INTRODUZIONE.
1. P. VALÉRY, Sguardi sul mondo attuale (1931), Adelphi, Milano 1994, p. 36. Per un commento circa questa e altre folgoranti intuizioni di Valéry rimando a G. MARRAMAO, Passaggio a Occidente. Filosofia e globalizzazione, Bollati Boringhieri, Torino 2003. Al libro, che è una delle fonti ispirative anche del presente saggio, è stato recentemente dedicato un ricco volume collettaneo: P. BAKER e altri, Filosofia dei mondi globali. Conversazioni con Giacomo Marramao, Bollati Boringhieri, Torino 2017.
2. Il tema simbolico dei quattro classici elementi naturali, presente in modi diversi in Heidegger, Jünger, Rosenzweig, Ėjzenštejn e tanti altri, era ricorrente al tempo di Schmitt. Poteva provenire da fonti eterogenee e spesso suggestivamente intrecciate: da temi biblici, dalla riscoperta del pensiero presocratico, dalla geopolitica o anche dalla ripresa di un motivo centrale nella poetica di Shakespeare rilanciato dall’influente libro di Caroline Frances Spurgeon intitolato Shakespeare’s Imagery and What It Tells Us (Cambridge University Press, Cambridge 1935).
3. C. SCHMITT, Terra e mare (1942), a cura di G. Gurisatti, Adelphi, Milano 2002, p. 17. Talora si è scelto di utilizzare la precedente edizione italiana del volume (a cura di A. Bolaffi, Giuffrè, Milano 1986), la quale contiene tra l’altro anche la traduzione del testo di Schmitt Dialogo sul nuovo spazio. In tal caso abbiamo indicato tra parentesi la data dell’edizione (1986).
4. Secondo Gurisatti, con la consueta lucidità Schmitt «comprende come la vera nuova dimensione spaziale contemporanea, l’aria, si ponga al di là della vecchia aporia terra-mare, casa-nave. Aria, però, non è soltanto l’aereo, il bombardiere addetto al police bombing, ma anche lo spazio cibernetico dell’informazione e della comunicazione, spazio globlocale, liquido-gassoso delle reti e dei flussi» (G. GURISATTI, Introduzione a C. SCHMITT, Stato, Grande spazio, Nomos (1995), a cura di G. Gurisatti, Adelphi, Milano 2015, p. 27). Per altro verso non ha però torto neppure Sloterdijk quando sostiene che «il teorema fondamentale della geopolitica schmittiana, il dogma del ruolo costitutivo per il potere del dominio della terra, del mare, dell’aria e del fuoco a causa della sua elementare limitatezza teorica mancò la dimensione decisiva di una moderna dottrina del potere, cioè la dimensione teorico-mediatica» (P. SLOTERDIJK, Il mondo dentro il capitale (2005), Meltemi, Roma 2006, p. 131, nota 6).
5. Non occorre qui insistere su come e quanto la lettura storico-elementare di Schmitt sia compromessa dalla sua adesione ideologica alla “justissima tellus” del nazionalsocialismo: molti altri penetranti studi hanno già saputo emendare il pensiero schmittiano dai suoi «doni avvelenati», cosí come hanno saputo anche inquadrarne l’utilità – forse persino l’inevitabilità – rispetto alla comprensione del tempo globale. Penso in particolare all’importante contributo di J.-F. KERVÉGAN, Che fare di Carl Schmitt? (2011), Laterza, Roma-Bari 2016.
6. W. L. WILLKIE, One World, Lippincott Company, New York 1943.
7. Per quanto la genealogia non possa aspirare all’esattezza della scienza storica, l’anno in cui l’età dell’aria viene a piena maturazione potrebbe essere collocato nel 1942: con il solo scambio di due cifre, tra il 1492 e il 1942 si conclude infatti l’epoca dell’espansionismo europeo successivo alla scoperta dell’America (il cui simbolo incontrastato era la nave) e, nel cuore del secondo conflitto mondiale, esordisce l’epoca del mondo dominata dalle forze atmosferiche degli aerei e delle telecomunicazioni. Questa è del resto proprio la soglia critica sulla quale si conclude Terra e mare (apparso tra l’altro proprio, come ricordavo, nel 1942), ma è soprattutto, su un piano storico-universale, l’anno che con la battaglia aeronavale di Midway segnerà l’ascesa della potenza americana come potenza globale.
8. P. SLOTERDIJK, Sfere II. Globi (1999), Cortina, Milano 2014, p. 817.
9. Si possono in merito ricordare le parole dello storico Karl Schlögel, secondo il quale «a dispetto di tutti i discorsi sulla “fine della storia” e di tutte le ipotesi sulla “scomparsa dello spazio”, viviamo al centro di una storia che ha preso il via in nuovo modo e forse si sta abbattendo su di noi, e al centro di uno spazio in dissoluzione alla cui stabilità – o addirittura “eternità” – ci eravamo abituati nel corso di mezzo secolo di guerra fredda» (K. SCHLÖGEL, Leggere il tempo nello spazio. Saggi di storia e geopolitica (2003), Bruno Mondadori, Milano 2009, p. 168).
10. In questa direzione si muove per esempio Steven Connor in The Matter of Air, Reaktion Books, London 2010. Certo, come tale l’aria detiene un elevato grado di prossimità allo spazio in generale: entrambi sono tra le cose, entrambi sono isomorfi, entrambi sono alternativamente contenente e contenuto, e pertanto possono risultare simultaneamente continui e discontinui, inclusivi ed esclusivi. Lo spazio fisico terrestre è sempre nell’aria, ma d’altra parte l’aria occupa necessariamente uno spazio. Col che il seguente paradosso: che mentre l’aria come elemento è un bene non privatizzabile ed escludibile, come spazio lo è di fatto e per principio. Da questa ambiguità è sorto un ampio e recente dibattito che ha assunto l’idea dell’aria come produttiva di atmosfere, in senso emotivo, sensoriale, estetico, ma anche politico e normativo. Cfr. A. PHILIPPOPOULOS-MIHALOPOULOS, Spatial Justice. Body, Lawscape, Atmosphere, Routledge, London 2004, e ID., Withdrawing from Atmosphere. An Ontology of Air Partitioning and Affective Engineering, in «Society and Space», XXXIV (2016), n. 1, pp. 150-67.
11. K. SCHLÖGEL, Arcipelago Europa. Viaggio nello spirito delle città (2005), Bruno Mondadori, Milano 2011, p. 57.
I. L’UNITÀ DEL MONDO. LEVIATHAN, BEHEMOTH, ZIZ.
1. VALÉRY, Sguardi sul mondo attuale cit., p. 23.
2. F. ROSENZWEIG, Globus. Per una teoria storico-universale dello spazio (1917), a cura di F. P. Ciglia, Marietti, Genova-Milano 2007, p. 37. Il titolo dell’edizione originale suona: Globus. Studien zur weltgeschichtlichen Raumlehre, in ID., Der Mensch und sein Werk. Gesammelte Schriften, vol. III, Zweistromland. Kleinere Schriften zu Glauben und Denken, Martinus Nijhoff Publishers, Dordrecht-Boston-Lancaster 1984, pp. 313-68.
3. Il titolo inizialmente prescelto da Rosenzweig (poi abbandonato perché giudicato troppo poco comprensibile) era quello di Sphaira. Sulla conformazione tridimensionale che il globo assume agli occhi di Rosenzweig, cfr. F. P. CIGLIA, Fra eurocentrismo e globalizzazione, Postfazione a ROSENZWEIG, Globus cit.
4. «Solo il tentativo di un’organizzazione mondiale sovranazionale potrà nascere dall’attuale conflagrazione mondiale, un tentativo, in quanto tale, destinato ad assumere molteplici configurazioni. Ci attendono ancora le piú grandi battaglie, le battaglie per la definizione di un’autentica idea del mondo. Esse si intrecceranno con le battaglie e con le alleanze relative alle idee imperiali che sono sorte oggigiorno» (ibid., pp. 81-82). Rosenzweig sapeva però che lo scenario postbellico avrebbe di fatto continuato a essere plurale e aperto: dallo scontro tra l’impero marittimo inglese, quello terraneo tedesco e quello universale russo, non sarebbe magicamente sortito alcun impero-mondo. Inoltre le nuove potenze (l’America e il Giappone, senza dimenticare l’Islam, «carico di possibilità oscure» e di pericoli per gli equilibri religiosi e politici del Mediterraneo) avrebbero potuto, in un futuro non lontano, ridefinire l’intero quadro della geopolitica mondiale.
5. Sul ruolo dell’Inghilterra nella contesa planetaria la posizione di Rosenzweig si presta in realtà a descrivere il ricorrente topos della cultura conservatrice tedesca dell’epoca guglielmina secondo cui il monopolio inglese sui mari sarebbe stato in colpevole contraddizione con l’assioma giuridico della loro libertà. La tesi era che gli Oceani, privi di confini e proprietari, liberi per principio, smettevano di essere tali nel momento in cui un’unica potenza li aveva trasformati in gigantesco mare interno, tradendo quell’idea di Mare liberum che Grozio aveva identificato con la stessa libertà del genere umano. Su questa strada Rosenzweig troverà importanti compagni di viaggio. Non solo Carl Schmitt, ma anche il fondatore della geopolitica tedesca, Karl Haushofer, che coniò l’immagine di un immenso anaconda per esprimere lo stritolante potere esercitato dal sea power inglese sull’Europa continentale. Dopo aver subito gli effetti del blocco navale inglese durante la prima guerra mondiale e poi gli effetti del Trattato di Versailles – tra i quali l’esclusione della Germania dalle politiche coloniali – era comunque piú facile per gli ideologi del Reich come Schmitt e Haushofer sostenere questo genere di argomenti. Ma occorre ricordare che già nel 1900 il geografo ed etnografo Friedrich Ratzel aveva scritto Il mare come fonte della grandezza di un popolo e che il suo auspicio – a supporto della politica di Tirpitz e della propaganda in favore della Kriegsmarine – era proprio che la Germania, sposando la visione geostrategica dell’ammiraglio americano Mahan, sulla quale torneremo, fosse in grado di porsi all’altezza degli imperi coloniali marittimi europei (F. RATZEL, Il mare, origine e grandezza dei popoli. Studio politico geografico (1900), Utet, Torino 1906, p. 34).
6. ROSENZWEIG, Globus cit., p. 36. Si potrebbe qui accidentalmente notare che, in quanto militare arruolato in una squadra antiaerea stazionata nei Balcani (la Flug-Abwe...