Il libro delle illusioni
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Il libro delle illusioni

  1. 280 pagine
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Il libro delle illusioni

Informazioni su questo libro

«Basterebbe una sola delle idee vertiginose intorno a cui è costruito Il libro delle illusioni per essere storditi di ammirazione per Paul Auster». Sandra Petrignani *** «Paul Auster ha scritto un libro sulla potenza e sulla fragilità dell'arte, cioè sulla piú patetica tra tutte le ambizioni umane: quella della durata». Eraldo Affinati *** Che fine ha fatto Hector Mann? Era una stella di Hollywood, all'epoca del cinema muto, ma poi è scomparso nel nulla. Molti anni dopo David Zimmer ripercorre le tracce della sua incredibile storia. Ma qualcuno non vuole che la verità venga a galla. Hector Mann ha concepito la vita come un'opera d'arte, e Zimmer scopre a proprie spese che l'arte può dare e togliere la vita. Qui Paul Auster tocca il cuore dell'esperienza artistica, la sua fragilità e la sua forza; perché e per chi esiste l'opera d'arte.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
Print ISBN
9788806184421
eBook ISBN
9788858407912

Capitolo quinto

Mezz’ora dopo, Alma cominciò. A questo punto ci trovavamo in volo a undicimila metri di quota, sopra qualche anonima contea della Pennsylvania o dell’Ohio, e lei continuò a parlare finché non arrivammo sopra Albuquerque. Seguí una breve pausa durante l’atterraggio, poi il racconto riprese: salimmo sulla sua macchina e cominciammo il viaggio di due ore e mezza fino a Tierra del Sueño. Percorremmo una serie di grandi strade nel deserto mentre il tardo pomeriggio diventava crepuscolo, e il crepuscolo notte. Se ben ricordo, il racconto durò senza interruzioni fino all’arrivo al cancello del ranch – dove peraltro non era ancora finito. Alma aveva parlato per quasi sette ore, ma quel tempo non era stato sufficiente a esaurire l’argomento.
All’inizio raccontava saltando di qua e di là, con scattanti andirivieni fra passato e presente, e mi ci volle un po’ per orientarmi e fissare un ordine cronologico. Era tutto nel suo libro, mi spiegò, nomi e date al completo, tutti i fatti essenziali, e non occorreva rimasticare i dettagli della vita di Hector prima della scomparsa – in ogni caso non in aereo quel pomeriggio, dato che nei prossimi giorni e settimane avrei potuto leggere il libro da me. Importante era il destino di Hector come uomo nascosto, gli anni che aveva passato nel deserto scrivendo e dirigendo film che non erano mai stati mostrati al pubblico. Quei film erano il motivo del mio viaggio nel New Mexico con lei, e per quanto potesse essere interessante sapere che Hector era nato col nome di Chaim Mandelbaum – su un piroscafo olandese in pieno Atlantico –, non contava poi molto. Poco contava che sua madre fosse morta quando lui aveva dodici anni, o che suo padre, un ebanista del tutto indifferente alla politica, fosse stato picchiato quasi a morte da una marmaglia di antibolscevichi e antisemiti durante la Semana Trágica a Buenos Aires, nel 1919. Fu questo a provocare la partenza di Hector per gli Stati Uniti, benché già da un po’ suo padre lo stesse consigliando di emigrare, e la crisi argentina ebbe solo l’effetto di accelerare la decisione. Sarebbe stato inutile elencare le due dozzine di mestieri che fece dopo essere sbarcato a New York, e ancora piú superfluo dilungarsi su quello che gli accadde dopo l’arrivo a Hollywood, nel 1925. Ne sapevo abbastanza dei suoi inizi come comparsa, attrezzista, e a volte attore non protagonista in film perduti e dimenticati, da permetterci di sorvolare su quegli anni; e abbastanza sui suoi intricati rapporti con Hunt da non richiedere ulteriori approfondimenti. L’esperienza, spiegò Alma, lasciò Hector amareggiato verso il cinema, ma non pronto a mollare, e fino alla notte del 14 gennaio 1929 non avrebbe mai pensato di doversene andare dalla California.
Un anno prima della sua scomparsa era stato intervistato da Brigid O’Fallon per «Photoplay». Era arrivata a casa sua, su North Orange Drive, una domenica pomeriggio alle tre, e prima delle cinque stavano già rotolandosi insieme sul tappeto alla ricerca di buchi e fessure dei rispettivi corpi. Hector era solito fare cosí con le donne, spiegò Alma, e non fu certo la prima volta che si serví dei suoi poteri di seduzione per mettere a segno una conquista rapida e decisiva. La O’Fallon aveva solo ventitre anni, era un’intelligente ragazza cattolica di Spokane che si era laureata alla Smith e poi era tornata nell’Ovest con l’intenzione di fare strada come giornalista. Alma aggiunse che si era laureata alla Smith anche lei, e aveva usato le sue conoscenze all’università per consultare una copia dell’annuario del 1926. La foto tessera della O’Fallon non spiegava tutto. Secondo Alma, i suoi occhi erano troppo ravvicinati, il mento troppo largo, e i capelli alla maschietta non valorizzavano i lineamenti. Però c’era qualcosa di frizzante in lei, scintille di malizia o di umorismo in agguato nel suo sguardo, un luminoso slancio interiore. In una foto tratta da una rappresentazione della Tempesta della filodrammatica studentesca, la O’Fallon era colta in piena recita nel costume da Miranda, con una tunica bianca leggera e un unico fiore bianco tra i capelli; e Alma ammetteva che in quella posa era adorabile, uno scricciolo sfolgorante di vita ed energia – la bocca aperta, il braccio teso nell’atto di declamare un verso. Come giornalista, la O’Fallon andava dietro allo stile dell’epoca. Frasi incisive e icastiche, con la dote aggiuntiva di spolverare gli articoli di divagazioni argute e abili giochi di parole che contribuirono ad assicurarle una veloce ascesa nella gerarchia interna della rivista. Il pezzo su Hector era un’eccezione, molto piú serio e palesemente elogiativo del protagonista di qualunque altro articolo suo che Alma avesse letto. Tuttavia la pesantezza dell’accento ispanico era solo di poco esagerata. La O’Fallon aveva aggiunto un po’ di condimento per l’effetto comico, ma Hector a quei tempi parlava piú o meno cosí. Con il tempo il suo inglese migliorò, ma negli anni Venti sembrava ancora appena sceso dal bastimento. Poteva anche essersi fatto un nome a Hollywood, ma appena ieri era uno straniero attonito come tanti altri, ritto sul molo con tutti i suoi beni terreni chiusi in una valigia di cartone.
Nei mesi dopo l’intervista, Hector continuò a correre la cavallina con tutte le giovani e belle attrici che gli capitavano. Amava mostrarsi in pubblico con loro, amava andarci a letto, ma nessuna di quelle avventure durò molto. La O’Fallon aveva piú cervello di qualunque altra donna conoscesse, e non appena era stanco del suo ultimo giocattolo, Hector telefonava immancabilmente a Brigid chiedendole di rivederla. Tra l’inizio di febbraio e la fine di giugno fece visita al suo appartamento dall’una alle due volte alla settimana, e nei mesi centrali del periodo, cioè per gran parte di aprile e maggio, stette con lei non meno di una ogni due o tre notti. Le era legato, senza il minimo dubbio. Con il passare dei mesi si stabilí fra i due una confortevole intimità, ma mentre la meno navigata Brigid la interpretò come un segno di amore imperituro, Hector non si illuse mai che fosse piú di un’intima amicizia. Per lui Brigid era l’amica del cuore, la partner sessuale, la fedele alleata, ma ciò non implicava che avesse alcuna intenzione di chiederle di sposarlo.
Essendo giornalista, lei non poteva non sapere che cosa combinava Hector le notti in cui non dormiva nel suo letto. Le bastava aprire il giornale del mattino per essere informata delle sue prodezze, per fiutare le allusioni alle sue cotte e amorazzi piú recenti. Anche se la maggioranza delle storie che leggeva su di lui erano false, c’erano nel complesso prove piú che sufficienti a destare la sua gelosia. Ma Brigid non era gelosa – o almeno non lo dava a vedere. Ogni volta che Hector la chiamava, lo accoglieva a braccia aperte. Non gli parlava mai delle altre donne, e dato che non lo accusava, non lo redarguiva, non gli richiedeva espiazioni, il suo affetto per lei non faceva che crescere. Il piano di Brigid era questo. Aveva perso la testa per lui, e invece di spingerlo a decidere prematuramente riguardo alla loro vita a due, si impose pazienza. Prima o poi Hector l’avrebbe finita di rincorrere gonnelle. La frenesia dongiovannesca avrebbe perso fascino per lui. Si sarebbe stufato: l’avrebbe estromessa dal suo modo di essere; avrebbe visto la luce. A quel punto lei sarebbe stata lí ad aspettarlo.
Cosí tramava fra sé e sé la lucida, piena di risorse Brigid O’Fallon; e per un certo periodo sembrò dovesse prendere il suo pesce all’amo. Impelagato nelle varie dispute con Hunt, alle prese con la fatica e lo stress di sfornare tutti i mesi un nuovo film, Hector perse un po’ della voglia di buttar via le notti nei jazz club e negli speakeasy sfinendosi a sedurre per sedurre. L’appartamento della O’Fallon diventò il suo rifugio, e le serate tranquille che vi trascorrevano insieme lo aiutarono a mantenere in equilibrio mente e lombi. Brigid aveva una penetrante inclinazione critica, e la sua superiore intelligenza del mondo cinematografico fece sí che Hector si affidasse sempre di piú al suo giudizio. Fu lei, in verità, a suggerirgli di fare un provino a Dolores Saint John per il ruolo di figlia dello sceriffo nel Trovarobe, la comica che stava per girare. Negli ultimi mesi Brigid aveva seguito la carriera della Saint John, e a suo avviso l’attrice ventunenne aveva le potenzialità per diventare la nuova diva, un’altra Mabel Normand o Gloria Swanson, un’altra Norma Talmadge.
Hector seguí il consiglio. Quando, tre giorni dopo, la Saint John entrò nel suo ufficio, lui aveva già visionato un paio di suoi film ed era deciso a offrirle il ruolo. Brigid aveva ragione sul talento della giovane Dolores, ma nulla di quanto lei aveva detto, e nulla di quanto Hector aveva visto della ragazza quando recitava poteva prepararlo all’effetto sconvolgente che la sua presenza fisica scatenò in lui. Un conto era vedere una persona sullo schermo in un film muto; altro è stringere la mano a quella persona e guardarla negli occhi. Forse c’erano attrici piú prorompenti sulla pellicola; ma nel mondo reale dei suoni e dei colori, nel mondo particolareggiato e tridimensionale dei cinque sensi e dei quattro elementi e dei due sessi, non aveva mai incontrato una creatura come quella. Non è che la Saint John fosse piú bella di altre donne, e neppure che, nei venticinque minuti trascorsi insieme quel pomeriggio, gli avesse detto cose memorabili. Anzi, a essere obiettivi, sembrava un tantino ottusa, di intelligenza per niente superiore alla media; ma c’era una ferinità in lei, un’energia animale che le correva sulla pelle e si irradiava dai suoi gesti, per cui non poté smettere di guardarla. Gli occhi che ricambiarono i suoi sguardi erano del piú chiaro celeste siberiano. La pelle era candida, e i capelli del rosso piú scuro, rosso tendente al mogano. A differenza della grande maggioranza delle donne americane nel giugno del 1928, portava i capelli lunghi e sciolti sulle spalle. Per un po’ parlarono del piú e del meno. Poi, senza alcun preambolo, Hector le disse che se la voleva, la parte era sua, e lei accettò. Non aveva mai lavorato in un film comico, e non vedeva l’ora di raccogliere la sfida. Quindi si alzò in piedi, gli strinse la mano e uscí dall’ufficio. Dieci minuti dopo, con la testa ancora arroventata dall’immagine del suo viso, Hector decise che Dolores Saint John era la donna che avrebbe sposato. Era la donna della sua vita, e se avesse scoperto che lei non lo voleva, allora non avrebbe mai preso moglie.
Recitò bene nel Trovarobe, soddisfacendo tutte le esigenze di Hector e aggiungendo qualche finezza di sua invenzione: ma quando lui le chiese di recitare nel film successivo, prese tempo. Le avevano offerto la parte di protagonista in un lungometraggio di Allan Dwan, e l’occasione era semplicemente troppo grandiosa per rifiutare. Hector, che era famoso per il tocco magico con le donne, con lei non approdava a nulla. Non trovava le parole in inglese per esprimersi, e ogni volta che era lí lí per dichiararsi, all’ultimo si tirava indietro. Sentiva che, se avesse detto le cose sbagliate, avrebbe potuto spaventarla rovinando per sempre le sue possibilità. Frattanto, continuava a passare alcune notti ogni settimana a casa di Brigid, e non avendole mai promesso nulla, ed essendo libero di amare qualunque altra donna, non le parlò della Saint John. A fine giugno, terminate le riprese del Trovarobe, la Saint John andò a girare degli esterni sulle Tehachapi Mountains. Lavorò nel film di Dwan per quattro settimane, durante le quali Hector le scrisse sessantasette lettere. Quello che non era stato capace di dirle a voce, trovò infine il coraggio di metterlo sulla carta. Lo ripeté ancora, e ancora, e anche se ogni volta che scriveva lo diceva in maniera diversa, il messaggio era sempre lo stesso. All’inizio, la Saint John fu stupita. Poi, fu lusingata. Poi cominciò ad aspettare con ansia l’arrivo delle lettere, e infine si rese conto di non poterne fare a meno. Quando tornò a Los Angeles all’inizio di agosto, disse a Hector che la sua risposta era sí. Sí, lo amava. Sí, voleva sposarlo. Sí, sarebbe diventata sua moglie.
Non si fissò una data per le nozze, ma parlavano di gennaio o febbraio – un tempo sufficiente per permettere a Hector di onorare il contratto con Hunt e decidere cosa fare dopo. Era giunto il momento di parlare con Brigid, ma lui continuava a rimandare, non riusciva mai a compiere il grande passo. Le diceva che doveva lavorare fino a tardi con Blaustein e Murphy, che era in sala di montaggio, o a scegliere una località per gli esterni, o era giú di corda. Fra i primi di agosto e la metà di ottobre inventò decine di scuse per non vederla, ma ancora non riusciva a decidersi a rompere del tutto. Pur nelle smanie della sua infatuazione per la Saint John, continuava ad andare a trovare Brigid una o due volte alla settimana, e appena entrato nell’appartamento si riaccomodava nel vecchio nido accogliente. Certo, lo si potrebbe accusare di pavidità: ma sarebbe altrettanto giusto definirlo un uomo combattuto. Forse ci stava ripensando, riguardo al matrimonio con la Saint John. Forse non era pronto a rinunciare alla O’Fallon. Forse era lacerato fra le due donne, aveva bisogno di entrambe. Il senso di colpa può spingere un uomo ad agire contro i propri interessi, ma altrettanto succede al desiderio; e quando colpa e desiderio si mescolano dentro al cuore di un uomo in parti uguali, quell’uomo facilmente farà cose strane.
La O’Fallon non sospettava di niente. A settembre, quando Hector scritturò la Saint John per il ruolo della moglie nel Signor Nessuno, lei si congratulò per la buona scelta. Non si allarmò piú di tanto neanche quando giunsero voci dal set che ci fosse una confidenza speciale fra Hector e la sua primattrice. A Hector piaceva fare il cascamorto. Si invaghiva regolarmente delle colleghe sul set, ma una volta ultimate le riprese, quando tutti tornavano a casa, se ne dimenticava in fretta. In questo caso, però, le chiacchiere durarono. Hector era già passato a Doppio o niente, il suo ultimo film per la Kaleidoscope, e dalla sua rubrica il Moscone ronzava che già si annunciassero le campane nuziali per una certa sirena dalla lunga criniera e il suo bel comico baffuto. A questo punto si era a metà ottobre e la O’Fallon, che non sentiva Hector da cinque o sei giorni, lo chiamò in sala di montaggio chiedendogli di andare a casa sua quella sera. Non gli aveva mai fatto una richiesta del genere, quindi lui annullò la cena in programma con Dolores, e invece andò a casa di Brigid. Lí, trovandosi in faccia la domanda cui da due mesi evitava di rispondere, finalmente le disse la verità.
Hector aveva pregato che succedesse qualcosa di decisivo, uno scoppio di furia femminile che lo avrebbe catapultato barcollante sulla strada tagliando la testa al toro; ma quando lui le diede la notizia, Brigid si limitò a guardarlo, a respirare profondamente e a dire che non era possibile che lui amasse la Saint John. Non era possibile, perché era lei che Hector amava. Sí, disse Hector, lui le voleva bene e gliene avrebbe sempre voluto, ma il fatto era che avrebbe sposato la Saint John. Allora Brigid cominciò a piangere, ma non lo accusò ancora di tradimento, non perorò le proprie ragioni né scoppiò a urlare di rabbia per l’orribile torto che aveva subíto. Lui si stava sbagliando, gli disse, e dopo aver capito che nessuna lo avrebbe mai amato come lei, sarebbe tornato. Dolores Saint John, disse, era una cosa, non una persona. Era una cosa, fulgida e intossicante: ma sotto l’epidermide era rozza, superficiale e tonta, e non meritava di diventare sua moglie. A questo punto Hector avrebbe dovuto dire qualcosa. L’occasione imponeva che tirasse fuori qualche parola brutale, sferzante, che avrebbe demolito la sua speranza per sempre… ma il dolore di Brigid era troppo potente per lui, la sua devozione troppo intensa, e mentre l’ascoltava pronunciare le sue brevi frasi affannose, non riuscí a farsi forza a dire quelle parole. Hai ragione, rispose. Probabilmente non durerà piú di un anno o due. Ma devo arrivare in fondo. Io devo averla, e quando l’avrò avuta, il resto vada pure come vuole.
Finí per passare la notte a casa di Brigid: non perché era convinto che la cosa potesse essere di qualche utilità a entrambi, ma perché lei gli chiese di fermarsi per l’ultima volta, e Hector non le poteva dire di no. L’indomani mattina sgattaiolò prima che lei si svegliasse e da quel momento per Hector le cose cominciarono a cambiare. Il contratto con Hunt andò in scadenza; lui si mise al lavoro con Blaustein a Linea-punto; i suoi progetti matrimoniali presero sostanza. Dopo due mesi e mezzo non aveva ancora avuto notizie di Brigid. Quel silenzio lo turbò leggermente, ma in realtà era troppo preso dalla Saint John per badarci granché. Se Brigid era scomparsa, l’unica ragione poteva essere che era una donna di parola, e troppo orgogliosa per ostacolarlo. Una volta chiarite le sue intenzioni, si era tolta di mezzo in modo da lasciarlo da solo a nuotare o annegare. Fosse rimasto a galla, probabilmente non l’avrebbe piú rivista. Fosse andato a fondo, probabilmente sarebbe accorsa in extremis per tentare di tirarlo su dall’acqua.
Fu di sicuro una consolazione per la coscienza di Hector pensare queste cose della O’Fallon, trasformandola in una specie di donna superiore che se le piantano i coltelli in corpo non soffre, che non sanguina quando la feriscono. Ma in assenza di fatti dimostrati, perché non abbandonarsi alle pie illusioni? Lui aveva voglia di credere che Brigid se la cavasse benone, che continuasse bravamente la sua vita. Notò che su «Photoplay» non comparivano piú suoi articoli, ma questo poteva voler dire solo che era fuori città o aveva trovato un altro lavoro; e per il momento non volle tenere conto di nessuna ipotesi piú sinistra. Fu solo quando infine lei si ripresentò (infilandogli una lettera sotto la porta la vigilia di Natale) che gli apparve tutta la meschinità del suo autoinganno. In ottobre, due giorni dopo che Hector l’aveva lasciata, Brigid si era tagliata le vene nella vasca da bagno. Non fosse stato per l’acqua filtrata nell’appartamento di sotto, la padrona di casa non avrebbe mai aperto la porta con la sua chiave, e avrebbero trovato Brigid troppo tardi. Un’ambulanza l’aveva portata all’ospedale. Dopo un paio di giorni si era rimessa, ma, gli scriveva, la sua mente aveva avuto un crollo, era rimasta in stato confusionale piangendo ininterrottamente, per cui i medici avevano deciso di tenerla in osservazione. Con il risultato di due mesi di degenza in psichiatria. Per lei, sarebbe stata disposta anche a passarci il resto della vita, ma solo perché ormai il suo unico scopo era trovare un modo per uccidersi, e non importava dove. Poi, proprio quando stava entrando nell’ordine di idee di riprovarci, c’era stato un miracolo. O meglio, lei aveva scoperto che un miracolo c’era già stato, e che lei da due mesi viveva nel suo incanto. Quando i dottori le avevano confermato che si trattava di realtà e non di un’invenzione della sua fantasia, non aveva piú avuto voglia di morire. Continuava spiegando di aver perso la fede da anni. Non si confessava dai tempi del liceo, ma quel mattino, quando l’infermiera era entrata per darle i risultati dell’esame, si era sentita come se Dio avesse avvicinato la bocca alla sua insufflandole la vita per la seconda volta. Aspettava un bambino. Era successo in autunno, l’ultima notte che avevano passato insieme: e ora portava il figlio di Hector nel suo grembo.
Quando l’avevano dimessa se n’era andata dal suo appartamento. Aveva qualcosa da parte, ma non abbastanza per continuare a pagare l’affitto senza tornare al lavoro – cosa adesso impossibile, dato che in precedenza si era licenziata dal giornale. Aveva trovato una stanza a buon mercato in un posto, continuava la lettera: un buco con un letto di ferro e una croce di legno alla parete, oltre a una colonia di topi sotto l’assito, ma il nome dell’albergo non glielo avrebbe svelato, e neanche la città. Sarebbe stato inutile, per lui, mettersi sulle sue tracce. Aveva dato un falso nome, e non voleva farsi vedere finché non fosse stata cosí avanti nella gravidanza che Hector non avrebbe piú potuto cercare di convincerla ad abortire. Aveva preso la decisione di tenere il bambino, e che Hector accettasse o meno di sposarla intendeva comunque diventare la madre di suo figlio. La lettera terminava cosí: Il destino ci ha fatti incontrare, mio tesoro, e dovunque mi trovi ora, sarai sempre con me.
Seguí un nuovo silenzio. Passarono altre due settimane, e Brigid tenne fede alla promessa di restare nascosta. Hector non disse niente della O’Fallon alla Saint John, ma sapeva che ogni possibilità di sposarla era di fatto tramontata. Non poteva pensare al loro futuro insieme senza pensare anche a Brigid, senza essere tormentato da immagini della sua ex amante gravida, distesa in qualche sordido hotel di un quartiere derelitto, proiettata pian piano verso la follia mentre il bambino cresceva dentro di lei. Non voleva rinunciare alla Saint John. Non voleva abbandonare il sogno di entrare ogni notte nel suo letto e sentire quel corpo liscio ed elettrico contro la pelle nuda… ma gli uomini sono responsabili delle proprie azioni; e se il bambino doveva nascere, allora non c’era piú scampo per ciò che aveva fatto. Hunt si suicidò l’11 gennaio, ma Hector non pensava piú a lui; e il 12, quando seppe la notizia, non provò alcuna emozione. Il passato non contava piú. Solo il futuro importava per lui, e di colpo quel futuro era in dubbio. Avrebbe dovuto rompere il fidanzamento con Dolores, ma non poteva fino a quando non fosse riapparsa nuovamente Brigid; e non sapend...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il libro delle illusioni
  3. Capitolo primo
  4. Capitolo secondo
  5. Capitolo terzo
  6. Capitolo quarto
  7. Capitolo quinto
  8. Capitolo sesto
  9. Capitolo settimo
  10. Capitolo ottavo
  11. Capitolo nono
  12. Il libro
  13. L’autore
  14. Dello stesso autore
  15. Copyright