Filosofia del design
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Filosofia del design

  1. 248 pagine
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Filosofia del design

Informazioni su questo libro

Collegato idealmente alla Storia del design dello stesso autore, pubblicata nel 1985, questo libro si propone di associare varie tendenze filosofiche ad altrettanti orientamenti del design, con il duplice intento di divulgare i principi base di quest'ultimo e di conferirgli una maggiore dignità culturale.
La filosofia che informa il saggio non è quella metafisica o, per cosí dire, dei massimi sistemi, bensí un'altra piú duttile, mondana e pragmatica, cioè delle mentalità, delle visioni del mondo, ovvero un'ottica piú empirica, affine alla natura del design - che è appunto una disciplina empirica -, espressione della «cultura materiale» che si avvale talvolta persino di un linguaggio businesslike. Qui, con il termine filosofia si vuole indicare tutto quanto concerne un «modo di pensare al design», un «ragionamento sul design», la sua fenomenologia teorizzata dall'autore come un processo che comprende il progetto, la produzione, la vendita e il consumo.

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Informazioni

Capitolo sedicesimo

Il design come gioco

Il binomio gioco-design figura già nel primo capitolo dedicato alla «riduzione» culturale. Qui viene ripreso a chiusura di un circolo che va appunto dalla «riduzione» agli aspetti piú attuali della filosofia del design.
Adotto il termine «gioco» anzitutto perché la sua polisemia – sono oltre trenta i significati della parola – mi sembra appropriata alla complessità del design piú recente, quello che va dall’ultimo ventennio del Novecento a oggi. In secondo luogo perché il senso ludico è una linea che caratterizza alcune tra le maggiori aziende italiane e l’opera dei piú creativi designer. In terzo luogo perché solo un abile gioco può ammettere la coesistenza del Minimalismo con l’high tech che considero, nonostante la loro radicale differenza, i principali stili del design attuale. Infine, per un’altra tematica d’oggi, quella per cui, anche a causa della tecnologia digitale, i nuovi prodotti, oltre ad avere nuove funzioni rivelatesi ormai indispensabili, presentano anche una componente ludica, penso evidentemente ai telefoni cellulari.
I molteplici significati del termine gioco consentono la formazione di varie categorie, qui tra le piú pertinenti al design e all’economia del mio testo, ne indico tre seguendo il noto schema highbrow, middlebrow e lowbrow.
Al primo livello, prettamente filosofico, il gioco si presenta come un’attività che si esercita solo in vista di se stessa e non per il fine cui tende o per il risultato che produce. Per tale carattere, Aristotele avvicinò il gioco alla felicità e alla virtú perché anche queste attività si scelgono di per se stesse e non sono «necessarie» come quelle che costituiscono il lavoro. Kant si pose sulla stessa linea, ma fu anche il primo che collegò il concetto di gioco direttamente all’attività estetica. Per Schiller, persino l’animale lavora se il movente della sua attività è la mancanza di qualche cosa; e gioca se il movente è la pienezza della sua forza, se lo stimola all’attività un’esuberanza di vita.
Gran parte del pensiero di Schiller, almeno per quanto attiene al nostro argomento, può tradursi in una efficace proposizione «ludica». Chiamando gli istinti dell’uomo «vita» (Leben) e le regole imposte dalla società «forma» (Gestalt), l’impulso al gioco e la sua conseguente educazione estetica agirebbero da fattore risolutivo, acquistando l’appropriato nome di «forma vivente» (lebende Gestalt), una possibile definizione dell’arte e della bellezza.
Altri autori hanno confermato che il gioco è l’attività che ha di mira solo il piacere di esercitarla. Muovendo da tale assunto c’è stato chi ha utilizzato il gioco come la migliore forma di apprendimento (Fröbel).
L’arte è un gioco per antonomasia pur basandosi su regole; il design, in qualche modo, tradisce l’originaria concezione aristotelica in quanto il suo gioco è solo in parte gratuito perché prevalentemente motivato da una finalità. Cosicché anche al primo e piú alto livello il concetto di gioco presenta delle variazioni che vanno dal piú puro interesse pratico alle attività piú funzionali, anch’esse tuttavia esercitate con piacere, la «joy in labour» teorizzata da Ruskin e Morris.
Tra i piú significativi è il rapporto tra gioco e avanguardia. Come osservava Menna oltre quarant’anni or sono, «la pedagogia estetica di Schiller mette Marcuse in relazione con la tradizione artistica moderna e gli consente di rilanciare (sia pure implicitamente) l’istanza centrale dell’avanguardia e del Movimento Moderno: l’esigenza di sottrarre l’arte alla sua tradizionale condizione di eccezionalità e di trasferire i principî formativi all’interno della esistenza quotidiana»1. E piú avanti: «se il progresso e la civiltà tecnica hanno dovuto sacrificare allo stato di necessità e alla sopravvivenza dell’uomo sublimandola in principio di prestazione, è giunto il momento di procedere in senso inverso, dalla “civiltà” alla “natura”, recuperando quest’ultima come momento autonomo e originariamente positivo della persona umana. In questa operazione l’attività artistica subisce una reinterpretazione radicale s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Filosofia del design
  3. Introduzione
  4. I. La «riduzione» culturale
  5. II. Il trinomio e il quadrifoglio
  6. III. La distinzione delle arti
  7. IV. I capisaldi della storiografia
  8. V. La rivoluzione industriale e il design
  9. VI. Arts and Crafts e marxismo
  10. VII. Artidesign e Wiener Werkstätte
  11. VIII. Sachlicheit e Werkbund
  12. IX. Sichtbarkeit e protorazionalismo
  13. X. Il design razionalista
  14. XI. Verum factum e Bauhaus
  15. XII. La plastica dalla natura all’artificio
  16. XIII. La filosofia dell’usa e getta
  17. XIV. Postmodern e radical design
  18. XV. La «tecnoscienza» e il design
  19. XVI. Il design come gioco
  20. Indice dei nomi
  21. Il libro
  22. L’autore
  23. Copyright