando apprese il suicidio. Quando qualcuno muore, i giovani del clan possono saperlo, e riferire ciò che è avvenuto e le circostanze della morte. I Birarcen dicono che questo si verifica anche presso i Manciú e i Dahur, e tale ragguaglio può essere preso come punto di partenza per una ricerca. Una prova a favore di ciò è la seguente: un bambino «vide» suo zio uccidere il padre, e predisse che l’assassino sarebbe tornato tre giorni dopo con le corna di un Cervus elaphus ucciso dal padre. L’uomo tornò come era stato predetto: fu portato immediatamente davanti al ragazzo che ripeté la sua accusa. L’uomo allora confessò e la sentenza di morte per il criminale fu decretata dall’assemblea del clan1.
Quanto sia diffuso l’impiego di mezzi apparentemente paranormali di conoscenza nell’ambito dello sciamanismo tunguso si desume anche da quest’altro passo dello stesso autore:
Accanto ai metodi comuni – semplici metodi di natura logica, e intuizione – lo sciamano adopera metodi speciali per intensificare la sua capacità percettiva e il suo pensiero rappresentativo, o anche per intensificare l’intuizione. Questi metodi sono: lettura del pensiero, comunicazione a distanza, direzione autosuggestiva dei sogni, ed estasi. Tutti questi metodi sono in grado maggiore o minore impiegati dai membri ordinari della comunità, ma fra gli sciamani sono diventati condizione essenziale della loro arte. Io ho già precedentemente ammesso la possibilità della trasmissione del pensiero, fenomeno che non è fondato su un ordine di illazioni tratte dai fatti, e che sembra invece risultare da una comunicazione diretta... Il fenomeno della trasmissione del pensiero in un grande numero di casi può essere spiegato come risultato di una semplice «intuizione» o coincidenza – parallelismo – del pensiero in due individui. Tale peculiarità non è caratteristica di tutti gli sciamani, alcuni ne possono disporre in minor misura, altri in maggiore: ma tutti si sforzano in questo senso. Gli sciamani ottengono (la comunicazione a distanza) con metodi diversi: possono ottenerla nei loro sogni, durante l’estasi, ovvero in un «normale» stato di concentrazione su un desiderio al quale essi «pensano fortemente». In tutti questi casi gli sciamani dicono che essi «spediscono l’anima» con una comunicazione. Si deve notare che questo si verifica meglio di notte... né bisogna dimenticare un’altra condizione, e cioè che lo sciamano raggiunge l’estasi molto piú facilmente nell’oscurità. D’altra parte la comunicazione fatta a distanza è spesso simbolizzata nella forma di animali che fanno la comunicazione a quelli che la ricevono. Gli animali – p. es., orsi, cani, serpenti – compaiono sia nei sogni (durante il sonno), sia in visioni allucinatorie (fra i Birarcen). D’altra parte comunicazioni del genere possono essere percepite anche sotto forma di voci udite, ovvero possono restare non precisate. «Desidero fare questo perché lo sciamano lo desidera: lo sento», dice il tunguso. Finalmente la percezione può mancare del tutto, e la comunicazione può essere ricevuta inconsciamente, seguita dagli atti che essa implica. L’analisi di questi casi è estremamente difficile, poiché non è agevole determinare se la comunicazione a distanza sia effettiva oppure no: invero, parallelismo di pensiero e di emozione è cosa che facilmente si verifica. D’altra parte vi sono casi in cui due persone (una delle quali è uno sciamano, ovvero entrambe sciamani) non si conoscono fra di loro, né conoscono l’occasione nella quale la comunicazione è fatta, come, p. es., nei casi urgenti in cui lo sciamano desidera di avere l’assistenza di un altro sciamano e lo chiama. La natura di questi fenomeni non è chiara, ma io non mi azzardo a respingerli con la scusa che mancano di «razionalità»2.
Durante le sedute gli sciamani sembrano manifestare talora poteri paranormali di conoscenza:
Gli sciamani (sebbene non tutti) possono spesso dire che cosa le persone presenti alla seduta pensano e fanno. In molti casi questo è semplicissimo poiché lo sciamano può agevolmente indovinare i pensieri di persone che sono state a lungo sotto la sua personale influenza e che egli conosce da tempo: quando il pubblico si trova in una condizione estatica, la cosa può essere spiegata semplicemente come il risultato della sua propria virtú suggestiva. Ma vi sono casi che non sono cosí semplici. P. es., uno sciamano accusò un giovane presente alla seduta di aver mangiato il rene di un animale sacrificale. Non era possibile il sospetto che lo sciamano sapesse chi aveva fatto la cosa (in questo caso particolare ritengo che egli non poteva averlo visto, poiché era occupato in altre faccende)... Lo sciamano ordinò al giovane di rimettere il rene, che fu immediatamente vomitato nel tamburo3.
Un altro lavoro che fornisce interessanti documenti del genere è quello del Trilles sui Pigmei dell’Africa equatoriale. In occasione di un sacrificio prima di iniziare un’impresa guerresca, il Trilles osservò questo interessante sogno:
La vittima prescelta è un elefante. Ma questo elefante deve essere designato in modo particolare. Durante tre o sette giorni, secondo l’importanza della tribú da assalire e del nemico da vincere, il capo della tribú osserva un digiuno rigoroso: durante tutto il giorno non tocca cibo, si astiene da qualsiasi bevanda, ed ha solo diritto di masticare i frutti di amòmo a condizione di gettarne i semi... In una delle notti che seguono il digiuno di tre o sette giorni, il capo vede in sogno un elefante presentarglisi... Il fatto non meriterebbe attenzione se ad esso non si aggiungesse qualche cosa ancora: al risveglio, il capo descrive l’animale, la sua mole e il suo rifugio, il luogo dove esso si trova attualmente. Egli dichiara di aver visto l’animale, la radura dove pascola, gli alberi che vi si trovano, la via che bisogna prendere per arrivarvi, i pericoli che è d’uopo evitare. Tutto sarà trovato esatto piú tardi4.
Avendo il Trilles subíto un piccolo furto, un negrillo volle subito rintracciarne l’autore consultando il suo specchio magico:
Senza dir parola (il negrillo) andò a cercare il suo specchio magico, poi dopo qualche incantesimo mi dichiarò in modo deciso: – Vedo il tuo ladro, è il tale, – e mi designò uno dei giovani che mi avevano accompagnato. – D’altronde, guarda tu stesso –. E con mio grande stupore vidi riflettersi nello specchio i tratti del mio ladro. L’uomo, subito interrogato, confessò di essere effettivamente colpevole5.
In un’altra occasione uno stregone negrillo «vide» nel suo specchio magico le piroghe con i loro uomini, che il Trilles attendeva:
Conversavo un giorno con uno stregone negrillo. I miei uomini con le loro piroghe dovevano raggiungermi e portarmi le provviste. Incid...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Un pensiero inquieto. di Marcello Massenzio
  4. Il mondo magico
  5. Prefazioni
  6. 1. Il problema dei poteri magici
  7. 2. Il dramma storico del mondo magico
  8. 3. Il problema dei poteri magici nella storia dell’etnologia
  9. Appendici
  10. Le fonti etnografiche del «Mondo magico». di Gino Satta
  11. Aggiornamenti bibliografici
  12. Elenco dei nomi
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright