In principio, confusione e paura
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In principio, confusione e paura

  1. 216 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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In principio, confusione e paura

Informazioni su questo libro

Sono tante le voci di questa storia. Tante e variegate, l'una diversa dall'altra. E c'è una straordinaria capacità dell'autore di intrecciare il pubblico e il privato, di mostrarci angoli di vita intimi, di costruire dialoghi che pare di sentirli con le orecchie e vederli nei volti e nei gesti dei personaggi. È un realismo molto particolare, quello di Reuveni: se c'è una tesi nel romanzo, che ruota intorno a questo nuovo spaesamento generato da circostanze storiche in cui ancora una volta gli ebrei sentono la terra mancare loro sotto i piedi, è non meno vero che queste pagine sono avvincenti per la trama, per il formidabile disegno dei suoi personaggi, della città, dei suoi spazi esterni e interni.
C'è in sostanza un attaccamento profondo e tenace alla realtà. E, soprattutto, alla complessità di una realtà piú inafferrabile che mai, in cui non è soltanto il futuro a essere incerto. A buon diritto, dunque, In principio, confusione e paura si inscrive nella categoria dei classici della letteratura ebraica moderna e contemporanea.

dalla prefazione di Elena Loewenthal

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
Print ISBN
9788806239497
eBook ISBN
9788858429594

1. Alef

Le porte della tipografia erano spalancate. Dall’esterno si udiva il rumore dei caratteri mobili di piombo che i tipografi incuneavano uno dopo l’altro nelle cassette. In piedi sulla soglia dell’officina Ben Mattatiahu, uno dei redattori del giornale «La Strada»1, controllava la bozza fresca di stampa che restava incollata allo stipite della porta solo grazie alla sua umidità. Di tanto in tanto smetteva di leggere e si fermava di botto, come chi inciampa in un sasso mentre cammina soprappensiero, e una rabbia repressa e silenziosa si spandeva sulle sue guance larghe e lisce. Cancellava le parole difettose con tratti di penna spessi e carichi d’inchiostro e annotava le sue correzioni nei margini della pagina. Intanto, il proto Nehemia si dedicava al lavoro con il massimo scrupolo come se con quella laboriosità volesse farsi perdonare la precedente negligenza.
Ben Mattatiahu terminò di correggere la bozza, si voltò verso i tipografi e conficcò pesantemente i suoi occhi scuri e violacei nella schiena del supervisore Mendel Kantor. Non disse nulla, anche se era evidente che aveva qualche parola sulla punta della lingua pronta per lui. Kantor si sentí lo sguardo puntato addosso ma continuò pervicacemente a dargli le spalle e a tenere gli occhi fissi sulla cassetta dei caratteri. Il suo baffo duro ebbe uno scatto di rabbia e i peli ispidi si tesero come gli aculei di un porcospino che sente avvicinarsi il nemico.
Il proto Nehemia dette una veloce occhiata agli sguardi adirati del redattore e del supervisore, inarcò le labbra pallide e, ridendo da sotto la barbetta gialla, tradusse cosí nella sua testa quella muta conversazione:
− Oggi è la vigilia della Festa delle Capanne e non abbiamo ancora pubblicato il primo numero dell’anno nuovo. Sei tutto preso dagli ordini dei clienti privati. Per te sono piú importanti del nostro giornale.
E il baffo duro e rigido del supervisore rispondeva colpo su colpo:
− Perché non hai trovato il materiale in tempo? Perché hai aspettato l’ultimo momento? È colpa tua se il giornale è in ritardo! A me proprio non importa!
Ben Mattatiahu scrollò le spalle larghe e sbadigliò come chi non ha dormito abbastanza.
− Nehemia, − disse rivolto al proto, − è pronta la busta con l’altra bozza?
Nehemia all’udire la voce del redattore che lo chiamava personalmente in causa si sentí tremare dalla testa ai piedi e sulle sue labbra sottili si stese il riso del servo devoto appagato dalla propria servilità, mentre si affrettava a rispondere:
− Subito, immediatamente!
− Portamela! E sistema questa, ma presto!
Ben Mattatiahu tolse dallo stipite la bozza già riveduta e attaccò al suo posto quella ancora da correggere. Il supervisore schiumando rabbia stava in piedi a fianco della sua cassetta, smontava le file di lettere che erano già state utilizzate e le gettava una dopo l’altra ognuna nella sua scatola. Nehemia e il suo vice, che gli stava accanto, sentendo la tensione che saturava l’aria della tipografia, stavano entrambi piú zitti del solito e lavoravano con grande alacrità. Le loro dita nere e impolverate afferravano le lettere dalle caselle con velocità prodigiosa e le mettevano in ordine, lettera dopo lettera, in righe e colonne.
Era un giorno d’estate limpido e caldo. Una macchia di sole luccicante danzava sullo stipite della porta e sul foglio umido che vi era attaccato. La macchia, ignara del nervosismo che aleggiava, rifletteva felice stille di luce sul volto del redattore. Ben Mattatiahu fu costretto a strizzare gli occhi per poter leggere la bozza e ciò alleggerí la pesantezza dello sguardo. Era uno sguardo di rabbia contenuta che non scoppiava perché lui era a suo agio nel contenersi e non era solito uscire dal guscio della sua riservatezza.

2. Beth

All’interno della bottega, dirimpetto all’ingresso, si apriva una porta che conduceva a una seconda stanza piú piccola. In un angolo erano appoggiati sul pavimento pesanti risme di carta da stampa avvolte in spessa carta da pacco azzurra. In un angolo c’era un armadio di legno scadente e scolorito la cui metà superiore aveva porte a vetrina dietro cui si vedevano i raccoglitori dei numeri della «Strada», vecchi e nuovi. Di fianco alla finestra impolverata, da cui ci si affacciava su un piccolo cortile di pietra circondato da alte case, c’era un tavolo di legno grezzo, spoglio e rovinato dall’uso, con una panca bassa e stretta che gli assomigliava cosí tanto che pareva tratta dalla sua costola. Il contabile Aharon Tziprovitch era seduto lí a scrivere gli indirizzi degli abbonati. Sul bordo di un secondo tavolo lavorava solerte Mordechai Rachamim, un ragazzo sui quattordici anni, intento a preparare le buste di spedizione del giornale. Gli occhi del piccolo persiano erano come quelli di un cerbiatto, scuri e seri, con un bianco grande e azzurrognolo, e le sue mani si muovevano velocemente per attaccare le piccole etichette grigio chiaro sulle quali il contabile avrebbe poi scritto gli indirizzi. Nello spazio di mezzo c’era un terzo tavolo su cui due redattori del giornale, Baranciuk e Solodochin, sedevano disoccupati con i piedi appoggiati sulla panca. Aspettavano con impazienza l’uscita del primo numero dell’anno nuovo ed erano a tal punto stufi che l’irrequietezza aveva lasciato il posto all’apatia. Non avevano desiderio di fare il piú piccolo movimento, solo sedere e aspettare la fine di quel lasso di tempo vuoto e inutile.
Sul numero che stava per uscire sarebbe stato stampato l’articolo di Solodochin su Isaiah Bershadsky2 e lui aveva intenzione di fare personalmente la correzione della bozza definitiva. Però, quando era tornato dal barbiere, dove era rimasto a lungo come al solito alla vigilia della festa, aveva trovato il suo articolo già in macchina ed era convinto che ci fosse lo zampino di Ben Mattatiahu che, invece di aspettarlo, si era affrettato a correggerlo e darlo alla stampa soltanto per potersi vantare in cuor suo, forse anche solo per un momento, di essere lui, Ben Mattatiahu, a correggere gli articoli di Solodochin, a cancellare una parola qua e aggiungerne una là, e lui era sicuro che gli aveva pasticciato alcune sottili sfumature non avendone capito il significato.
A Solodochin tornarono in mente alcune espressioni a suo giudizio particolarmente azzeccate e presero a girargli in testa senza posa. L’aumentare dell’aspettativa lo mise in stato di agitazione: pregustava come un goloso davanti alla torta il piacere che avrebbe provato a casa sua quando si sarebbe sdraiato sul letto col giornale in mano a leggere il suo articolo da cima a fondo senza che nessuno lo infastidisse. Gli dispiaceva il ritardo nella stampa e per di piú sapeva che una volta terminata avrebbero dovuto passare altre due ore prima che i giornali tornassero dal rilegatore.
Questo piccolo risentimento ne fece sorgere una montagna di altri, alcuni piú piccoli e altri piú grandi, ma tutti legati al primo da sottili fili nascosti. Si affliggeva al pensiero che le sue doti venissero seppellite in quel miserabile giornale, in quel luogo sperduto, a Gerusalemme. Chi legge questo insulso foglio gerosolimitano? Trecento lavoratori in Terra d’Israele e duecento insegnanti di ebraico all’estero. E chi ci scrive? Ben Mattatiahu, un «bottaio» e niente di piú. I suoi articoli sono vacui ed enfatici come panciute botti vuote. Ghivoni, un principiante in letteratura oggi come lo era dieci anni fa, il tipo del «perenne autodidatta». Haim Ram, che non è in grado di mettere due frasi in fila come si deve. E che dire di quel poveretto di Baranciuk che non si capisce cosa abbia a che fare con loro, povero ignorantello che non ha letto e approfondito nulla e non sa una parola di ebraico? Giornale! Organo insignificante, zero meno di zero.
Solodochin continuò a sedere al lungo tavolo: era un giovane alto e curvo, le sue guance erano strette e la rasatura le aveva rese lisce come quelle di un bambino. L’essersi trattenuto dal barbiere era stata la causa della mancata correzione della bozza del suo articolo e dentro di sé non aveva ancora ritrovato la calma. Piú continuava a rimuginare sul fatto della correzione piú si convinceva che la colpa non fosse sua che aveva tardato a tornare, bensí di Ben Mattatiahu che si era affrettato a sfruttare il suo ritardo e l’aveva fatto, senza dubbio, con intenzione e facendo i suoi conti. Anche perché la bottega del barbiere era vicina alla tipografia e Ben Mattatiahu avrebbe potuto chiamarlo invece di correre a consegnare l’articolo alla stampa prima che lui tornasse.
Nel suo cuore si smosse la vecchia ruggine di conti in sospeso tra lui e Ben Mattatiahu in Russia, ai tempi dei primi rapporti tra loro piú di dieci anni prima. Già allora erano capitati assieme nello stesso posto e si erano impegnati nella medesima attività. Gli uomini erano sempre loro: lui, Haim Ram, Ben Mattatiahu e Ghivoni Bergelman. Forse all’epoca i loro rapporti erano piú onesti e migliori di quelli di oggi. Erano giovani dirigenti di un’associazione clandestina e il pericolo in agguato costante da ogni direzione li teneva molto vicini e legati con forti vincoli di amicizia e fiducia. Ma da sotto la facciata di quella solidarietà facevano capolino anche allora gli stessi attriti e le stesse frizioni. Nulla è cambiato. Già allora Ben Mattatiahu aveva l’abitudine di voler primeggiare. Non si faceva nulla senza il suo intervento, metteva il becco dappertutto e spuntava dal nulla come l’erba matta, dove nessuno l’aveva seminato. Lui, Solodochin, lo supera senza misura per finezza di intelligenza e per profondità di pensiero eppure, malgrado ciò, il ruolo principale in ogni cosa tocca sempre a Ben Mattatiahu, che vuole imprimere il suo marchio su tutto, il marchio dell’arrivista e dell’ottuso che si apre a gomitate la strada del successo.
Solodochin passeggiò in lungo e in largo tra gli scheletri dei suoi antichi ricordi e poi tornò al giornale e al suo articolo. L’analisi del passato e del presente rafforzò in lui l’idea che solo i suoi articoli, di tutto ciò che veniva stampato sulla «Strada», potessero essere annoverati nell’ambito della letteratura. Se la cattiva salute e la miserabile situazione materiale non lo avessero costretto a rimanere segregato in quel posto, si sarebbe già scrollato di dosso la polvere dei loro discorsi, efficaci come l’acqua fresca, e la segatura delle loro confuse teorie e del loro movimento, pura nebulosità e acrimonia. Se ne sarebbe andato in Europa o in America dove avrebbe occupato il posto che gli si addiceva ai vertici della letteratura e si sarebbe fatto un nome nel mondo.
Solodochin pose le mani dietro la nuca, poggiò i lunghi piedi sul pavimento e si stirò pigramente, quasi col fare languido di una donna che si è stancata della sua vita che si trascina inutilmente.
− Sí! − disse a voce alta.
Ghedalia Baranciuk voltò verso di lui la sua faccia scura con un lampo di felicità negli occhi.
− Sei arrivato al punto? − chiese scherzando.
− Cosa? A quale punto?
Baranciuk chiarí:
− Un uomo se ne sta seduto, tace e riflette. Molti pensieri affollano il suo cuore3 e improvvisamente esce dalla sua bocca un «sí». È chiaro che è arrivato alla fine, è arrivato al punto e lí si è fermato. Quel «sí» è il punto che ha messo alla fine del capitolo dei suoi pensieri, non ci hai fatto caso?
− Anche al «sí» che ho detto non ho fatto caso, − e poi, come se l’idea fosse stata sua, − ma è un ragionamento giusto, proprio un’annotazione acuta.
Il cervello di Solodochin, però, era ancora immerso nei risentimenti che gli suscitava il caporedattore. Invece di inoltrarsi col suo collega in una di quelle conversazioni ad ampio spettro nelle quali ognuno di loro si sforzava di mostrare la grandezza della propria perspicacia per mezzo di speculazioni argute e originali, prese a elencare a lui e a Tziprovitch – il persiano, Mordechai Rachamim, non capiva l’yiddish che era la norma tra di loro – tutto il lungo elenco di difetti di Ben Mattatiahu.
Baranciuk aveva sentito quelle parole uscire dalla bocca di Solodochin non una e non due volte. Al fondo delle sue argomentazioni e accuse sentiva il veleno della gelosia e questa sensazione gli stuzzicò l’istinto di rispondergli per le rime. In cuor suo ritagliò una risposta sgarbata e beffarda:
− Non sopporti che tutto si faccia secondo quello che dice lui e non quello che dici tu? Ti senti piú alto di lui dalla spalla in su? Bene! Da’ l’assalto al suo posto! Chi ti trattiene? E allora: non ce la fai? Sei pigro? Ti mancano la forza e il coraggio? Se è cosí, sopporta e stattene tranquillo seduto al tuo tavolo e taci. Il tuo posto è qui, smettila di sparlare di lui perché comunque la rigiri non potrai mai occuparlo, il suo posto.
Ma quei pensieri prima di salire alla punta della lingua e prendere forma di parola cambiarono molto, si ammorbidirono, si abbellirono, si infiocchettarono e solo nei suoi occhi continuarono ad agitarsi guizzi di ferocia.
− Non capisci o non vuoi capire che lui è energico, ha relazioni con tutti e s’interessa di tutto. Cosa m’importa della tua intelligenza, la sola cosa in fondo che hai, se la tua forza è solo in «potenza» e non si trasforma mai in «atto». Ben Mattatiahu, invece, fa qualcosa, anche se non è senza difetti agisce, e la sua opera lascia il segno nella vita in un modo o nell’altro, mentre tu non fai un bel niente e non fai altro che giocare col cervello e ti accontenti degli squarci di luce aperti dai lampi di pensieri originali.
Ben Mattatiahu apparve nel riquadro della porta con la stessa maschera di rabbia repressa sul largo volto e mandò il ragazzo di bottega dal rilegatore.
− C’è ancora speranza che il giornale esca oggi? − gli chiese Solodochin.
− Per me c’è speranza, − gli rispose Ben Mattatiahu freddamente.
E lo guardò con occhi scuri, venati di viola, carichi di rabbia repressa.
Poi si mosse e già fuori dalla porta aggiunse:
− Se tutti se ne fossero stati seduti sul tavolo a ciondolare le gambe, oggi di sicuro non ce l’avremmo fatta.
Solodochin rise seccamente rivolto alla porta che Ben Mattatiahu aveva sbattuto uscendo.
− Ossia? Devo andare avanti e indietro sulla pressa per accelerare la produzione? Devo mettermi ad aiutare a rilegare e a cucire i fogli? È stordito il nostro Ben Mutil, completamente stonato! Alla vigilia dell’uscita del nuovo numero, in piene doglie del parto, vi sembra una cosa fattibile?
La conversazione non distoglieva il contabile Tziprovitch dal suo lavoro. Con mano veloce ed esperta, con scrittura bella e pulita scriveva a lettere chiare sulle etichette un indirizzo dopo l’altro secondo l’ordine del suo quadernetto. Tra un indirizzo e l’altro il suo orecchio coglieva le parole di Solodochin che schernivano il giornale e i suoi giornalisti. Una settimana prima di Capodanno i giornalisti si erano «riuniti in assem...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione di Elena Loewenthal
  4. In principio, confusione e paura
  5. 1. Alef
  6. 2. Beth
  7. 3. Ghimel
  8. 4. Daleth
  9. 5. He
  10. 6. Vav
  11. 7. Zayin
  12. 8. Chet
  13. 9. Teth
  14. 10. Yod
  15. 11. Yod Alef
  16. 12. Yod Beth
  17. 13. Yod Ghimel
  18. 14. Yod Daleth
  19. 15. Teth Vav
  20. 16. Teth Zayin
  21. Note del traduttore
  22. Il libro
  23. L’autore
  24. Copyright