Il partigiano Johnny
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Il partigiano Johnny

  1. 536 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il partigiano Johnny

Informazioni su questo libro

Il partigiano Johnny è riconosciuto come il piú originale e antiretorico romanzo italiano sulla Resistenza. La storia è quella del giovane studente Johnny, cresciuto nel mito della letteratura e del mondo inglese, che dopo l'8 settembre decide di rompere con la propria vita e di andare in collina a combattere con i partigiani. Una storia simile a quella di molti altri giovani e di molti altri libri scritti sullo stesso argomento. Ma Fenoglio riesce a dare alle avventure e alle passioni di Johnny una dimensione esistenziale ben piú profonda e generale, che racconterà per sempre che cosa sono stati i partigiani e la Resistenza in Italia.Con La lingua del «Partigiano Johnny» di Dante Isella; una nota bibliografica e la cronologia della vita e delle opere.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
Print ISBN
9788806253097

II

21

La Città 1

L’alto mattino del 10 ottobre mossero per la città. Un migliaio di partigiani di Nord congestionava l’ultima conca prima della città, nell’ombra dell’ultima collina. Un gruppo di ufficiali partigiani stava sul ciglione, coi binoccoli puntati alla città. Da e per loro guizzavano staffette in moto, per l’odio degli ammassati partigiani a piedi, torvi e rassegnati e superiori come tutte le fanterie.
La trattativa, l’ultima, stava andando per le lunghe. A quell’ora, due ufficiali partigiani, uno della Prima e l’altro della Seconda Divisione, stavano insistendo, in una sala del Vescovado e sotto l’arbitrato del Vicario Generale della Diocesi, per l’immediato esodo della groggy guarnigione fascista. Ma andavano troppo per le lunghe. I partigiani da un pezzo pestavano i piedi sui campi sordi. Disse Pierre: – Una staffetta riferisce che il traghetto appare pronto per un traffico straordinario, ma sulla riva non è ancora apparso nessuno. A quest’ora dovrebbero già esser tutti fuori, stando alle ultime intese. Ma che vogliono? Restare in città, nel loro proprio sangue?
Arrivò il ventoso fruscio dell’automobile di Nord. Essa e gli occupanti erano pronti per l’ingresso trionfale. Due autisti, già in atteggiamento di gala, e sul sedile posteriore solitario Nord, inguainato in una breath-taking tuta di gomma nera con cerniere abbaglianti. Il posto vuoto alla sua destra era letteralmente lastricato di pacchetti di sigarette inglesi. Nord chiamò Johnny vicino, gli accennò di servirsi di tabacco. – Che ne pensi del ritardo?
– Dico che l’impresa non ha mai avuto bellezza, ma ora non ha nemmeno piú decenza. Immaginati un istante i fascisti che frignano e noi che li spingiamo per il loro sporco sedere.
Una staffetta s’inquadrò nel finestrino. – Ancora niente, – annunciò. – Fanno i giochi di società in Vescovado?
Allora Nord ordinò che tutti gli uomini guarnissero la nuda cresta della collina, per istruttiva visione degli indecisi fascisti. Gli uomini corsero su e ristettero sul ciglione in erta linea. Johnny guardò le rosse marziali mura del Vescovado che chiudevano quell’ultimo parlamento. La città appariva deserta, ma viva per un segreto cardiopulsare. Ora credeva di vedere stormi di uomini avvicinarsi per gli argini al traghetto. Avesse un binoccolo! Un ufficiale gli passò il suo: non guardasse al traghetto, guardasse prima alla porta meridionale della città. Johnny puntò e colse un nevrotico sciamare di centinaia di garibaldini che si agitavano alla periferia, pronti a romper la tregua e invadere la città per primi. – Sta a vedere che entrano i primi, – disse l’ufficiale. – Ed io non voglio. Mica per niente, ma mi nausea quella loro costante proneness alla propaganda. Vado a dire a Nord che ci mandi alla medesima altezza, naturalmente alla porta settentrionale.
In quel momento furono sorpassati da una staffetta motociclistica che si dirigeva sparata alla macchina di Nord. Ci siamo, tutti pensarono. Nord sentí, si eresse, una furia mortale sfigurandolo, poi urlò che sentissero tutti: – Dí loro che io mi avvicino con tutti i miei uomini alla periferia e se entro le 11 non sgombrano io farò in modo che non uno esca vivo –. La staffetta ripartí sparata.
I partigiani calarono, i loro semplici passi detonanti come spari. Senz’occhio per le bandiere che apparivano alle prime case, sordi agli evviva delle genti prime liberate, il maroso si arrestò soltanto al limite dell’asfalto della circonvallazione. Quasi rantolavano, dopo mesi di hillwilderness l’occupazione di una vera città era intossicante, alltaking. Pierre dovette balzare sull’asfalto e fronteggiare gli uomini, che non avanzassero piú di un solo passo, c’era una tregua e un impegno da rispettare. Non sarebbe riuscito a bloccarli, non l’avesse salvato la generale curiosità per l’automobile in cui Lampus1 e Nord si apprestavano a fare l’ingresso trionfale: una macchina enorme, tutta gialla, lampante preda bellica ai tedeschi, con sui parafanghi ciascun uomo armato di Thompson e dietro, sulle teste fisse dei capi, un uomo torreggiante brandeggiava un bren girevole.
Qualche minuto dopo le 11 i due parlamentari partigiani uscirono dal Vescovado, sorridenti e sudati e pallidi, e dopo un minuto di recupero tranciarono un allegro, confidenziale gesto di avanzare. L’ondata verticò e si abbatté, travolgendo l’immobile, stranito Johnny, che ora realised la vera gloria di tutto ciò, ad onta delle grige premesse e del nero futuro. Quella era la prima città libera dell’Alta Italia, cioè dell’unica Italia. C’era già nell’aria, esaltante ed oppressivo, il rombo delle campane, il boom degli evviva della popolazione. Imposte si schiudevano come spari, gente si sporgeva dai davanzali quasi volesse tuffarsi per un piú immediato e totale abbraccio. I marmocchi già sgusciavano tra le gambe dei partigiani avanzanti, vincendo col sicuro amore dei fratelli minori il panico per le armi, per le varie divise ed i volti stralunati.
Johnny, esausto di felicità e di resipiscenza, stava avviandosi verso il centro. Pierre lo rincorse: una squadra agli argini occorreva, a controllare l’esodo dei fascisti.
Il sergente andò con lui e i soliti trenta uomini, con la mitragliatrice americana. Nessuno deve sparare e nemmeno sgraffignare i loro bagagli, aveva detto Pierre. Andarono per il viale del Seminario che cessava di fungere da caserma, verso ed oltre la centrale elettrica. I ragazzi marciavano imbronciati e critici; perché proprio a loro quel servizio, mentre gli altri si godevano il centro, la folla, le ragazze... Cosí procedevano con un passo deciso e fazioso che li rendeva piú adulti. Il viale era tutto deserto e solo ferito dagli echi dei giganteschi fragori di gioia del centro, l’eco del bourdillon delle campane atterrava sul sordo asfalto come una pioggia di piombo. Lasciarono il viale e per vie d’erba deviarono al traghetto.
Sull’acqua correva un brivido di postuma felicità estiva, ma l’argine e il greto erano desolati, miserabilizzati dalla stessa miserabile apparenza del reparto fascista che si apprestava ad imbarcarsi per primo. Johnny allineò gli uomini a una certa distanza, fece piazzare la Buffalo discretamente e con efficacia, poi sorvegliò gli uomini, che, eccitati e aizzati dai boati che uscivano dalla città come da uno stadio in cui si segni ad ogni minuto un goal, non si sfogassero malamente sui poveri sgomberanti.
Il primo ufficiale che salí sul natante piangeva a capo chino, i partigiani lo schernirono sonoramente, l’ufficiale non reagí, anzi accelerò verso il natante, piú veloce e piú floscio.
I primi traghettati riposavano già sull’altra riva, non al limite dell’acqua, ma nel verde a ridosso di un arginello, emergevano a mezzo busto, ansiosi di vedere il seguito dell’esodo e timorosi di un fuoco di sorpresa da parte dei partigiani. I traghettatori civili facevano il loro lavoro a labbra serrate, con facce impenetrabili, parlando con gli ufficiali fascisti solamente quando non ne potevano fare a meno, per la distribuzione degli uomini e dei carichi. Avevano una discreta dotazione di armi ed abbondantissimo munizionamento e a tutto ciò i partigiani guardavano con indissimulabile cupidigia. Cominciarono a serpeggiare suggerimenti ed hints, talché Johnny dovette ricordare che l’accordo parlava di «armi e bagagli compresi».
Era un affare di ore: a passare un migliaio, forse duecento i passati. E gli uomini ora scalciavano, per la noia a mani legate, per sazietà del miserabile spettacolo offerto dal nemico, per la fame e per desiderio della città che ancora rimbombava di applausi e scampanio. Disse Miguel2: – Vedi, Johnny: quello che distingue un esercito partigiano da un esercito regolare è questo: in un vero esercito, quando sei fuori e lontano, si ricordano egualmente di te, in tutto e per tutto, per il soldo il rancio e perfino la posta. Nei partigiani no, nei partigiani uomo lontano uomo morto. Non è cosí?
Alle tre – il sole stava facendo bagaglio – arrivò dall’altro lato della strada del traghetto un reparto comunista. Esiguo ma scelto, a giudicare dall’aspetto degli uomini. Abbozzarono un saluto ai badogliani, poi affondarono i loro fermi occhi nella bassa, stitica fiumana dei fascisti.
Questi erano gli uomini che avevano dirottato il lancio inglese: avevano tutti sten o Remington e vestivano in completo inglese, sebbene per maggior distacco, quasi per beffarda distinzione, avessero caricato quell’incongeniale abito da battaglia dei loro antinomici distintivi: stelle rosse e sciarpa rossa, con un effetto complessivo che sconcertò e urtò Johnny. E pur cosí regolarmente vestiti, diedero agli sgomberanti fascisti un fremito superiore, un piú lungo disagio e strain.
Il loro capo si alzò dall’erba, si scosse e sistemò nella sua elegante dinoccolatezza e scese sulla strada con un suo fermo e beffardo passo, tranciando impassibilmente la cloaca rigurgitante dei fascisti avviati all’imbarco.
Davanti a Johnny si chinò sui ginocchi. – Mi offri una sigaretta inglese?
– Come sai che fumo inglese?
– Dall’azzurro del fumo.
Gli diede una Craven A.
– Mi piacciono enormemente. Al diavolo le campane!
Si era quetata l’ovazione della folla, ma le campane rolled on, stordenti.
– Io vi ritenevo fornitissimi di sigarette inglesi, anche di piú di noi, – disse Johnny.
Lo guardò con un’attenzione humouristica e sbieca.
– Ci farete il processo? – domandò.
– Chiedo per pura ammirazione, – precisò Johnny. – Come avete fatto? – Chi è quel genio...?
Fece una smorfia. – Il genio è morto. Morí qualche giorno dopo lo scherzo, in uno scontro con la loro cavalleria a V. Uno scontro cominciato bene per noi e finito malissimo proprio perché ci perdemmo Gabilondo. Qui nessuno s’illude, dovremo rimanerci tutti, gli ultimi venuti vedranno la vittoria, ma veramente Gabilondo doveva esser l’ultimo di noi a morire.
– Comunista?
– Gabilondo? Dalla testa ai piedi.
– E tu?
– Puah! – fece lui, ma lo spregio era per sé, non per l’idea. – Del resto, guarda i miei compagni. Sono quindici, e posso dire che sono la crema della nostra brigata. Ebbene, uno solo è comunista, quello tarchiato, con le lentiggini e gli occhiali. Ed io sono il meno comunista dei quattordici non comunisti. Eppure son pronto a mangiare il cuore a chi facesse appena un risolino alla mia stella rossa.
I compagni gli fischiarono che tornasse.
– Vado, – disse, – i miei si irritano perché si fa tardi ai postriboli. Secondo te, amico, quanti giorni i fascisti ci lasceranno in possesso della città? – Lo disse forte, incurante delle orecchie dritte dei fascisti in transito.
– Quindici, – disse Johnny, e come l’altro grimaced. – Sono ottimista?
– Superottimista, – e ritranciò la fiumana.
Alle quattro e mezzo il serpente imbarcantesi cominciava a mostrare gli anelli della coda. E arrivò Pierre, non per dar loro l’avvicendamento ma per pura nostalgia dei suoi uomini. Aveva gli occhi rossi, impudicamente. E come sapevano che avrebbe cominciato un discorso di comune interesse, gli uomini gli si assembrarono intorno, immemori dei fascisti sfilanti.
– La gente, Johnny, la gente, ragazzi, il popolo, – diceva a proposito dei suoi occhi rossi. – Vedrete, dovevate tutti vedere. La gente che t’invita a casa per il pranzo o al caffè per la bibita. La gente. Johnny, questo doveva esser fatto soltanto per capire la gente. Se ci risbatteranno in collina, lassú ci sarà di conforto il ricordo della gente. Ma io credo sinceramente, ragazzi, che con questa gente terremo la città fino alla fine.
Gli uomini hurraed e i fascisti trabalzarono.
– E, – proseguí Pierre, – lo saprete in ogni modo, mi hanno nominato comandante in terza.
Gli uomini lo applaudirono.
– Grazie, ma io mi sento orribilmente incompetente.
Disse Miguel: – Voi, tenente, siete il migliore di tutti come coscienza.
– Ma io parlo di competenza, – precisò Pierre.
– Miguel ha ragione, – disse Johnny. – Tu hai coscienza, e non ti preoccupare troppo della competenza. Pensa a quei capi che non hanno né l’una né l’altra.
Pierre gli accennò di andarsene, a vedere la città e la gente.
– Voglio vederli tutti sull’altra sponda, – grinned Johnny.
Era quasi finita, non restava che un picchetto di ufficiali, i superiori, con abbondante seguito e bagaglio. Ecco il colonnello comandante che suscitò in Pierre e Johnny il senso pieno ed ammorbante della miseria di tutta una casta e in Michele un’insopprimibile rinascita di coscienza gerarchica. Era anziano, pingue, di una pinguedine che rovinava la tollerabile discretezza della sua uniforme, con una avvizzita faccia di burocrate piú affannata che vergognosa, del tutto inerme fra il suo armatissimo seguito. Egli appariva semplicemente come il liquidatore della fallita gestione militarfascista della città. In contrasto, il suo seguito lo circondava delle piú marziali, piú scattanti attenzioni. Salirono tutti sul natante e Pierre e Johnny avanzarono a riva, come ad apporre un sigillo. Allora con un cenno il colonnello li invitò piú dappresso e con un altro cenno ordinò ai traghettatori di aspettare a disrivarsi. Ma fu un altro ufficiale a parlare, un ufficiale sui cinquant’anni, con una faccia dura e la bocca orgastica, forse il capo di stato maggiore del reggimento.
Fissò con occhio penetrante i fazzoletti azzurri e domandò se erano badogliani, o meglio stated it.
– Questo non fa differenza, signore, – disse Pierre.
– Voi siete ufficiali? – domandò ancora, senza vena d’interrogazione.
Disse Johnny indicando Pierre: – Nel vostro senso formale lui solo.
– Anche lei mi appare un ufficiale, nel grande solo vero senso del termine. Bene, ora voi possedete la città. Anzi, voglio andare oltre la città. Posso figurarmi che possediate tutta l’Italia. Bene: che farete, ragazzi, dell’Italia?
– Une petite affaire toute serieuse, – disse Johnny, e Pierre assentí con la sua inimitabile earnestness.
– Voglio dire, – insisté il maggiore, – ci sarà ancora un’Italia con voi?
– Certamente. Per favore, non se ne preoccupi.
Il colonnello sospirò gravosamente, il maggiore salutò rigidamente, imitato da una parte degli ufficiali, i traghettatori fecero forza sul cavo. E come se qualcuno l’avesse segnalato dagli spalti, di colpo la città rintronò di evviva e di scampanate. Johnny e Pierre si abbracciarono, coi piedi nella prima acqua, gli uomini ballavano al tempo delle campane e urlavano selvaggiamente.
– Voi siete liberi, – disse Pierre agli uomini. – Andate a godervi la città. Vedo scendere le pattuglie di turno. Domattina cominceremo a fortificare gli argini.
Stavano comodamente risalendo gli argini verso la città, quando un ragged tumulto sull’altra riva li fece volgere e fermarsi. Nella radura semiscoperta oltre l’arenile della Colonia Elioterapica alcuni ufficiali dovevano aver arringato la truppa ed infiammata, gli arringati ora rispondevano con voce di tuono, portata a un selvaggio acme dalla bruciante vergogna e dallo spirito di vendetta.
Gli uomini ritornarono alla riva, vi si acquattarono e Miguel puntò la Buffalo oltre l’acqua. Anche le pattuglie sopravvenenti scesero al riparo e in posizione. Intanto il natante stava tornando dal suo ultimo viaggio, i marinai si erano accorti di quanto si preparava sulle due sponde e urlando si aggrappavano al cavo per accelerare il ritorno. Non li mitragliarono dall’altra riva, ma coi mortai attaccarono la città liberata, dopo il primo gong dei loro mortai crepitò la mitragliatrice di Miguel. Fra le bestemmie degli uomini e il rosario degli spari si poteva cogliere l’urlio della popolazione sorpresa sotto il fuoco. Sulla città ulularono le sirene dell’allarme generale, mentre dall’altra riva i mortai raddoppiavano il loro funebre gong e su questa riva quattro mitragliatrici si erano in un baleno affiancate a quella di Miguel. In breve, sotto il fuoco di tutte le mitragliatrici, i fascisti sgombrarono, dopo un’ultima coppiola mirata non agli argini ma all’immancabile città.
Johnny entrò in città, solo ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I tre tempi de «Il partigiano Johnny». di Gabriele Pedullà
  4. Nota bibliografica
  5. Nota dell’editore
  6. Il partigiano Johnny
  7. I
  8. II
  9. La lingua del «Partigiano Johnny». di Dante Isella
  10. Cronologia della vita e delle opere
  11. Il libro
  12. L’autore
  13. Dello stesso autore
  14. Copyright