Per fornire un resoconto dettagliato degli ultimi, indelebili giorni del nostro amico, mi vedo costretto a interrompere la serie di lettere con una narrazione, per la quale ho raccolto materiale dalla bocca di Lotte, di Albert, del suo servitore e di altri testimoni.
La passione di Werther aveva progressivamente minato la pace fra Albert e sua moglie: egli la amava con la tranquilla lealtà di un uomo onesto, e l’armonico rapporto esistente fra loro con l’andare del tempo era stato subordinato alle sue incombenze. A se stesso non voleva ammettere perché i giorni del fidanzamento fossero cosí diversi dai presenti, e tuttavia nel profondo avvertiva una certa contrarietà per le attenzioni che Werther riservava a Lotte: gli dovevano sembrare un’intromissione nei suoi diritti e allo stesso tempo una sottile forma di biasimo. Ne risultò amplificato quel cattivo umore che le sue sin troppo numerose incombenze, mal retribuite e spesso intralciate, talvolta gli procuravano, e poiché le condizioni di Werther non mancavano di riflettersi anche su di lui, divenne un interlocutore mesto al quale le angustie del cuore sottraevano la vivacità, l’acume, e le rimanenti forze dello spirito; alla fine non poté non restarne contagiata anche Lotte che cadde preda di una sorta di malinconia, in cui Albert credette di scorgere una crescente passione per il suo innamorato, e Werther una profonda scontentezza per il mutato atteggiamento del marito. La diffidenza che caratterizzava il rapporto fra i due amici rendeva altamente problematica la reciproca frequentazione. Albert evitava la stanza della moglie quando Werther era da lei, e quest’ultimo, che se ne accorse, dopo alcuni vani tentativi di staccarsi del tutto, colse l’occasione per vederla nelle ore in cui il marito era preso dalle sue incombenze. Ne scaturí una nuova insoddisfazione, gli animi risultarono sempre piú esacerbati e alla fine Albert disse alla moglie senza mezzi termini che, non fosse altro che per la gente, doveva dare una svolta al rapporto con Werther e limitare le sue troppo frequenti visite.
All’incirca in questa fase, nell’animo del povero giovane si era precisata la decisione di lasciare questo mondo. Era un’idea profondamente radicata in lui, un’idea che lo accompagnava sempre, soprattutto da quando era tornato da Lotte.
Non doveva tuttavia essere un gesto affrettato, improvviso, intendeva fare il passo quando ne fosse stato pienamente convinto, e con determinazione il piú possibile serena.
Da un foglietto, forse una lettera a Wilhelm solo iniziata, non datata e trovata fra le sue carte, traspaiono i suoi dubbi, i suoi dissidi interiori:
La sua presenza, il suo destino, la sua partecipazione per il mio, spremono anche le ultime lacrime dal mio cervello ormai consumato.
Alzare il sipario e passare dall’altra parte, tutto qui! E perché tante titubanze, tante esitazioni? – Perché non sappiamo cosa c’è al di là? – O perché non si torna indietro? – Perché la mente umana immagina confusione e tenebre di un luogo di cui non abbiamo notizie certe.
Non riusciva a dimenticare i dispiaceri provati nella Legazione. Non ne parlava spesso ma anche quando lo faceva, prendendola alla larga, si intuiva che riteneva irrimediabilmente compromesso il proprio onore e che quell’evento aveva determinato in lui un’avversione contro ogni impiego e attività diplomatica. Si abbandonò quindi del tutto al modo di sentire e pensare che traspare dalle sue lettere, e a un’insaziabile passione che alla fine non poteva non estinguere ogni sua operosità. L’immutabile uniformità di un rapporto senza prospettive con l’amabile e amata creatura, la cui tranquillità egli turbava, il tumultuoso consumarsi delle sue forze, senza obiettivi e senza prospettive, lo spinsero infine allo spaventoso gesto.
20 dicembre
Sono grato al tuo affetto, Wilhelm, che ti ha fatto notare quella frase. Sí, hai ragione: Sarebbe meglio se me ne andassi. La proposta che fai di tornare da voi non mi piace del tutto, o quanto meno vorrei fare ancora un giro, visto che possiamo sperare che il gelo persista e le strade siano in buono stato. E apprezzo molto che tu intenda venirmi a prendere, però aspetta quindici giorni, ti manderò una lettera con ulteriori dettagli. Nulla va colto prima che sia maturo. E quindici giorni in piú o in meno contano molto. A mia madre devi dire che preghi per suo figlio e che le chiedo perdono per tutti i fastidi che le ho recato. Il destino ha voluto che debba affliggere coloro ai quali sono debitore di gioia. Dio ti protegga, mio carissimo. Sia con te ogni benedizione del cielo! Dio ti protegga!
Quello stesso giorno, era la domenica prima di Natale, verso sera si recò da Lotte, che trovò sola. Era intenta a sistemare alcuni giocattoli che aveva preparato come regalo per i fratellini. Werther parlò della gioia che avrebbero provato i piccoli, e ricordò gli anni in cui la porta che si apriva all’improvviso, svelando l’albero adornato di candele, dolcetti e mele, era fonte di un celestiale rapimento. Anche voi, disse Lotte dissimulando l’imbarazzo sotto un amorevole sorriso, anche voi avrete un regalo, se farete il bravo, una candelina di cera e anche qualcos’altro. Cosa intendete con fare il bravo? ribatté lui, che devo fare, che posso fare, carissima Lotte? Giovedí sera, disse lei, è la vigilia di Natale, verranno i bambini, ci sarà anche mio padre, tutti avranno qualcosa, e allora verrete anche voi – ma non prima. – Werther si adombrò! – Vi prego, riprese lei, fate come vi ho detto, vi prego per la mia pace, non si può, non si può continuare cosí! – Egli distolse lo sguardo da lei, prese ad andare su e giú per la stanza e borbottò fra i denti quel: Non si può continuare cosí! Lotte, che aveva capito in quale spaventoso stato d’animo lo avessero fatto precipitare quelle parole, cercò di distrarre i suoi pensieri, ponendogli varie domande, ma fu tutto inutile: No, Lotte, esclamò, non vi vedrò piú! – E perché mai? rispose lei, Werther, potete, dovete rivederci, ma moderatevi. Oh! Perché siete nato con addosso questa veemenza, con questa passione, che non vi lascia mai, per tutto ciò con cui venite in contatto. Vi prego, proseguí, prendendogli la mano, moderatevi, il vostro spirito, il vostro sapere, il vostro talento: quante soddisfazioni possono darvi! Siate uomo, distogliete questo affetto senza prospettive da una persona che altro non può fare se non compatirvi. – Werther digrignò i denti e la guardò torvo. Lei continuava a tenere la sua mano: Vi chiedo un solo istante a mente fredda, Werther, disse. Non vi rendete conto che vi state ingannando, che vi state consapevolmente annientando? Perché proprio io? Werther! Perché io, che sono di un altro? Né piú, né meno! Temo, temo davvero che sia solo l’impossibilità di farmi vostra a rendervi tanto seducente questo desiderio. Egli liberò la mano dalla sua, fissandola con uno sguardo adirato. Saggia! esclamò, davvero molto saggia! È un’osservazione di Albert? Astuta! Molto astuta! – Poteva essere di chiunque, rispose lei. Non posso immaginare che nel vasto mondo non esista una giovane in grado di esaudire i desideri del vostro cuore. Fate uno sforzo, cercatela, vi giuro, la troverete. Già da molto mi preoccupa, per voi e per noi, l’isolamento al quale negli ultimi tempi vi siete costretto. Fate uno sforzo! Un viaggio vi distrarrà, non potrà non distrarvi! Cercate, trovate un oggetto degno di tutto il vostro amore, e quando poi tornerete potremo godere insieme della gioia di un’amicizia autentica.
Quanto avete detto, disse lui con un sorriso algido, potrebbe benissimo essere dato alle stampe e raccomandato a tutti i precettori. Cara Lotte, lasciatemi ancora un po’ di tempo, tutto si sistemerà. – Solo una cosa, Werther! Non venite prima della vigilia! – Stava per rispondere quando entrò Albert. Si scambiarono un freddo buonasera e presero ad andare su e giú per la stanza l’uno accanto all’altro. Werther iniziò a parlare di argomenti insignificanti, interrompendosi ben presto, Albert fece lo stesso, quindi chiese alla moglie a che punto fossero talune faccende e quando apprese che non erano ancora state sbrigate commentò con alcune parole mordaci che trafissero il cuore di Werther. Voleva andarsene ma non ci riusciva, esitò sino alle otto, mentre l’irritazione e il malanimo reciproci aumentavano, poi venne apparecchiata la tavola e a quel punto lui prese bastone e cappello, mentre Albert, per mera cortesia, gli chiedeva se non volesse restare a cena con loro.
Arrivò a casa, tolse di mano il lume al domestico che voleva fargli luce, raggiunse da solo la sua camera, dove pianse forte, parlò concitatamente con se stesso, andò su e giú per la stanza in preda a una forte agitazione, e alla fine si gettò sul letto vestito, dove lo trovò il servitore che verso le undici osò entrare per chiedere se dovesse togliere gli stivali al signore, il quale lo lasciò fare intimandogli, per l’indomani mattina, di non entrare sino a quando non lo avesse chiamato.
Lunedí mattina, era il ventuno dicembre, a Lotte scrisse la seguente lettera, rinvenuta dopo la sua morte sigillata sullo scrittoio e a lei fatta pervenire; la inserisco a passi qui di seguito come sembra che lui l’abbia scritta.
È deciso, Lotte, voglio morire, Te lo scrivo senza alcuna esaltazione poetica, in tutta tranquillità, il mattino del giorno in cui Ti vedrò per l’ultima volta. Quando leggerai queste righe, carissima, la fredda tomba già coprirà le membra irrigidite di quest’anima inquieta, infelice, che per gli ultimi istanti della sua vita non riesce a immaginare dolcezza piú grande del parlare con te. Ho passato una notte atroce, ma ahimè, anche una notte benefica che ha consolidato, precisato la mia ancora incerta decisione: voglio morire. Quando ieri, nello spaventoso tumulto di tutti i miei sensi, mi sono strappato da Te, tutto, tutto opprimeva il mio cuore, e la mia esistenza al Tuo fianco, senza speranza e senza gioia, mi attanagliava con spaventoso gelo; ho raggiunto a stento la mia camera, fuori di me mi sono gettato in ginocchio e, mio Dio! mi hai concesso l’ultimo conforto di amarissime lacrime, e mille propositi, mille intuizioni infuriavano nella mia anima, e alla fine eccolo, definitivo, potente l’ultimo dominante pensiero: Voglio morire! – Mi sono sdraiato, e al mattino, nella tranquillità del risveglio, è ancora lí, saldo e risoluto nel mio cuore: Voglio morire! – Non per disperazione, perché sono fermamente convinto che ho smesso di soffrire e che mi sacrifico per Te, sí Lotte, perché dovrei tacerlo: uno di noi tre deve andarsene, e voglio essere io. Oh mia adorata, in questo cuore dilaniato ha spesso infuriato un pensiero, spesso – uccidere Tuo marito! – Te! – me! – E sia! Quando, in una bella serata estiva, salirai sul monte, ricordati di me, ricorda le tante volte che salivo su dalla valle, poi volgi lo sguardo verso il camposanto, verso la mia tomba, mentre il vento fa ondeggiare l’erba alta nel chiarore del tramonto. – Ero tranquillo quando ho cominciato e adesso piango come un bambino perché tutto ciò prende vita intorno a me. –
Verso le dieci Werther chiamò il servitore, e mentre si vestiva, gli disse che sarebbe partito dopo qualche giorno e che doveva quindi spazzolare i suoi vestiti e predisporre ogni cosa per fare i bagagli, gli diede anche ordine di fare arrivare tutte le fatture, di andare a ritirare alcuni libri dati in prestito e di distribuire in anticipo ad alcuni poveri ai quali era solito dare qualcosa ogni settimana quanto spettava loro per due mesi.
Si fece portare il pranzo in camera e dopo aver mangiato si recò a cavallo dal vicario, che tuttavia non trovò in casa. Prese a camminare su e giú per il giardino immerso nei suoi pensieri, e sembrava, da ultimo, volersi fare carico di tutta la malinconia dei ricordi.
I piccoli non lo lasciarono in pace a lungo, lo rincorsero, gli saltarono addosso, gli dissero che venuto domani e poi ancora domani e un altro giorno ancora sarebbero andati da Lotte a prendere i regali di Natale, e gli raccontarono tutte le meraviglie che la loro piccola immaginazione si riprometteva. Domani! esclamò, e poi ancora domani, e un altro giorno ancora! Quindi li baciò tutti affettuosamente e stava per lasciarli, quando il piú piccolo volle dirgli ancora qualcosa all’orecchio. Gli confidò che i fratelli piú grandi avevano già scritto gli auguri per il nuovo anno, grandi cosí, e uno per il papà, uno per Albert e Lotte, e uno anche per il signor Werther. E che volevano consegnarli la mattina di Capodanno.
Si sentí sopraffatto, fece un dono a ciascuno di loro, montò a cavallo, pregò che salutassero il vecchio da parte sua, e con le lacrime agli occhi partí.
Giunse a casa verso le cinque, ordinò alla domestica di occuparsi del fuoco e di fare in modo che restasse acceso sino a notte fonda. Al servitore chiese di mettere libri e biancheria sul fondo della valigia e di cucire gli abiti nella tela. Poi scrisse verosimilmente questo passo della sua ultima lettera a Lotte:
Non Ti aspetti la mia visita. Pensi che Ti obbedisca e che Ti riveda solo la vigilia di Natale. Oh Lotte! Oggi o mai piú. La vigilia reggerai in mano questo foglio, tremerai e lo bagnerai con le tue lacrime. Voglio, devo! Oh come mi fa stare bene l’aver deciso.
Alle sei e mezza raggiunse la casa di Albert: Lotte era sola e fu molto turbata dalla sua visita. Conversando con il marito, aveva detto che Werther non sarebbe tornato sino alla vigilia. Subito dopo lui aveva fatto sellare il cavallo, l’aveva salutata dicendole che intendeva recarsi da un funzionario nelle vicinanze con il quale doveva sbrigare alcune faccende, ed era quindi partito nonostante il tempaccio. Lotte, ben sapendo che Albert aveva a lungo rimandato quell’incombenza che lo avrebbe tenuto lontano da casa una notte, capí subito il senso di quella sceneggiata che la rattristò profondamente. Se ne stava seduta immersa nella sua solitudine, il cuore le si fece tenero, vide il passato, sentí tutta la propria stima e il proprio amore per il marito che adesso iniziava a essere non la promessa felicità bensí il tormento della sua vita. I suoi pensieri andarono a Werther. Lo biasimava ma non riusciva a odiarlo. Un che di enigmatico glielo aveva reso prezioso sin dal primo istante della loro conoscenza, e ora, dopo tanto tempo, dopo tanti momenti vissuti insieme, aveva lasciato un segno indelebile nel suo cuore. Il suo cuore oppresso trovò infine sfogo nelle lacrime e si mutò in una quieta malinconia nella quale si smarrí con il passare dei minuti.
Ma come prese a batterle il cuore quando sentí Werther salire le scale e chiedere di lei all’ingresso. Era troppo tardi per farsi negare, e quando lui entrò nella stanza riuscí a stento a riprendersi dal suo turbamento. Non siete stato di parola! gli disse subito. Non ho promesso niente, fu la sua risposta. Avreste quanto meno potuto esaudire la mia preghiera, replicò lei, ve l’avevo rivolta per la pace di entrambi. Mentre diceva queste parole, pensò di mandare a chiamare alcune amiche. Desiderava che fossero testimoni della sua conversazione con Werther, e a sera, dovendo accompagnarle a casa, se ne sarebbe andato per tempo. Le aveva riportato alcuni libri, lei ne chiese in prestito altri, cercava, in attesa delle amiche, di tenere la conversazione sulle generali, ma la domestica tornò informandola che entrambe si scusavano, la prima aveva in visita dei molesti parenti, l’altra non aveva voglia di cambiarsi e di uscire con quel tempaccio.
Divenne pensierosa per qualche istante, poi in lei si fece orgogliosamente largo la consapevolezza della propria innocenza. Non si diede pensiero per i capricci di Albert, e la purezza del suo cuore le trasmise una tale risolutezza che non richiamò la domestica, come aveva inizialmente pensato di fare, ma, dopo aver suonato al clavicordo alcuni minuetti per riprendersi e per calmare i turbamenti del suo cuore, si sedette sul canapè al fianco di Werther. Non avete nulla da leggere? gli chiese. Non aveva nulla. In quel cassetto là, riprese lei, c’è la vostra traduzione di alcuni canti di Ossian, non li ho ancora letti perché ho sempre sperato di sentirli da voi, ma negli ultimi tempi non eravate in grado di farlo. Lui sorrise, andò a prendere i canti, fu scosso da un fremito quando li tenne in mano, gli occhi si riempirono di lacrime quando li guardò, si rimise a sedere e lesse:
«Stella della notte calante, luminosa a occidente scintilli. Dalla tua nube sollevi raggiante il capo. Maestosa incedi sopra il tuo colle. Cosa scruti laggiú nella brughiera? Placati si sono i tempestosi venti. Da lontano giunge il mormorio del rapido torrente. Strepitano i flutti, giocando con la rupe. Sciama sui campi il brusio di vespertini insetti. Cosa cerchi, graziosa luce? Ma tu sorridi e vai, liete ti circondano le onde e bagnano la tua graziosa chioma. Addio, quieto raggio. Appari, sublime luce dell’anima di Ossian!
Ed essa, fulgida, appare. Vedo gli amici defunti, si adunano presso la Lora, come nei giorni ormai passati. – Fingal giunge, colonna di umida nebbia; gli eroi schierati intorno a lui. Ed ecco i bardi del canto! Ullin il canuto! il prestante Ryno! Alpin, soave cantore! E tu, Minona, dal delicato lamento! – Come siete cambiati, amici, dacché su Selma, in festivi giorni, rivaleggiammo per l’onore del canto, come le brezze di primavera, alterne sulla collina, piegano l’erba dal lieve sussurro.
Apparve Minona, di infinita bellezza, gli occhi bassi e di lacrime colmi. La chioma ondeggiava folta nell’incostante vento della collina. – Tenebre pervasero l’animo degli eroi quando levò, soave, la voce; sovente, infatti, avevano visto la tomba di Salgar, sovente l’oscura dimora della candida Colma. Colma e il suo canto armonioso, soli in cima al colle. Salgar promise di venire; ma intorno si stringeva la notte. Udite la voce di Colma, seduta sola in cima al colle.
Colma.
È notte; sono sola, sperduta sul tempestoso colle. Sferza il vento i monti, ulula il fiume giú dalla rupe. Nessuna capanna mi ripara dalla pioggia, abbandonata sono sul tempestoso colle.
Esci, o luna, dalle tue nubi; rivelatevi astri notturni! Che un r...