Bestia di gioia
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Bestia di gioia

Mariangela Gualtieri

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  1. 144 pagine
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Bestia di gioia

Mariangela Gualtieri

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Informazioni sul libro

Per la prima volta Mariangela Gualtieri ha scritto una raccolta poetica fortemente strutturata, con un ritmo meno magmatico delle precedenti, scandito da sezioni che articolano il libro alternando temi e toni diversi, in particolare il canto gioioso, quasi francescano, della natura e la riflessione sulle cose umane, sullo strappo del tempo, sul momento finale, più misterioso che triste, che trasforma il niente in «un niente più grande».
In realtà le cinque sezioni del libro, se danno una sensazione di maggiore classicità (come i cinque atti del teatro antico), sono legatissime fra loro, in parte concatenate, in parte attraversate da fili addirittura lessicali, e proseguono fedelmente il discorso poetico dell'autrice, sempre fortemente ispirato.
Non mancano dunque scissioni interiori, proliferare di voci profonde e laceranti, come nelle raccolte passate, ma la prospettiva trascendente è perlopiù proiettata all'esterno, su un albero, sull'aria che sta fra i corpi, sul silenzio che lega le cose. E questa prospettiva, in misura ancora maggiore che in Senza polvere senza peso, traccia un percorso di felicità istintivo e infuocato, ma nello stesso tempo pacificante.
Anche a livello metrico il libro mostra un rapporto più pacato con la tradizione, con una forte disseminazione di endecasillabi e altri versi regolari, senza perdere il senso più profondo dell'originaria aggressività.
Un libro della maturità in tutti i sensi, che porta probabilmente i frutti migliori, finora, di tutte le raccolte poetiche dell'autrice.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
ISBN
9788858437889

Naturale sconosciuto

campagna di San Mamante 2007-2008
Non c’è scatto nel cielo.
Solo il fulmine ha spigoli e fuoco.
Solo il fulmine viaggia nervoso.
Ma guarda ora – che pace –
A me pare di averlo percorso
tutto a volo – questo azzurro
che si dispiega pacato. Mi pare
un luogo che conosco. Che è stato
di me. E lo è ancora.
Se guardo – entra nella radice
dà da bere al mio
alimenta il mio fuoco.
Natura risvegliata
scatena tutte le forme apprese in sogno.
Ecco la gemma. Ecco la foglia.
Ecco un volo perfetto di ala.
Ecco un canto esperto d’uccello.
Ben istruita ogni creatura
fa la sua parte di fidanzata.
S’ingravida e si espande.
Ripete l’avventura del venire alla luce
la traversata grande – fino alla scomparsa.
Per tutte le costole bastonate e rotte.
Per ogni animale sbalzato dal suo nido
e infranto nel suo meccanismo d’amore.
Per tutte le seti che non furono saziate
fino alle labbra spaccate alla caduta
e all’abbaglio. Per i miei fratelli
nelle tane. E le mie sorelle
nelle reti e nelle tele e nelle
sprigionate fiamme e nelle capanne
e rinchiuse e martoriate. Per le bambine
mie strappate. E le perle nel fondale
marino. Per l’inverno che mi piace
e l’urlo della ragazza
quel suo tentare la fuga invano.
Per tutto questo conoscere e amare
eccomi. Per tutto penetrare e accogliere
eccomi. Per ondeggiare col tutto
e forse cadere eccomi
che ognuno dei semi inghiottiti
si farà in me fiore
fino al capogiro del frutto lo giuro.
Che qualunque dolore verrà
puntualmente cantato, e poi anche
quella leggerezza di certe
ore, di certe mani delicate, tutto sarà
guardato mirabilmente
ascoltata ogni onda di suono, penetrato
nelle sue venature ogni canto ogni pianto
lo giuro adesso che tutto è
impregnato di spazio siderale.
Anche in questa brutta città appare chiaro
sopra i rumorosissimi bar
lo spettro luminoso della gioia.
Questo lo giuro.
a Sabrina M.
Che forza insolente hanno i fiori.
Pompano il colore per tutta
la camera. Ridono cosí forte
nel morire. Tornano sempre.
Ah! fiori! chi non vi sa
è perduto in un grigio disordine
crollato nel lato d’ombra della specie.
Voi, lezione somma
per sfumatura e dono.
Lui canta. O chiama.
Lui nasce imparato al canto.
Al canto e al volo. Sa buttarsi dal ramo
con fede. Una forza conduce
sostiene. Una forza pilota.
Lui la conosce.
Lui ne fa parte.
Lui la produce. Volando
fa il cielo. Cantando
fa la voce del Dio
uccellatore. Sul ramo
ora Dio con piccoli scatti
collauda la primavera
fino alla cassaforte
del fiore. Prega.
Lo fa col colore.
Lo fa con la luce.
Hanno detto che è stata una cometa
che impattando col duro della terra
ha portato l’acqua fra le pietre
del nostro pianeta.
Una cometa hanno detto.
Un ghiaccio volante di luce
come scagliato da altre stelle
fin qui. E dentro c’era
la legge della specie, la formula
del sangue e delle linfe
il timbro di ogni voce.
L’acqua è la perfetta chiave
che apre le forme scatenate.
L’acqua che ancora beviamo
è stata strascico di luce
viaggiante. Bastimento abbagliante
nel buio fra i mondi.
Battaglio con tutte le orchesse
che in forme sottili si invischiano
nel pensiero ed è il silenzio a lavare
le strisce di tutte le lumache
le orme inutili del camminatore
è il silenzio che incendia
le capigliature e piú dentro mette
il seme e il seme.
È il silenzio la lezione piú grande.
Oltre, lo sentiamo
forma non serve – nome nemmeno
si lascia qui l’ingombro si depone
perché poi si scavalca il mondo
e un volo si accende
immenso oltre l’aurora.
Ah! libertà vorticosa!
Stare bene profondo.
Essere ogni cosa.
Quel mattino
per un ordine dato alla campagna
tutte le ragnatele
sono apparse fra la sterpaglia
portate all’evidenza
con polveri di sapienza dei re.
Strategia della bava
filo di bocca che cuce
erba con erba, soglia con soglia
del taciturno.
Potenza sua minuta.

Interrogazione alla primavera

con pericolosa rima finale
Ma se prima non c’erano
i fiori, cinquanta milioni di anni fa.
Quale cuore mancante
cosí traboccante di mancanza
quale giocondissima mente
è esplosa al suo centro
in colorati frammenti di sé
di se stessa pensante.
Quale cuore che mente
ha schizzato fuori
la legge della fioritura
i colori e le forme
e la sfumatura cosí delicata
dei petali nel punto d’innesto
alla corolla.
Quale cuore, carico di
una gioia che noi solo intuiamo
quale acrobatica mente
ha gettato la prima manciata nel fango
a fare petalo
pistillo e corolla e urlo d’amore
del colorato fiore?
a Paola F.
Una foglia cadendo
fa il piccolo tonfo
scuote un poco la stella
e una geometria d’universo
si sbilancia negli assi.
Tutto un tratteggio di rette infinite
un pulsare di gradi angolari
nessuna ala distesa fa a meno
e la caduta non è che un’
algebra infinita che va giú
nella cifra, nel rigo.
Non so se il vento ha un colore
non so se il vento nel suo
manto di polveri, in quel suo
frettoloso scostare e sbattere
troppo impaziente per le mie
celebrazioni, non so
se il vento con le sue vocali
soffiate sotto la porta
abbia la sgarbataggine a volte
di certe mani grossolane
o sia piuttosto un capitano
di vele battagliere su onde
spaventose. Se il vento abbia
in sé piú fiato della folla dei morti
e ceneri e pollini viaggiatori
insieme all’ape
se il vento con le corolle
non faccia turpi balletti
scendendo di sotto nel campo
slabbrato d’attesa
e ingravidi tutte le bocche
di questa primavera col suo
rotondo di spire con riccioli
di vento e refoli e plotoni
d’aria e battaglioni che si gettano
increduli di tanta larghezza
di tanta fiduciosa attesa
di piante morbide
che piegano o favolisticamente
inchinano le chiome al sovrano
che senza parlare precipita e comanda.
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