Il ritorno
eBook - ePub

Il ritorno

Padri, figli e la terra fra di loro

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il ritorno

Padri, figli e la terra fra di loro

Informazioni su questo libro

Nel marzo del 2012 Hisham Matar s'imbarca su un volo per la Libia. È il suo primo ritorno dopo trentatre anni nella terra color ruggine, giallo e verde intenso della sua infanzia, la terra che lo ha separato dal padre la notte del 1990 in cui Jaballa Matar venne sequestrato dal regime di Gheddafi, condotto nella terribile prigione di Abu Salim e poi fatto sparire. Il figlio Hisham ci accompagna in un viaggio lucido e struggente attraverso i luoghi di una memoria privata che è anche fardello collettivo di una nazione, alla ricerca di un padre perennemente vivo e morto al quale restituire almeno la certezza di un destino.

Hisham Matar ha diciannove anni quando suo padre Jaballa, fiero oppositore del regime di Muammar Gheddafi, viene sequestrato nel suo appartamento del Cairo, rinchiuso nella famigerata prigione libica di Abu Salim e fatto sparire per sempre. Ventidue anni piú tardi il figlio Hisham, che non ha mai smesso di cercarlo, può approfittare dello sprazzo di speranza aperto dalla rivoluzione del febbraio 2011 per fare finalmente ritorno nella terra della sua infanzia felice.
Quel viaggio verso un presente ormai sconosciuto non è che lo spunto per un itinerario storico e affettivo ben piú vasto. Visitando i luoghi e incontrando i parenti e gli amici che hanno condiviso con Jaballa decenni di prigionia nel «nobile palazzo» di Abu Salim, Hisham può recuperare un passato che risuona in lui con un'eco mai sopita e ritagliare i contorni di un padre che, in assenza di un corpo, risulta privo di confini. Le tappe del viaggio privato s'intersecano con la storia libica del ventesimo secolo, dalla resistenza all'occupazione italiana al flirt di Gheddafi con l'Inghilterra di Tony Blair. Ma anche all'antro piú buio, all'orrore piú raccapricciante, segue, in queste pagine, la luce di un dipinto di Manet, la melodia di un alam: la consolazione dell'arte e della bellezza come autentica espressione dell'uomo. E anche quando della speranza di ritrovare un padre vivo «non rimangono che granelli sparsi», lo sguardo di Matar continua a puntare risolutamente in avanti: «Mio padre è morto ed è anche vivo. Non possiedo una grammatica per lui. È nel passato, nel presente e nel futuro. Ho il sospetto che anche coloro che hanno sepolto il proprio padre provino la stessa cosa. Io non sono diverso. Vivo, come tutti viviamo, nell'indomani».

«La storia, che tocca il cuore e non abbassa lo sguardo, di una famiglia dilaniata dalla ferinità del nostro tempo».
Kazuo Ishiguro

«Matar è un geniale architetto della narrazione e stilista della prosa; il suo approccio piano e il passo misurato sono un efficace contrappunto al tumulto emotivo del suo materiale. Questo libro è un dono straordinario per tutti noi».
«The Wall Street Journal»

«Non si fa giustizia al nuovo straordinario libro di Hisham Matar definendolo semplicemente "memoir", perché è tante altre cose: riflessione sull'esilio e le consolazioni dell'arte, analisi dell'autoritarismo, storia famigliare, ritratto di un paese nelle ambasce della rivoluzione e appassionata elaborazione di un lutto».
«The New York Times Book Review»

Domande frequenti

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Informazioni

Capitolo diciassettesimo

Il figlio del dittatore

Fin dal 2004, quando Tony Blair andò in Libia e le relazioni fra i due paesi furono normalizzate, parecchi amici libici mi avevano sollecitato a prendere contatti con Seif el-Islam. Si sapeva che in piú di un’occasione, mentre l’immagine della Libia veniva sottoposta a maquillage, aveva fatto liberare dei prigionieri politici. E piú di recente, nel 2009, era riuscito in qualcosa che aveva dell’impossibile: strappare Abdelbaset al-Megrahi – un ufficiale dei servizi segreti libici colpevole della morte di duecentosettanta persone sul volo Pan Am 103 esploso nel cielo di Lockerbie – alle grinfie della giustizia scozzese. Dopo l’atterraggio a Tripoli, Seif scese trionfante dall’aereo tenendo sollevata in alto la mano di al-Megrahi. Il vento riempiva la manica di Seif, gonfiando il tessuto. Poco dopo, Seif comprò casa a Hampstead. Per vari giorni, dopo aver sentito la notizia, ho dovuto combattere il proposito di andare a bussare alla sua porta e sparargli.
Nel 2003, quando vivevo a Parigi, pochi giorni dopo che ero stato lí lí per buttarmi da un ponte, avevo scritto a Seif el-Islam il tipo di lettera che per anni avevo indirizzato alle autorità egiziane e libiche, specificando i fatti noti del caso di mio padre e chiedendo cosa ne fosse stato di lui. Nel corso degli anni ho scritto quasi trecento di queste lettere. Non ho mai avuto risposta. Un giorno abbiamo organizzato una manifestazione davanti all’ambasciata egiziana a Londra. Il poliziotto ha consegnato la lettera al giovane diplomatico egiziano in piedi sulla soglia dell’ambasciata. Il diplomatico ha sollevato la busta sopra la sua testa, in modo che tutti vedessimo mentre la strappava lentamente in due. Non è stata tanto la sua azione a rimanermi impressa, quanto la sua espressione, una veemenza che diceva di un curioso misto di ribrezzo e vergogna. È diventata la faccia di tutti quelli che non hanno risposto alle mie lettere. Non avevo mai piú scritto a Seif. Ma adesso, a distanza di sette anni e nel pieno della campagna, ero disperato: mi sarei rivolto anche al diavolo pur di sapere se mio padre era vivo o morto. Ero cosí allora; oggi non lo sono piú.
Ho composto il numero che mi aveva mandato Lord Rothschild. Nessuna risposta. Ho lasciato un messaggio. Dieci minuti dopo è squillato il telefono, un numero diverso. Ho sentito la voce di un uomo emettere la tipica sequela di affettate banalità, perfino piú insignificanti del solito, perché non dava il tempo di rispondere. Infine ha detto: – Sono Seif.
Mi sono presentato e gli ho chiesto un appuntamento.
Ha detto che mi sarebbe stato fatto sapere quando e dove.
La sera un uomo ha chiamato e ha detto: – Sono Rajab el-Laiyas –. L’ha detto come se dovessi sapere chi era. – Ci vediamo domani pomeriggio alle cinque al Jumeirah. Conosce?
Quando ho riattaccato, ho pensato che poteva succedere qualunque cosa. Potevo scoprire il destino di mio padre o essere sequestrato come lui. E ho ripensato a quei pochi minuti di buio sul Pont d’Arcole a Parigi. Ciò che mi aveva condotto lí era stato scoprire che, sebbene vivessi con la donna che amavo e, per la prima volta nella vita, potessi dedicare la maggior parte del mio tempo a scrivere, e il sole splendesse quasi ogni giorno e mangiassimo bene, l’unico sollievo alla sofferenza che tormentava ogni mio secondo poteva venirmi dal condividere con mio padre quello stesso «nobile palazzo» di Abu Salim.
Ho telefonato a Ziad al Cairo. Gli ho chiesto se poteva raggiungermi. Ha preso il volo notturno e la mattina dopo era davanti alla mia porta. Abbiamo fumato un sacco, bevuto infinite tazze di caffè, e cercato di prepararci. Abbiamo passato in rassegna tutti i possibili scenari: ci avrebbero fatti salire in una stanza o ci saremmo incontrati nell’atrio, o ci avrebbero chiesto di seguirli altrove, e quale sarebbe stata la loro strategia, e come era meglio reagire? Ho comunicato alle persone piú attive della nostra campagna luogo e ora dell’appuntamento. Diana ci avrebbe aspettati in un caffè della zona con un elenco dei numeri da chiamare nel caso non fossimo tornati.
Il Jumeirah Carlton Tower Hotel è a Knightsbridge. L’unica cosa che ne sapevo era che molti anni prima, quando non si chiamava cosí, il romanziere peruviano Mario Vargas Llosa e il poeta messicano Octavio Paz avevano l’abitudine di incontrarsi lí. Siamo arrivati dieci minuti prima e ci siamo seduti a un tavolo rotondo da quattro nel bar a lato dell’atrio, da dove si aveva una buona visuale dell’ingresso. Non sono certo che i miei ricordi di quell’atrio siano precisi o se il mio stato d’animo di allora li abbia alterati. Comunque, lo ricordo cosí. Nel salone, massicci uomini d’affari arabi sedevano in gigantesche poltrone. Architetti o agenti immobiliari inglesi si curvavano su di loro nei bei completi indicando grandi fogli e planimetrie architettoniche. Piú quegli inglesi speranzosi si chinavano, piú le cravatte stringevano, piú le loro facce apparivano congestionate.
Sebbene non ne avessimo voglia, io e Ziad abbiamo ordinato un tè.
Una donna che sembrava un po’ a disagio strimpellava un’arpa al centro dell’atrio. Il suo talento era evidente, ma ovviamente le avevano dato istruzioni di limitarsi a pezzi strumentali di celebri canzoni pop. Stava suonando le prime note di Yesterday dei Beatles. Abbiamo intravisto il predicatore televisivo Amr Khaled attorniato da un gruppo di ammiratori. A parecchi tavoli sedevano coppie di prostitute di alto bordo, sorseggiando vino. Sembravano tanti fiori artificiali. Dopo una maratona di motivi di successo, l’arpista si è concessa un breve diversivo. Una delle Variazioni Goldberg di Bach. La numero 7, credo. Per circa un minuto.
Con un’ora di ritardo rispetto a quella stabilita, un gruppo di uomini in jeans e T-shirt, piú simili a un complesso hip-hop che a una scorta, sono venuti a passo svelto verso il nostro tavolo. Seif aveva scelto con cura il suo seguito. Con lui c’era Mohammad al-Hawni, un avvocato sessantacinquenne con uffici a Roma, da dove curava investimenti libico-italiani. Lo abbiamo soprannominato l’Intellettuale, in quanto il suo obiettivo principale era farci capire che alcuni collaboratori di Seif leggevano. Gli altri erano guardie del corpo – una delle quali, Seif ha voluto sottolinearlo, apparteneva alla nostra tribú. Seif si è seduto di fronte a me, l’Intellettuale di fronte a Ziad, e le guardie del corpo hanno occupato il tavolo alle nostre spalle.
Ziad esibiva la sua consueta affabile sicurezza. Temo che ciò gli pesasse piú di quanto pesasse a me il ruolo che sostenevo. Ha chiesto loro cosa volevano bere e se erano frequentatori abituali di quel posto.
– Immagino sia il suo locale preferito, – ha detto Ziad in inglese, e ha sorriso.
Allora Seif ha chiesto: – Chi di voi è lo scrittore?
Ziad gli ha detto che ero io.
– È lei lo scrittore? – ha chiesto di nuovo Seif.
– Sí, – ho detto io.
– E non fa altro?
– Temo di no.
– Come sarebbe, intende dire che la sola cosa che fa è scrivere?
– Esatto.
– Non fa nient’altro?
– Cerco di evitarlo, – ho detto io.
– Lei è uno scrittore meraviglioso, – si è intromesso Mohammad al-Hawni. – Un grande talento. Siamo molto orgogliosi di lei.
– Mi stupisce che mi legga, visto che i miei libri in Libia sono proibiti.
– No, no, no, – ha detto l’Intellettuale. – Nessuno al mondo, giusto? L’ho letto. L’ho letto in italiano. Ottimo libro. Sta lavorando a qualcos’altro? Faccia presto, stiamo aspettando.
Tutte quelle noiose sciocchezze avevano un obiettivo serio. Miravano a capire come diavolo avesse fatto un irrilevante scrittore a montare un simile «chiasso», per dirla con Miliband. Com’era riuscito a coinvolgere membri anziani della Camera dei lord, il ministero degli Esteri, Premi Nobel, giuristi di fama internazionale, associazioni per i diritti umani e organizzazioni non governative? È una spia? Perché non gli interessano i soldi? Come – è questo che si chiede sempre il potere – lo si può mettere in riga?
Una delle guardie del corpo di Seif gli ha allungato un telefono. – Scusate, – ha detto Seif, e ha risposto.
– Ottimo libro, – ha bisbigliato Mohammad al-Hawni. Poi, dopo qualche istante: – Nessuno al mondo.
Mentre Seif chiudeva la telefonata, Ziad mi ha guardato con il suo sorriso malizioso. A voce abbastanza alta perché tutti lo sentissero, ha detto: – Vedete che bel giovanotto?
– Come ha detto? – ha chiesto Seif dopo aver riattaccato.
– Stavo solo dicendo che lei è un bel giovanotto.
Nonostante quel dialogo bizzarro, l’incontro è cominciato bene. Ziad ha esposto i fatti nudi e crudi e ha fatto una sintesi della nostra lunga battaglia per ottenere informazioni. Seif si è scostato dalla linea ufficiale. Invece di negare il sequestro e l’incarcerazione di nostro padre, ha confermato che era stato portato in Libia.
– È un caso terribilmente complesso, – ha detto. – Sono implicati i servizi segreti egiziani e i servizi segreti libici. Potrebbe crearmi un sacco di problemi, ma sono pronto ad affrontarli. Vi prometto che me ne occuperò e vi farò sapere quel che è successo, minuto per minuto, notizie buone e notizie cattive.
– Anche se fosse morto, – ha detto Mohammad al-Hawni.
Quello è stato il primo accenno.
– Potrete farne quel che volete, – ha proseguito Seif. – Sono pronto a renderlo noto io stesso. Comprerò un’intera pagina di giornale e lo farò pubblicare, – ha detto con tono di sfida. – Voglio chiudere il caso.
Poi ha parlato di quanto mio padre fosse pericoloso per il regime libico.
– Se siete cosí sicuri di voi, – ho detto, – avreste dovuto processarlo.
– Fu una stupidaggine, – ha detto lui, con ciò sottintendendo che c’era un altro modo, un modo «piú intelligente» di farlo sparire.
– Senta, – ho detto, – potete dissentire dalle scelte politiche di mio padre, ma dubitate del suo patriottismo?
– No, – ha detto Seif.
– Allora dovreste vergognarvi –. Non ero sicuro di ciò che stavo facendo. Una parte di me voleva metterlo alla prova, vedere se aveva la stessa fierezza di suo padre. – Avete preso uno degli uomini migliori della Libia, l’avete preso con un’azione vile, e poi avete sostenuto di non saperne niente. Un uomo che si dedicava al suo paese e il cui padre prima di lui combatté per liberare la Libia dagli italiani. Piú che stupido, è criminale.
Allora è intervenuto Ziad, ammorbidendo il tono: – Ma siamo fiduciosi. Vogliamo darle l’occasione di limitare i danni, i danni che ciò tuttora provoca alla nostra famiglia.
– Lei cosa fa al Cairo? – gli ha chiesto Seif.
– Sono un industriale. Confezioni tessili.
– Perciò ha delle fabbriche?
– Sí.
– Produce vestiti… che tipo di vestiti?
– Per il mercato americano, principalmente.
– Perché non torna? Se vuol fare affari, le daremo una mano. La Libia è il suo paese. Vogliamo che lei spezzi questa barriera.
– Non siamo qui per parlare di questo, – ha detto Ziad. – E poi,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il ritorno
  4. I. Botola
  5. II. Abito scuro
  6. III. Il mare
  7. IV. La terra
  8. V. Blo’thaah
  9. VI. Poesie
  10. VII. La tua salute? La tua famiglia?
  11. VIII. La tregua e la clementina
  12. IX. Il vecchio e suo figlio
  13. X. La bandiera
  14. XI. L’ultima luce
  15. XII. Bengasi
  16. XIII. Un’altra vita
  17. XIV. Il proiettile
  18. XV. Massimiliano
  19. XVI. Campagna d’opinione
  20. XVII. Il figlio del dittatore
  21. XVIII. Le buone maniere degli avvoltoi
  22. XIX. Il discorso
  23. XX. Anni
  24. XXI. Ossa
  25. XXII. Il patio
  26. Ringraziamenti
  27. Nota bibliografica
  28. Il libro
  29. L’autore
  30. Dello stesso autore
  31. Copyright