Il diritto globale
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Il diritto globale

Giustizia e democrazia oltre lo Stato

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il diritto globale

Giustizia e democrazia oltre lo Stato

Informazioni su questo libro

Se l'economia ha scavalcato i confini degli Stati, lo stesso può dirsi degli Stati stessi, le cui funzioni essenziali si svolgono oltre il territorio nazionale: i militari impegnati sotto le bandiere dell'Onu e della Nato sono più dei militari italiani o di quelli francesi.
Lo spazio giuridico globale è pieno di regimi regolatori settoriali, ciascuno con il suo sistema di norme e con un apparato chiamato a farle osservare. In esso operano circa duemila enti. Sono gli Stati che dànno l'investitura iniziale agli organismi globali. Ma, poi, l'azione di questi ultimi va oltre l'ambito statale.
La globalizzazione giuridica deve far fronte a problemi diversi, quali il conflitto tra uniformità globale e differenze nazionali, la coesistenza di diversi regimi regolatori globali, la concorrenza di norme globali, norme nazionali e norme locali, la difficoltà di individuare i giudici competenti a risolvere conflitti che sono sia globali, sia nazionali.
Come penetrano il diritto e i suoi principî (il due process of law, la ragionevolezza, la proporzionalità, l'obbligo di motivazione delle decisioni, la giustiziabilità) nello spazio globale? Quale ruolo vi svolgono i giudici? In assenza di una democrazia cosmopolitica, quale titolo hanno gli organismi globali di determinare standard - che i privati debbono rispettare - e di imporre vincoli agli Stati nazionali?

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
Print ISBN
9788806196905
eBook ISBN
9788858437520
Argomento
Diritto
Capitolo quarto

Le caratteristiche del diritto globale

Si è finora accertato che esiste un ordine globale e che questo si vale di una rete molto sviluppata di rapporti giuridici. Questo ordine è ben lontano dall’essere immaturo.
Occorre ora accertare a quali principî giuridici esso si ispira, esaminandone le caratteristiche in quanto ordine regolato dal diritto.
A tal fine, e per dar conto della estensione delle discipline globali, saranno presi in esame regimi regolatori diversi, relativi al lavoro, a Internet, all’ambiente, al commercio, alla pesca.
Di questi regimi saranno considerati gli aspetti organizzativi (ad esempio, struttura dell’Organizzazione internazionale del lavoro, dell’Icann, dell’Organizzazione mondiale del commercio, della Commissione per la conservazione del Southern Bluefin Tuna), il potere normativo o regolativo (quali il divieto del ricorso al lavoro forzato, i criteri per l’assegnazione dei nomi a dominio, gli standard procedurali per la difesa dei diritti relativi all’ambiente e per la tutela della libertà nel commercio mondiale), i mezzi di esecuzione (quali le misure di ritorsione, l’assistenza per l’attuazione, i programmi di implementazione, le misure di esecuzione indiretta, attraverso le amministrazioni nazionali), le procedure amministrative e giurisdizionali di riesame (quali quelle che si svolgono dinanzi alle Compliance Committees, agli Inspection Panels, ai Panels e all’Appellate Body dell’Organizzazione mondiale del commercio).
Sarà necessario, da un lato, esaminare istituti diffusi anche negli ordinamenti statali, ma usati nel contesto globale in funzioni diverse; dall’altro, illustrare principî e regole globali che si applicano sia all’ordine giuridico da cui provengono, sia a quelli nazionali, cosí creando intrecci, sovrapposizioni, conflitti.
Come vedremo, si tratta di quel complesso di principî e istituti che vanno sotto il nome di rule of law, o sotto quello di due process of law, e che costituiscono alcune delle principali acquisizioni del diritto dell’ultimo secolo: partecipazione degli interessati al processo di decisione, principî di ragionevolezza e di proporzionalità dell’azione pubblica, obbligo di motivazione delle decisioni, giustiziabilità.
L’analisi che segue consentirà di apprezzare fenomeni strutturali diversi, quali la settorialità dei regimi globali, il loro ordinamento non gerarchico, la scarsa uniformità dei numerosi regimi che costituiscono l’ordine globale, il peculiare modo in cui pubblico e privato interagiscono in ambito globale, l’utilizzo delle amministrazioni nazionali da parte delle istituzioni globali, le relazioni dirette stabilite dai regimi regolatori globali con i privati, la multipolarità delle dispute globali.

1. Il rispetto delle norme globali: il caso Myanmar e l’Ilo.

Myanmar, in passato denominata Birmania1, è il piú grande Stato dell’Indocina peninsulare e confina a ovest con il Bangladesh e l’India, a nord-est con la Cina e a est con la Thailandia e il Laos. Si estende per oltre 678 500 chilometri quadrati e conta circa 50 milioni di abitanti.
Colonia inglese dalla fine dell’Ottocento2, il 4 gennaio del 1948 divenne repubblica indipendente, conosciuta come Unione della Birmania, e Sao Shwe Thaik ne fu il primo presidente. Il governo democratico birmano venne destituito nel 1962 da un colpo di stato militare condotto dal generale Ne Win, rimasto poi al governo per quasi ventisei anni3. Nel 1988, dopo una rivolta studentesca costata la vita a migliaia di persone (circa 10 000), Ne Win si dimise, venne proclamata la legge marziale e il generale Saw Maung salí al potere con un nuovo colpo di stato militare. Nel 1990 si tennero, per la prima volta in trent’anni, elezioni libere. La Lega nazionale per la democrazia (Nld), il partito di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, vinse l’80% dei seggi dell’Assemblea costituente (392 membri, su un totale di 485). Tuttavia, il Consiglio per la restaurazione della legge e dell’ordine di Stato (Slorc), sostenuto dall’esercito, rifiutò il risultato elettorale, rovesciò l’assemblea popolare e arrestò Aung San Suu Kyi e altri leader dell’Nld4. Il 27 marzo 2006, la giunta militare spostò la capitale nazionale da Yangon a un luogo vicino a Pyinmana, ufficialmente chiamato Naypyidaw, in birmano «la sede dei re»5.
Myanmar è una delle nazioni piú povere al mondo. La coltura del riso e di altri cereali nelle regioni settentrionali del Paese, l’allevamento dei bovini, la pesca costituiscono le principali fonti di reddito. Sulle montagne nord-orientali, ai confini con Laos e Thailandia, nel c.d. triangolo d’oro, è diffusa la coltivazione di oppio, da cui si ricavano eroina e morfina destinate al commercio clandestino. Attualmente, Myanmar è il maggiore produttore di oppio del Sud-Est asiatico e il secondo produttore mondiale dopo l’Afghanistan6.
La popolazione di Myanmar è etnicamente composita. Il governo riconosce ufficialmente 135 diversi gruppi etnici e sono piú di 100 le lingue parlate. I Birmani costituiscono i due terzi della popolazione. Altre minoranze sono i Karen, gli Shan, i Mon, i Rakhine, i Rohingya, i Chin, i Kachin e i Karenni. Inoltre, circa 120 000 individui vivono come rifugiati in Thailandia. La presenza di forti minoranze ha reso storicamente difficile la convivenza. In particolare, i Karen e gli Shan sono stati a lungo impegnati in una guerra civile contro il governo centrale.
L’Organizzazione internazionale del lavoro ha recentemente stimato che nel mondo sono 12 300 000 gli individui costretti ai lavori forzati7. Questa cifra si riferisce per il 20% a lavoro forzato imposto da Stati e da forze armate e, per il resto, a forme di lavoro forzato indotte da privati (l’11% sono casi di sfruttamento sessuale)8.
Il lavoro forzato è un fenomeno globale9. Tuttavia, alcune zone del mondo ne sono maggiormente interessate. Nell’area asiatica e del Pacifico circa 9 490 000 persone sono soggette a lavoro forzato10. Il caso di Myanmar è il piú eclatante. Nonostante la sua adesione nel 1948 all’Organizzazione internazionale del lavoro (International Labour Organization [Ilo]) e la ratifica avvenuta nel 1955 della convenzione sull’abolizione del lavoro forzato del 1930, il governo birmano ancora oggi fa massiccio ricorso a lavoro forzato, anche per finalità rieducative di detenuti11.
L’Ilo è un organismo specializzato delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere la giustizia sociale e i diritti umani internazionalmente riconosciuti, con particolare riferimento al lavoro. È stata la prima agenzia specializzata a far parte del sistema delle Nazioni Unite nel 1946, ma la sua fondazione risale al 1919 (nell’ambito della Società delle Nazioni).
La Costituzione dell’Ilo venne redatta tra il gennaio e l’aprile del 1919 dalla Commissione internazionale del lavoro costituita dal Trattato di Versailles. La Commissione era formata da rappresentanti di nove Paesi (Belgio, Cecoslovacchia, Cuba, Francia, Giappone, Italia, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti) e presieduta da Samuel Gompers, presidente della Confederazione americana del lavoro (American Federation of Labour [Afl]). Essa dette vita a un’organizzazione tripartita, unica nel suo genere, i cui organi esecutivi sono composti da rappresentanti di governi, imprenditori e lavoratori.
Il modello organizzativo interno adottato fu quello proposto da Albert Thomas – primo direttore generale dell’Ilo – che assicura la rappresentanza degli Stati12, ma in modo disaggregato. L’art. 7, comma 1, della Costituzione dell’Ilo stabilisce che «il consiglio di amministrazione [Governing Body] è composto di 56 persone: 28 rappresentano i governi, 14 i datori di lavoro, 14 i lavoratori»13.
Nel complesso, nell’Ilo sono impiegate circa 1900 persone, di 100 nazionalità diverse, distribuite in parte a Ginevra, in parte nei 40 uffici decentrati dell’Ilo (field offices).
Gli obiettivi dell’organizzazione sono quattro: promuovere e garantire l’applicazione delle norme, dei principî e dei diritti fondamentali del lavoro; creare maggiori opportunità di occupazione e redditi dignitosi, per donne e uomini; estendere i benefici e l’efficacia della protezione sociale per tutti; rafforzare il tripartismo e il dialogo sociale. Dunque, l’Ilo ha, da una parte, funzioni di standard setter e in questa veste «spetta alla conferenza precisare se tali proposte debbano assumere la forma: a) di una convenzione internazionale; b) o di una raccomandazione, quando l’oggetto trattato o uno dei suoi aspetti non si presti all’adozione immediata di una convenzione» (art. 19, co. 1, Cost. Ilo). E, dall’altra, vigila sull’attuazione degli standard.
Alla fine del 2003, l’Ilo aveva adottato oltre 180 convenzioni e 190 raccomandazioni su un ampio numero di argomenti: libertà di associazione e diritto di contrattazione collettiva, parità di opportunità e di trattamento, abolizione del lavoro forzato e del lavoro minorile, promozione dell’occupazione, formazione professionale, sicurezza sociale, condizioni di lavoro, amministrazione e ispezione del lavoro, prevenzione degli incidenti sul lavoro, protezione della maternità, protezione dei migranti e di alcune categorie di lavoratori come i marittimi, il personale infermieristico o i lavoratori delle piantagioni. Sono attualmente state registrate oltre 7000 ratifiche.
Delle convenzioni, due sono particolarmente importanti ai nostri fini: la n. 29 sul lavoro forzato (Forced Labour Convention), adottata nel 1930 dall’International Labour Conference (e ratificata – come già detto – dal governo birmano il 4 marzo del 1955), e la n. 105 sull’abolizione del lavoro forzato (Abolition of Forced Labour Convention) del 1957. Quest’ultima completa la precedente e proibisce ogni forma di lavoro forzato o coatto come mezzo di coercizione o di educazione politica, metodo di mobilitazione della manodopera, misura disciplinare sul lavoro, misura di discriminazione, sanzione per aver espresso opinioni politiche o ideologiche o per aver partecipato a scioperi.
L’art. 1, comma 1 della convenzione del 1930 stabilisce che «[o]gni Stato membro dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro che ratifichi la presente convenzione si impegna ad abolire nel piú breve termine possibile l’impiego del lavoro forzato o obbligatorio in tutte le sue forme». In particolare, vi è un obbligo di vigilare sulla corretta attuazione delle norme. L’art. 25 dispone: «[i]l fatto di esigere illegalmente il lavoro forzato o obbligatorio sarà passibile di sanzioni penali e ogni Stato membro che ratifichi la presente convenzione avrà l’obbligo di assicurarsi che le sanzioni imposte dalla legge si...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il diritto globale
  4. I. Nel labirinto delle globalizzazioni
  5. II. L’ordine giuridico globale
  6. III. Globalizzazione e rule of law
  7. IV. Le caratteristiche del diritto globale
  8. 1. Il rispetto delle norme globali: il caso Myanmar e l’Ilo
  9. 2. La «governance» di Internet
  10. 3. La «rule of law»: il caso Kazakistan
  11. 4. Le mele americane in Giappone e l’Omc
  12. 5. La pesca del tonno e il Tribunale arbitrale del mare
  13. 6. La cattura del «Juno Trader»
  14. 7. L’Accordo anti-dumping e l’importazione degli accessori di ghisa nell’Ue
  15. 8. L’Omc e l’importazione di acciaio negli Usa
  16. 9. I mezzi di contrasto iodato tra Canada e Usa
  17. 10. Le misure di ritorsione: undici governi contro gli Usa
  18. 11. Esiste un sistema giuridico globale?
  19. V. Il ruolo dei giudici
  20. VI. Verso una giustizia e una democrazia globali?
  21. Note
  22. Nota bibliografica
  23. Nota sulle fonti
  24. Il libro
  25. L’autore
  26. Copyright